Con la produzione artistica di Alessandro Fiori arriva il secondo album della Filarmonica Municipale LaCrisi, “Sento cadere qualcosa” che mette insieme il cantautorato all’italiana con un’elettronica minimale, testi densi e arrangiamenti che, al contrario, scivolano leggeri. Eppure quest’album somiglia a quelle giornate in cui il sole diventa fortissimo, il vento si calma e l’orizzonte lo vedi appesantito da un colore plumbeo. Oppure a quegli strani silenzi che ti risvegliano mentre stai camminando sovrappensiero per le stradine della tua città. E lì ti accorgi che sta per accadere qualcosa.
Quest’album è il vento che si calma, la spensieratezza di “vado a fare quattro passi” e poi ritorni a casa nel silenzio.
Ce lo raccontano, traccia per traccia, Pierfrancesco e Matteo della Filarmonica.
Premessa:
Questo è un disco importante per la Filarmonica Municipale LaCrisi e per se stesso. Sicuramente, con una descrizione univoca, avremmo potuto fare una parafrasi anche attenta dei brani, ma altrettanto sicuramente non saremmo riusciti a rendere al lettore il senso di sorpresa e spaesamento che “Sento Cadere Qualcosa” ci restituisce. Per questo motivo, senza sconcertarsi troppo, Pierfrancesco e Matteo hanno cercato di dare, dove possibile, due interpretazioni “differenti” per ogni brano. Il risultato è, come sempre, più della somma delle parti e si avvicina maggiormente alla poetica dell’album. Scusate.
La demolizione della terra
P: Partiamo dalla fine. Può suonare apocalittico e minaccioso o, per assurdo, un invito alla leggerezza. Un pianobar in attesa dell’apocalisse. In ogni caso, questo pezzo testimonia la chiusura di un ciclo compositivo, in favore di uno nuovo, certo non privo di ombre, ma con un bel cesto di pop corn in mano. Tutto ricomincia, se tutto finisce.
M: Saranno all’incirca le sei di pomeriggio, oppure le quattro di notte. C’è molta stanchezza e un forte bisogno di riuscire a non realizzare nessuno dei desideri preposti.
Intro
A conferma di quanto sopra. Un mondo nuovo non può che aprirsi con le raccomandazioni di una nonna. Premure e psichedelia.
A mezzo metro
P: Questo è senz’altro uno dei brani cui siamo più affezionati. Una scrittura ferma e asciutta, una bella melodia e la sensazione di sospensione e attesa che caratterizza l’intero disco. Nevica da un po’ e qui è tutto pieno di cotone o di ricordi, ti aspetto fra mezzo metro. E’ anche il brano che ci è valso il Premio Ciampi 2014.
M: Di questa non saprei che dire, se non che è nata nel momento stesso in cui abbiamo iniziato a suonarla, durante le vacanze natalizie del 2013.
Sorbetto
P: Sciacquarsi la bocca è importante tra una portata e l’altra; si definiscono meglio i gusti e i sentori. Anche prima di dare un parere è bene sciacquarsi la bocca. Limone o mandarino, fate voi.
M: E’ musica futuristica, ma non la musica del futuro; piuttosto proprio musica del passato, quella legata, appunto, al movimento Futurista.
Chi sceglie cosa
P: Tra una Berlino Est immaginata e il David Bowie di Low, c’è un giardino grazioso con le siepi rade, dove io e te stiamo seduti per terra e ci giochiamo il destino agli ossicini di pollo.
M: A Berlino Est non ci sono stato, ma sono quasi sicuro che ci sia perennemente il cielo basso e grigio, gli edifici dall’architettura asettica si inseriscono perfettamente nel paesaggio sonoro del brano.
Io mi procuro dei soldi
P: Alessandro Fiori ci faceva notare come le linee melodiche dei Radiohead siano molto vicine alla tradizione del belcanto italiano (forse anche partenopeo, ma pensare a Merola che rifà Kid-A può essere destabilizzante). In questo brano, comunque, ci sono due parti che si riconciliano come gli amanti dopo un litigio. Per i più figurativi, gli amanti potrebbero anche essere Bruno Lauzi e i Radiohead, per esempio.
M: Direttamente dall’interno di orologio, nei meccanismi; ma il tempo non c’entra niente, sono proprio i meccanismi. Continua un certo disinteresse nel realizzare i propri bisogni, anche in amore.
