A distanza di due anni dall’ottimo “Per Fortuna Dormo Poco”, Tommaso Di Giulio dà alle stampe un nuovo album, “L’Ora Solare”, il secondo per Leave Music. Classe 1986, l’artista romano si ripresenta al pubblico con un disco forte di collaborazioni importanti – Enrico Gabrielli, Francesco Forni, Ilaria Graziano tra gli altri – ma soprattutto ricco di belle canzoni e di ottimo gusto per gli arrangiamenti. Un cantautorato meticciato da contaminazioni disparate, che attinge tanto dai classici italiani – in particolare da quelli della scuola romana – quanto dalle molteplici correnti di pensiero del rock d’oltremanica e d’oltreoceano.
Un ascoltatore onnivoro e curioso, Di Giulio, che si trasforma in creatore attento e incisivo, tra spensieratezza pop e orchestralità immaginifica. Curato senza sembrare artefatto, immediato senza essere ruffiano, “L’Ora Solare” è un disco prezioso e sincero nella sua naturalezza, dove nonchalance e sofisticatezza s’abbracciano senza boria.
Lasciamo che sia lo stesso Tommaso a raccontarcelo.
Dov’è L’America?
Tutto il disco è nato da questo pezzo qua, che tanto mi sembrava – e tanto è diventato – diverso da tutto quello che avevo scritto prima. I chitarroni, ad esempio, non mi era mai capitato di metterli in un pezzo e invece in quest’album ce ne sono parecchi.
Dov’è L’America? è ovviamente una domanda a cui si spera non venga mai data risposta perché credo sia meglio continuare a cercare le proprie Americhe.
L’ansia e il fastidio di sapersi alla ricerca di qualcosa che però non si sa ancora bene cosa sia, come se l’obbiettivo del binocolo non fosse a fuoco, diventa pian piano il motore di una ricerca personale, alla scoperta dei propri limiti e dei propri difetti.
E’ una canzone sul movimento, che invita a non accontentarsi mai, anche a costo di accumulare frustrazioni su frustrazioni.
La Fine Del Dopo
L’Ora Solare è un disco sul tempo, sulla percezione diversissima con cui ognuno di noi lo vive. In questa canzone ci sono due innamorati che le tentano tutte per conquistarsi un tempo diverso dal resto del mondo, un tempo su misura, regolabile, che ovviamente non c’è. Quindi i due le tentano tutte: provano ad ingannarlo, ad ammazzarlo, a scappargli; ma il tempo li sorprende sempre ricordandogli che nel gioco del gatto col topo il gatto è sempre lui.
Sullo sfondo: una Roma quasi post-apocalittica, in cui fare l’amore uniti contro il mondo.
In questo pezzo suona un dream team di musicisti: Francesco Forni, Ilaria Graziano, Roberto Angelini, Gabriele Lazzarotti (Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Roy Paci), Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours, Cesare Basile) e l’abbiamo registrato nello Studio Verde di Marco Fabi, un posto pazzesco le cui pareti sono interamente ricoperte da vinili di ogni epoca. Era partito come un pezzo alla Nick Drake e si è trasformato, grazie al contributo di tutti, in una cosa strana, un po’ esotica e un po’ post-rock.
Spesso e Volentieri
Un altro brano sul tempo ma anche sullo spazio.
E’ una delle canzoni che mi fa più paura cantare dal vivo perché, anche se ormai l’ho suonata e risuonata, ogni volta tocca delle corde interne che mi scombussolano.
Dopo averla cantata devo aspettare sempre qualche secondo in più prima di ricominciare. Si parla di cose note credo a tutti: la precarietà dei sentimenti, la difficoltà di mantenerli in piedi quando ci si mettono di mezzo distanze geografiche importanze, cambi di rotta, imprevisti vari.
E’ una delle canzoni più “italiane” della scaletta, anche musicalmente parlando, perché si sono dentro gli anni ’60 di quell’Italia in cui anche le canzoni più tristi sembrava avessero un lieto fine.
