Avevamo lasciato la minimal sul finire del 2008 agonizzante e morente colpita a morte nemmeno troppo a freddo dalle sue stesse contraddizioni. Contraddizioni che rispondevano al nome di Mi_nus, il Bar 25, Hatwin (non più colpevole di altri) lo stesso Matt John (il migliore di quel tempo) anche alcune uscite su Kompakt Extra per dirla tutta. Questi nomi sono tutti artefici dell’esplosione prima e dell’implosione poi, di un genere che ci ha fatto ballare e drogare fino a che ha potuto e fino a che ha soprattutto voluto, cavalcato all’ossesso fino all’ultimo e rapidamente passato da puledro puro sangue a ronzino.
Il successo sempre più crescente si è trasformato in noia quando per eccesso di sperimentazione e per una profonda cattiva interpretazione della parola precedente si è passati da una profonda ballabilità del genere all’esatto opposto.
Il lungo preambolo critico serve per inquadrare la base da cui parte il convincente continuum dei Hvob (leggi Her Voice Over Boys) duo austriaco uomo/donna che riprende e rielabora il genere di cui abbiamo parlato sopra esautorandolo dalla sperimentazione mossa a sensazionalismo, andando ad aggiungere linearità melodica e vocalità algide.
Trialog uscito per Stil vor Talent plana dopo un viaggio a ritroso nel tempo su Chromopobhia di Gui Boratto e Here Comes Love di Superpitcher entrambi album kompakt di primo lustro e sui lavori di Oliver Koletzky (che di Stil Vor Talent è il fondatore) da cui riprende suoni, sensazioni e l’idea di viaggio notturno sulle strade silenziose della parte mitteleuropea.
La costruzione semantica delle tracce è oliare: dal lato percussivo i kick sono sordi, il che rende le fondamenta soffici e mai invasive, e vengono argomentati con tutta una serie di “suonini” complementari (finalmente ritornano i claves in un pezzo elettronico) che non riempiono soltanto la base ritmica, ma tendono ad espanderla creando un buon letto su cui poggiare i bassi, stanziali avvolgenti e piacevolmente silky; il tutto è preso da una libreria che come dicevamo prima rimanda all’esperienza kompakt, quella dei primi Speicher, per intenderci si faccia riferimento ai primi lavori di Aguayo, il Boratto di Gate9 ma anche Scsi-9 e lo stesso Mayer, riuscendo a non peccare di mancanza di originalità perché della label di Colonia evita accuratamente l’ossessione psicotica degli 8 minuti di repeat del loop, andando invece a puntare su una scala melodica che, oltre a mantenere vivo e attento l’ ascolto, prepara all’ ingresso del cantato femminile. La voce di lei è perfettamente dosata: non è lamento, non è miele, ma culla leggera ed extra sensoriale che in sussurro avvolge il tutto creando una situazione di viaggio realmente intimistico. La differenza tra la minimal di allora e questa sua rielaborazione è tutta qui: se da un lato anni fa la base ritmica si faceva monocorde, puntando a un lato solitario ed estraniante della sensazione percettiva, la soluzione dei Hvob punta ad una solitudine introspettiva, meno sintetica e più vitale, sebbene giochi su basse pulsazioni.
Siamo davanti a un ottimo album davvero, databile 2007 di non grossa avanguardia, adatto per le 6 del mattino quando l’ after è troppo lontano, nel club si è dato tutto e l’ iPhone segna un maledetto 22 % che non permette socializzazioni di sorta, ma solo occhi semi chiusi, un treno caldo che ti riporta a una sonnecchiosa provincia governata dallo scorrere lento di un fiume con la nebbia che si scorda di te solo 30 giorni all’anno. Il secondo caffè dista un’ora e lei non ha troppa voglia di parlare, stende i piedi sulle tue gambe e ti dice dormi. Non dormirai la guarderai buffa perdersi nel tuo felpone mentre tu sogni quelle autobahn di primo giorno. Perfetto.