Il problema dei grinder che compri dai cinesi è che la camera di raccolta fa schifo: rimane lì tutto il meglio, si mangia un sacco di prodotto, il maledetto. Snoop non gradirebbe e, probabilmente, non fumerebbe.
Anche con le sbarbine la situazione non gira come dovrebbe e la cosa, personalmente, ha anche un lato rancoroso: l’affaire “stringate” vi sta sfuggendo di mano ragazze, al di là del risvoltino la stringata col fantasmino non si può tollerare. Eppure, in giro, non si vede altro. Snoop non gradirebbe e Pharrell vi schiferebbe, preferendo una moretta in slip on e calza in spugna bianca.
Insomma il concetto è semplice: puoi essere fan quanto vuoi, puoi provare a imitarlo, a vestirti come lui, a fumare come lui, a broccolare come lui (a meno che tu non sia già fidanzato e ridotto a immaginarti gangsta hustle giusto quando guardi Empire, mentre le massaggi i piedi), ma non sarai mai come lui, e sai perché? Semplicemente perché mentre tu compri il suo disco, lui non comprerebbe mai il tuo.
Per questo ci vogliono devozione e umiltà per approcciarsi a un lavoro di Snoop, ora più che mai visto che da qualche tempo, passata la sbronza EDM e ragga, ha deciso di dedicarsi al funkettone. E soprattutto ha deciso che ogni volta che si mette al lavoro si tira dietro qualcuno supercool che è matto almeno quanto lui. La prima volta ha chiamato Dam-Funk, e sappiamo tutti com’è andata; ora chiama Pharrell Williams, giusto per confermare il delirio di onnipotenza. I due si sono sicuramente messi sul divano, e devono essersi fatti un discorsetto che suonava più o meno così: “Hey bello io ti rispetto ok? Siamo amici per cui ascolta hai visto come è andata con i Daft Punk? E poi bro, davvero per cosa ti conoscono tutti… ok Doggy Style ma ti ricordi Beautiful e Signs? You know what i mean?”
Ecco sicuro deve essere andata così, con sta cosa in più che a un certo punto devono essersi detti: “Dopo di noi chi è il capo? Stevie. Ok chiamiamo anche Steve Wonder ci facciamo un pezzo insieme e suoniamo un po’ alla sua maniera.” Ecco deve essere andata più o meno così alla ditta Snoop+Pharrell: esperti della strafottenza piaciona, tanto da far risultare Mark Ronson un catechista. Pharrell non calca la mano, ma non sta di certo col guinzaglio, e confeziona un sound disco ‘70 che fa tanto Dimitri From Paris e Cerrone, senza rinunciare ai suoi marchi tipici di fabbrica (Run Away, Awake); Snoop si limita a non strafarsi e a fare quello che gli viene meglio; lo stronzo buffoncello che però se le fa tutte, e quando dico tutte: dico tutte. Ne cito una solo per farvi capire l’ andazzo:
Put your hands together and close your eyes /Smell the aroma, visualize/Do not try to get higher than me/Why stop it there? Get high as can be
E ancora :
My name is Snoop Dogg, not to complain/I gets my groove on, I do my thing/My planet’s Krypton, home of the freaks/Come get your moon rocks, I am a G.
Il giro è tutto lì, c’è tanto fumo e c’è tanto arrosto così ci si droga, ma si mangia anche il giusto. Bush riesce in un’impresa difficilissima: trovare l’equilibrio, evitando di diventare una cosa kitsch, o grottesca e di conseguenza plasticosa, o irritante. Nessuno dei due si fa prendere troppo la mano e tutto sembra fatto con divertimento quasi adolescenziale (alla Pharrell). Ecco perché ci vuole la devozione di cui ho scritto sopra: questi due ridendo e scherzando danno un’ ennesima lezione di stile, senza fatica, senza una gocciolina di sudore, essendo loro stessi a livello controllato e per questo inarrivabili. Il risultato finale è semplice e davvero sorprendente, perché quando nessuno se lo aspettava Snoop pubblica uno dei dischi migliori della sua carriera; chiaro non è Doggy style, non è the Dogfather ma si piazza, almeno a giudizio di chi scrive, subito sotto.