Il Misantropo
Qui si sente in modo molto chiaro che mi piace tanto il rock inglese, i Beatles e tutti quelli che hanno rielaborato i Fab Four in seguito.
Poi ho deciso di spingere il più possibile a destra la manopola dei vari pedali fuzz con cui abbiamo annaffiato chitarre e bassi ed è uscita fuori una cosa a metà tra i Sonics a cena con gli Arctic Monkeys e i The Rokes con un PC.
E’ la storia di uno (di uno che mi assomiglia un sacco) che non sopporta l’umanità ma che poi, grazie ad un incontro salvifico, si rende conto che per sopravvivere è necessario ricercare l’unicità, e la bellezza sopratutto nei singoli.
Anche qui, come in tutti i brani, il tempo gioca un ruolo essenziale; non a caso si parla di rallentare, osservare con più attenzione, concentrarsi.
Poveri Posteri
Il pezzo più aggressivo e incazzato del disco. Ci suona un sacco di chitarre distorte Giorgio Baldi (che molti conoscono come storico chitarrista di Max Gazzè) che oltre ad essere un ascoltatore onnivoro è prima di tutto uno con il punk nelle mani. E che era punk prima di te. Ha un set di magliette dei Bad Brains che farebbe invidia a qualsiasi fan dell’hardcore.
“Poveri Posteri” è uno sfogo, un lamento, una combo di calci e pugni fatta canzone. Me la prendo con un sacco di categorie di persone e poi nei ritornelli, in qualche modo, mi sono reso conto di aver parafrasato Nanni Moretti quando dice che si è rassegnato a far parte di una sempre più esigua minoranza.
Ma non è così male, tutto sommato, essere in minoranza. L’importante è resistere all’invidia, cosa non facile, comunque.
Dal vivo sudo come un pazzo quando la suono, sudo probabilmente più dei tre Ministri tutti insieme.
Sospesi
D’estate quando fa troppo caldo persino per uscire e bisogna scegliere che film guardare è come andare in guerra, se si è in due.
Quindi Stallone o Volontè? Dipende dal contesto.
Questo il pretesto iniziale per una canzone che, ancora una volta, sposta il punto di vista per parlare del tempo. In questo caso la protagonista è l’insofferenza ed i rimedi per combatterla, che spesso non funzionano.
Musica Da Camera
Capita quasi a tutti, prima o poi, di volersene andare da casa di mamma e papà.
Visto che molti non hanno sufficiente denaro per un affitto di un appartamento, o figuriamoci per un mutuo, si finisce per andare a vivere in case con altri coinquilini/e.
Può capitare, se si è fortunati e se ne ha l’opportunità più o meno regolare, di volere fare l’amore con la tua ragazza o con il tuo ragazzo (o variazioni sul tema). Può capitare però che uno dei partner (o tutti e due) possa essere molto timido e non trarre alcun giovamento dall’immaginare i coinquilini, noti zozzoni, attenti all’ascolto al di là della parete della stanza in cui si vorrebbe consumare l’amplesso, con conseguenze tragiche per il tutto.
Mettere la musica per conquistare un po’ di privacy è utile, ma oltre al giusto volume è soprattutto la scelta ad essere fondamentale.
“Musica Da Camera” fornisce alcuni consigli al riguardo.
Novanta
Quando ero adolescente iniziavo a scoprire il metal e quindi mi ritrovavo a schifare la dance proposta da radio e tv che stava già tramontando sul finire degli anni ’90. Oggi, che la dance non è più così onesta, mi trovo spesso a commuovermi se mi capita di ascoltare un brano di Corona o uno degli Eiffel 65. Certi suoni che all’epoca consideravo sgraziati e commerciali oggi mi sembrano estremamente evocativi, colmi di una malinconia contagiosa.
Novanta è si una canzone citazionista ma anche sopratutto un viaggio nostalgico, il racconto di un giovane adulto che si ritrova ad una festa in spiaggia a tema “anni 90” e si sente già, irrimediabilmente, vecchio.
Forse la dance anni ’90 mi piaceva anche allora, quando ero adolescente, ma non lo potevo ammettere, dannate pose.
