Apro la porta, hanno parcheggiato il furgone davanti casa. Scendono, le faccio accomodare in cucina e, nel frattempo, preparo una tisana. Ci sediamo intorno al mio tavolo bianco, tondo. Non so cosa è successo, sarà la comunione tra donne, ma ci troviamo a chiacchierare col registratore che parte, mentre le ragazze si truccano per le foto e per il live che avranno nel dopocena. Davanti a me, un gesto così intimo, truccarsi davanti una straniera, che mi fa capire quanto siamo entrate in sintonia, in brevissimo tempo. Più che una intervista, questa è una dichiarazione d’amore a cuore aperto. Difficile mi capiterà di incontrare delle musiciste così schiette riguardo alla loro vita, alla loro musica, su loro stesse.
Partiamo con un po’ di storia: suonavate insieme ne Lemeleagre. Quanto è stata importante quella prima esperienza e cosa portate con voi di quei tempi nel vostro nuovo progetto?
Aurora – Da Lemeleagre sono andata via nel 2002 , sono stata con loro 3 anni.
Barbara – Io fino al 2012.
A – Per me è stata una esperienza fondamentale per capire qual è il rapporto che voglio avere con la musica e con l’essere musicista
B – Non ti porti dietro una cosa sola, ma tutta. Per quanto il capitolo si sia chiuso molto male per motivi diversi, abbiamo tantissimi bei ricordi, e c’è da dire che in un percorso musicale cresci, maturi e capisci che alcune cose andavano fatte in un modo piuttosto che in un altro. Ci portiamo dietro l’esperienza e cosa vogliamo. Abbiamo “capito” non perché ce lo siamo imposto, siamo maturate.
Come diciamo sempre, IO e la TIGRE è nato per un fraintendimento, una casualità. Alla base del nostro progetto c’è il bisogno e la necessità di divertirci, di stare bene, di parlare, c’è dentro la nostra amicizia e il nostro affetto. Il gruppo e la musica sono un mezzo per stare bene, non sicuramente un fine. Spesso le nostre prove sono chiacchierate, risate, sfoghi, pianti. Noi ci vediamo una volta a settimana, ci ritagliamo quattro ore, magari tre ore parliamo e un’ora suoniamo, e il tutto viene vissuto come un momento nostro, un modo per esercitare la nostra amicizia.
A volte è il contrario: mezz’ora di chiacchiere e poi solo prove. Ma tutto questo è funzionale al live. Quando tu suoni con una persona e sai che ci suoni perché ci stai bene, poi fai un disco, fai un tour, fai un video, ma queste cose sono un di più. Se facciamo le prove e c’è qualcosa che ci tormenta, quando riesci a tirarlo fuori, e puoi metterci un’ora o due, quando poi vai a provare, è tutto più fluido. Al contrario se c’è qualcosa che ti far star male si ripercuote sul tuo modo di suonare.
Questo è un approccio molto sensibile alla musica.
Molto emotivo. Noi tecnicamente non abbiamo le spalle coperte, noi non facciamo ricerca sonora o altro, per noi la musica è un mezzo per stare in equilibrio. Una delle cose che ci siamo sentite dire spesso è: “Mentre voi suonate traspare quello che siete, quello che sentite. Il lato emotivo”.
Quindi vuol dire che riusciamo veramente a metterci dentro noi stesse nella nostra musica, è davvero il nostro mezzo per star bene. È come quando fai una foto e ti vedi, e ti riconosci.
A me ha fatto trasalire dalla felicità quando mi hanno detto “sai Barbara ho ascoltato l’EP e poi vi ho sentito dal vivo, e la gioia, l’emozione che c’è sul palco è vostra.” Quando suoniamo dal vivo la cosa più importante è che ci siamo noi, in quel momento nel qui e ora e creare il canale tra noi. Questo determina il divertimento o meno di un live.
Hai detto il divertimento di un live, non della buona riuscita.
B – No, quello che per noi è il divertimento coincide con la buona riuscita. Magari è successo che in una data eravamo un po’ distratte e non siamo riuscite ad entrare in contatto. Da fuori non si è percepito, ma noi siamo state meno bene ed è questa la cosa più importante.
Gli altri avvertono lo strato esterno. Aver fatto una bella performance e non essersi divertite, per me è una data persa.