Negozio di dischi
P: Si ritorna in una zona degradata, tipo post nucleare. I lungarni si svuotano, la gente è ammassata nei fossi. Non c’è un concept dietro i testi di questo disco. Proprio per questo stupisce e gratifica che certe tematiche ritornino, più o meno casualmente nelle visioni dei brani. Questo è il brano più punk o protopunk dell’album, probabilmente.
M: Il tormento e l’ansia di una mente confusa ma non pericolosa, quindi, ancora una volta sola.
Mondo alla rinversa
Sequel naturale di “Negozio di dischi”. Il testo riadattato su un ragionamento semilucido di Maria Rocchiccioli (intro) descrive perfettamente il mondo che si ripiega su se stesso non solo in involuzione, ma in maniera ciclica e con poco margine di speranza. Un rap tutto cantato da Alessandro Fiori.
Spara al coniglio
Wave fumosa suonata in presa diretta. Anche il significato del testo fugge la puntualità narrativa, ma a grandi linee, tratta la delusione di un’aspettativa o la paura di essere inadeguati. Paura infondata, perché siamo bravissimi.
Mare di segatura
P: Si scava il momento più scuro dell’album, a dispetto dell’andamento scanzonato del brano. Se piove sempre sul bagnato, però, è una vera fortuna avere un mare di segatura, pronto ad asciugare i lacrimoni. L’amore come antiscivolo.
M: La riscossa è iniziata due brani fa, ora se ne iniziano a sentire i giovamenti e i primi giovamenti, sono sempre del corpo.
Der
P: Matteo ( synth, organo, marimba) aveva firmato la colonna sonora di un cortometraggio animato di Francesco Orazzini dal titolo “There”. Questo brano ne riprende e stravolge il tema. Stesso discorso per il titolo, che neanche noi sappiamo bene se essere una storpiatura fonetica o una trasposizione da avverbio inglese ad articolo determinativo tedesco.
M: Il corpo ha preso il sopravvento e l’azione è un’urgenza alla quale non si può togliere la mano che ti spinge dalla schiena.
Più di così
P: Senza dubbio il brano di massima distensione del disco. Leggero come una presa di consapevolezza. Io e te non ci perderemo mai più di così.
M: Stavolta quello che è nel momento, allo stesso tempo, sarà.
Sento cadere qualcosa
P: E’ legittimo che alcune tracce strumentali siano più cinematografiche di altre. Se ne potrebbe dare la responsabilità alla struttura del brano, all’intreccio dei sassofoni o al bel crescendo finale dei violini suonati da Alessandro Fiori. Sta di fatto, che su questa canzone c’è stata immaginata più di una storia. Tutte affini a quel senso sottile di attesa e sospensione.
M: Brano autoreferenziale, che parla solo e soltanto di se stesso, la conferma e la consapevolezza che qualcosa sia caduto. E quel qualcosa può essere davvero qualsiasi cosa, dal momento che tutto è importante.
Io rimango solo
P: I toni sono da fiaba alla Rodari o da giornalino dei piccoli. Un cuore scappa al padrone e si imbarca per mare. Ci si raccomanda solo, a chi lo raccoglierà, di averne tutta la cura possibile che, di suo, si imbroglia facile.
M: Col sole in faccia tutto si rallenta, anche il dolore. Anche l’estate.
Mandorla amara
P: Difficile la descrizione, quasi impossibile la parafrasi. Dolciastro, piacevole, vecchio. Si avverte qualche sentore del tempo che passa e con un certo piacere, scorre addosso. Può aiutare alla comprensione la degustazione di un qualsiasi vino passito, da gustare soli, fino che non sopraggiunge il sonno. Chiudo un poco gli occhi, ho visto troppi tipi svegli per oggi.
M: Adesso che qualcosa è caduto, si è imparato che ogni cosa cade e che, quasi mai, nonostante le apparenze, è un male. Lasciar cadere le cose, lasciarle andare, l’indipendenza, la soggettività e la collettività. Tutto è collegato e, quindi, in continuo scambio e mutamento.
E pace
P: C’è una certa pace, nell’adattarsi ad un cambiamento disastroso. Questo altro brano o presagio scritto di pugno da Maria Rocchiccioli chiude il disco, ma non costituisce un finale; piuttosto ne determina ciclicamente un nuovo inizio, ricollegandosi a “La demolizione della terra”. Affidato alla voce di Giulia, a una marimba e ad alcune interferenze radio, lascia aperto un senso colloquiale di sottile angoscia, in attesa che tutto ricominci.
M: Colpo di scena cinematografico