Rivoglio certe notti d’estate, tristi, con i pan di stelle davanti al Festivalbar.
Melodrammatica
Canzone nata in aeroporto per persone che all’aeroporto ci lascia un sacco di lacrime.
Scott Walker is my copilot.
La Trappola
La scrissi quando Monicelli si buttò ma per tanto tempo non ho avuto il coraggio o la presunzione di farci niente. Credo che in troppi abbiano citato semplicisticamente l’aforisma di Monicelli riguardo alla speranza, specie in musica. Mi sono aggiunto anche io.
Monicelli è uno dei miei registi preferiti in assoluto e quando è morto ho colto l’occasione per rivedere tutti i suoi film, uno dopo l’altro, nell’ordine in cui li girò.
Ogni film ha messo in moto qualcosa e ognuno di quei frammenti emotivi, spesso irrazionali, sono confluiti in questa canzone dove finisco per lamentarmi pure delle tribute band e dei critici musicali, tra le altre cose.
Meno Trenta
Qui il protagonista è uno sconfitto: uno che se n’è andato dall’Italia ma non ha mai smesso di sentirne la mancanza.
Qualcuno mi ha fatto notare che ci sono delle affinità, musicali e testuali, con “Martha” di Tom Waits, che non a caso è una delle mie canzoni preferite. E in effetti è vero, facendo ovviamente i dovuti distinguo. “Meno Trenta” è un brano sul rimpianto, sul farsi male con i ricordi, come “Martha”, che ogni volta che sento poi perdo l’appetito per due giorni, ma è il miglior modo che conosca per perdere l’appetito.
Tango Per Un Povero Diavolo
Canto in prima persona il punto di vista di una carogna: un personaggio schifoso che si consola credendo che, in fondo, siano tutti molto simili a lui.
Ci ho messo tutta la mia passione per le colonne sonore western di Morricone e c’è anche un’ospitata del violinista Andrea Ruggiero che furoreggia con l’archetto come se avesse venduto l’anima al demonio. Bello e sporco.
Un giorno vincerò i miei timori e farò un album tutto spaghetti-western come sogno da sempre. Chissà come verrà.
Ragazzo Per Agosto
Ho cominciato a suonare grazie a degli amici che il primo anno di liceo mi hanno fatto diventare il cantante di una band con cui facevamo solo cover di classici rock n roll anni ’50.
Il rock n’roll delle origini mi ha stregato da bambino, grazie ad una compilation di La Repubblica che si chiamava L’America Del Rock e che dai 7 anni ai 12 è stata fissa nel mio stereo.
Prima o poi sapevo che sarebbe uscito fuori un pezzo con cui avrei potuto tributare quella musica che tanto ha significato per me.
“Ragazzo Per Agosto” è il mio modestissimo tributo al rockabilly, ad Elvis, Buddy Holly e Jerry Lee Lewis ma è anche una storia vera. O quasi.
Diciamo che un buon 90 % di quello che si racconta nella canzone mi è successo.
Universo: Ora Zero
Uno dei brani di cui sono più orgoglioso, e non solo perché è arricchito dagli arrangiamenti magici di Enrico Gabrielli. E’ il brano in cui non mi nascondo dietro a nessun espediente, in cui mi sento più indifeso (anche quando mi trovo a cantarlo).
E’ la risposta al primo pezzo della scaletta, “Dov’è L’America?”, che si muoveva su uno slancio di insoddisfazione e disillusione. “Universo: Ora Zero” è, come suggerisce il titolo della canzone, un nuovo inizio: una ripartenza e anche una sorta di what if in positivo della “Space Oddity” bowieana, la mia canzone preferita di tutti i tempi, in cui il maggiore Tom vede la Terra da lontano, si sente insignificante ed impotente, e preferisce suicidarsi. Nella mia canzone ci si allontana dalla Terra solo per ritornarvi con una nuova coscienza, attivata sopratutto dalla necessità e dall’importanza di amare, nel modo più onesto e libero possibile.