A – Mantenere il nostro nucleo non facendoci condizionare troppi dagli stimoli negativi e positivi è una sfida quotidiana. Ora noi gestiamo quasi tutto della vita del gruppo, e questi oneri necessitano di una sintonia profonda. Per me lei è il rapporto più forte e più importante. Condividere certe gioie e certi dolori implica avere la leggerezza di elevarti a volte e l’avere i piedi ben saldi a terra, e se non lo fai con le persone giuste è difficilissimo.
Ora stiamo vivendo come un matrimonio, un rapporto di coppia intensissimo. Mantenendo un rapporto aperto all’esterno e agli stimoli. Abbiamo voluto crearci attorno questa carovana di amici permettendo loro di contribuire con la grafica, con i video, etc. e ci hanno dato dei bellissimi stimoli. E creare tutto questo è un atto d’amore.
La formazione a due chitarra/batteria è una formula ormai di successo e sempre più usuale. Quali sono i punti di forza dell’essere un power-duo?
B – Innanzitutto noi siamo un power-duo per fraintendimento, io e lei ci siamo rincontrate dopo 10 anni nei quali nessuno sapeva più niente dell’altra. Io speravo di non incontrarla più perché avevo vissuto la sua partenza da Lemeleagre come un abbandono, e lei lo stesso.
A – Poi al Tafuzzi Day del 2012 è successo. Io sono andata da lei e finalmente mi sentivo pronta ad affrontare questo capitolo chiuso malamente. Ci siamo riviste, scritte e sentite, avevamo un amico in comune e tramite lui ci siamo ritrovate. E abbiamo appianato molto, tolto e messo molti puntini sulle I. E abbiamo visto che da parte di entrambe c’era la volontà di riportare in vita la nostra amicizia in maniera più matura.
B – Lei aveva queste canzoni, me le ha raccontate dentro una macchina, con la pioggia fuori che scrosciava, e nel frattempo mi faceva capire da dove erano nate e quello che le era successo nel frattempo. Ed io la stessa cosa.
Io le ho ascoltate, ma non volevo suonare con lei. Né lei con me. Avevo in testa altre cose. Però le dissi “Se ti serve una mano a registrarle posso aiutarti”, a titolo di favore. Era una cosa asettica, vengo in sala suono e poi tanti saluti. Io avevo frainteso, lei pure. Ma una volta in sala prove tutto è cambiato. Ed è nata una cosa che non c’era prima, un’amicizia molto più profonda che non esisteva 10 anni prima. Ora come ora, noi litighiamo tantissimo, ma ci teniamo sempre a chiarirci. È faticoso. Se vuoi stare vicino ad una persona in equilibrio devi accettare che molte volte si ride e si piange anche e costruire compromessi.
Il nostro motto è: siamo in due e ci bastiamo. Perché non c’è spazio per nessun altro. La band è stata una conseguenza della nostra amicizia.
Siamo aperte a tutto il resto, non talebane, ma nel processo della composizione e decisionale siamo io e lei. Semmai ci dicessero di prendere un terzo elemento perché ”serve” il basso, beh no.
Il vostro omonimo EP autoprodotto è andato molto bene. Com’è andato il lavoro di produzione insieme ai vostri amici Andrea Cola e Alan Fantini? Qual è la genesi dei pezzi?
A – Le registrazioni sono state fatte nella sala prove dei Sunday Morning di Andrea Cola perché nonostante non sia uno studio professionale, aveva tutto quello che necessitavamo e volevamo avere per registrare. Siamo andate senza nessuna pretesa né velleità, volevamo registrare una cosa per noi. Il pensiero di farlo girare c’era, ma molto remoto.
È stata l’unica persona con cui ho parlato di musica in questi anni, che mi ha spronato.
B – Andrea Cola è il mio miglior amico, veniva in sala prove ─Aurora erano anni che non suonava─ ci ha fatto un po’ la produzione artistica e ci ha aiutato a far quadrare la struttura dei pezzi e a chiosare il tutto, senza intervenire sulla struttura. Dall’esterno ci ha dato degli spunti che noi abbiamo accolto e riformulato a nostro gusto. Un orecchio esterno, soprattutto di un musicista che stimi e che sai ama i tuoi pezzi. È un apporto notevole. È stato automatico registrarlo con lui. Abbiamo avuti difficoltà e inghippi tecnici. Sfortunatamente si sono rotte delle schede, cosa che ha allungato i tempi, e in più noi lavoriamo, quindi abbiamo dovuto ritagliarci del tempo utile.
A – La genesi dei pezzi si potrebbe riassumere in una frase “ti vedi con un’amica e le racconti delle cose. Prima ci pensi, poi ne chiacchieri e ne viene fuori una sorta di esorcismo, condivisione, grazie anche a quello che la tua amica ti dà come feedback e tu ne esci più sollevata”.
Ecco le canzoni nascono in risposta a qualcosa che è successo, gliele racconto e fanno scattare anche in lei una reazione/identificazione e il suo modo di trasformare qualcosa di negativo in positivo è mettendoci il suo arrangiamento, la sua parte di visione della storia. Quindi questi pezzi, dall’emozione da cui erano nati, diventano qualcosa di condiviso. È come se le canzoni si elevassero e diventassero qualcosa di forte, come se si trasformassero in un ricordo da incorniciare. Diventano un frutto condiviso. Tutto è per un motivo, nel bene e nel male e gli mettiamo un vestito attraverso la musica .
B – Io mentre suono le canzoni ricordo perfettamente quando ne abbiamo parlato, l’emozione che ho provato la prima volta che l´ho suonata, etc. certe cose le sento anche quando le vado a riascoltare o le suono dal vivo. C’era una canzone quando io ero incazzata, e quando la risuono mi ritrovo con quella carica di rabbia nella mente.
A – La genesi del pezzo Producers è nata invece per caso mentre venivano risolti i problemi tecnici in studio. Noi ci annoiavamo e chiamavamo i ragazzi dietro “Ehy, producers!”. Poi io mi giro e dico a lei “Baby, facciamo una curva gaussiana, stammi dietro” e abbiamo registrato. Ed era buona la prima. Sembra un pezzo esterno agli altri, ma è una fotografia di un momento. Alcuni ci hanno criticato dicendo che è in inglese, ma non è stato voluto. È un pezzo nato in cazzeggio, solo guardandoci.
Sull’EP c’è spazio anche per una cover, “Cuore”. Recentemente poi vi siete misurate in tutta originalità con una speciale ripresa di “Basket Case” dei Green Day. In che modo avete lavorato su brani non vostri per renderli affini al vostro stile?
A – Non c’è stata una premeditazione. Li abbiamo fatti come li sapevamo fare. Io ho il mio modo di suonare, e lei anche, con i nostri pregi e i nostri difetti (che si sposano bene). Cuore è stata scelta perché è una canzone che ci accomuna simbolicamente. Quella è la canzone che entrambe ascoltavano nei viaggi in macchina con la nostre rispettive mamme. E scoprendo questa cosa, quella ci è sembrata una canzone pieni di significati.
Io ho battuto sulle corde, abbiam provato, e aveva quella forma li.
Potrebbe essere una canzone scritta da noi, cucita addosso.
B – Per Basket Case ci siamo trovate in sala, e ci siamo dette “farlo con la batteria uguale, non sarebbe possibile, allora stravolgiamola”. Ho tirato giù le note col basso, lei ha lasciato la chitarra e le ha dato una dimensione più intima per fare emergere il lato più disperato del testo. E abbiamo fatto l´esatto contrario dell’originale.
Per la distribuzione vi siete affidate alla capitolina Bomba Dischi. Come siete entrate in contatto con loro e come vi state muovendo per promuovere l’EP?
Davide (Bomba Dischi) ci ha scritto un mese dopo l’uscita del singolo, ci ha fatto i complimenti, è stato bello l’approccio, molto delicato, molto rispettoso. Adesso siamo aperte ma quando a abbiamo iniziato eravamo molto timorose, eravamo ripartite solo da noi. Gli approcci esterni ci hanno lusingato ma eravamo molto attente a rafforzare le nostre fondamenta. Una volta che sai chi sei, puoi rapportarti anche con gli altri. Poi dal video, abbiamo fatto subito dei supporti grossi. Io non so se funziona o non funziona, non mi interessa. Magari gli altri avvertono che comunichiamo in maniera spontanea, senza creare personaggi, e quando tu sei te stesso non hai paura di testare, di sbagliare. Sicuramente il video è piaciuto e all’inizio gli amici ci hanno invitato al suonare dandoci opportunità di visibilità.
Il vostro video funziona?
B – Non ci sono cose che funzionano o meno, ho visto tanti bei video ignorati e tante belle canzoni ignorate. Semplicemente capitano certe cose in determinati momenti perché devono capitare proprio. Io credo molto nel karma. Delle volte ci siam guardate e sembra che l’universo ci faccia capitare in determinati momenti, situazioni persone e contesti, sembra un segnale lanciato dall’universo. Capitano delle cose perché evidentemente c’è bisogno. Ci hanno chiesto “di IO e la TIGRE c’era bisogno”?. Beh per NOI si. NOI ne avevamo bisogno. Abbiamo rivissuto una esperienza musicale in maniera nuova. Loro di Bomba ci hanno dato molto spazio, artisticamente parlando. L’ep è in collaborazione con loro, ma siamo come ti ho detto , ripartite da noi, per avere le nostre soddisfazioni. Poi ci siamo prese la responsabilità, anche delle spese, e dei successivi guadagni e anche se gli amici ci hanno aiutato, non vogliamo comunque che qualcuno ci faccia favori gratis.
Quelli di Bomba comunque sono persone mosse da passione e ci seguono quasi a 360 gradi. E noi abbiamo bisogno di persone che salgano sulla carovana in maniera “scialla” (come fanno anche sia l’ufficio stampa che è Sfera Cubica sia il booking Asap Arts sia le edizioni a cura di Faro Records).
Sleater-Kinney e L7 sono tornate all’opera. Che sia una nuova stagione per il grrrl o è solo puro amarcord?
B – La storia è ciclica. Tutto torna. Le cose che andavano in ogni ambito, tornano. Nulla si crea nulla si distrugge e tutto si trasforma. Quindi il girl power, …il mondo della musica per certi aspetti è sempre un po’ machista, chiuso, alcuni strumenti sono quasi di uso esclusivo maschile, come la batteria. Adesso è più facile, sicuramente, anche grazie al confronto che si ha tramite internet, con le esperienze altrui. Prima scoprivi le cose tramite negozi, la ricerca era più difficile. Ma non penso ad un amarcord. Ci sono comunque poche band di ragazze e di questo me ne dispiaccio
A – Quando un gruppo è fatto da sole ragazze, lo chiami band femminile, da soli uomini è solo un gruppo. E quindi salta più all’occhio. Queste categorizzazioni non hanno senso, perché vengono fatte solo quando le band sono formate da donne.
B – Io ho esultato quando si riunivano le L7 ma perché le ho amate da tanto tempo e viste live più volte.
A – Nella storia di un gruppo composto da una donna poi, le reunion non sono fenomeni così strani: se pensiamo che magari una donna che vuole avere dei figli si deve per forza fermare . Dunque un gruppo di sole donne può essere anche più sensibile al fattore maternità.
B- E poi c’è questo retaggio culturale dell’uomo che il sabato fa le prove con gli amici e la donna va in centro a fare shopping con le amiche. C’era forse, adesso vedo che sta cambiando. Adesso ci sono più ragazze che suonano strumenti, che ci provano. I gruppi che suonano in cui ci sono delle ragazze sono ancora poche, purtroppo. E magari le ragazze sono bravissime a suonare singolarmente, ma non formano un gruppo.
A – Culturalmente forse è più accettato che una ragazza che inizia una carriera solista si indirizzi verso la musica leggera. Ma una ragazza che imbraccia uno strumento o che si siede dietro una batteria viene ancora vista con sospetto. Alla fine a livello di palco, non c’è nessuna differenza.
L’unica cosa che da fastidio è pero quando vengono da te e ti dicono dopo il concerto e ti dicono “ah, carine!”
B – Oppure arrivano ti danno una pacca sulle spalle e ti dicono “ah pero per essere una ragazza, suoni bene” e il fegato ti si ingrossa in quel momento. Ascolti un disco e ti poni il problema che il batterista sia maschio o femmina? O ti piace o non ti piace.
A – Difatti abbiamo fatto il teaser del nostro ep prendendo in giro questo tipo di visione, in maniera molto autoironica, in cui i nostri amici hanno giocato su questa cosa delle ragazze carine che suonano.
Ultimissima: allora vi state divertendo?
Madonna! Anche oggi, ci siamo divertite moltissimo.