Non confondetevi: non è il nuovo lavoro solista di Chance The Rapper, né l’album nuovo di Donnie Trumpet. Ѐ l’esordio di The Social Experiment, il radioso collettivo composto dai due suddetti protagonisti insieme a Nate Fox e Peter Cottontale.
Dalla prima traccia si intuisce l’intento del progetto intero: variazioni continue, strumentazione piena e sontuosa, voci sovrapposte in forme ora regolari, ora libere. Il primo compositore è Donnie Trumpet che ha sviluppato a gigante potenza le sonorità del suo EP del 2013. Le sue influenze sono tante, fin troppo varie. Tratti di world music, jazz, funk, e movimenti da musical, frullati in un hip-hop impossibile da inquadrare in qualsivoglia cornice. Ha supportato Frank Ocean in tour, ora a soli ventidue anni può convocare in studio ospiti di fama importante ad interpretare la sua particolare visione. Gli altri due producers contribuiscono a rendere riconoscibile il sound di alcuni paesaggi, disegnando beat con la stessa matita di “Acid Rap”. L’attesa tuttora pulsante per il primo vero e proprio LP di Chance non sembra pesargli troppo: consapevole della facilità con cui sbiadisce e ricolora sensazioni e stili da due anni a questa parte, apre scatola dopo scatola di inediti pennarelli, senza mai curarsi di chi potrebbe rimproverargli dita macchiate o figure dai margini troppo sottili.
Ѐ percepibile in ogni singolo colpo di tamburo che si tratta di un esperimento sociale, un gruppo di persone unito dallo stesso obiettivo creativo. L’entusiasmo emanato è necessariamente positivo, l’onda amichevole.
Per non bruciarsi le ali, i quattro artisti-amici uniscono le loro forze, e il traguardo dice “felici di essere arrivati sin qui”.
Si può creare, creare e cadere, ma il miracolo persiste finché si è vivi e sani. Il beat di Miracle inizia a saltellare a metà della prima strofa di Chancelor: l’armoniosa festa strumentale è gioiosa quanto il testo, il sole è alto.
La festa ha mille partecipanti, e proprio in qualità di esperimento, qualche suono appare al primo ascolto fuori posto, come dei salatini che non tutti hanno voglia di assaggiare. Ma nessuno degli invitati ha intenzione di scivolare, ognuno scrive il proprio nome su un bicchiere con la grafia che gli compete. Proprio di integrità artistica e scelte racconta Slip Slide, un pezzo vivido al punto da rischiare di suonare invadente. L’entusiasmo di Busta Rhymes nella prima frizzante strofa, di B.O.B. Nella gradevole seconda, e persino di Janelle Monaé nel coro, eliminano ogni possibilità di errore.
Essere se stessi a tutti i costi è l’imperativo anche in Wanna Be Cool, dove Chance è raggiunto da Big Sean e Jeremih, senza dubbio all’apice delle loro rispettive carriere, e dal meno conosciuto KYLE. La base ringrazia gli anni ’80, il prodotto è felice.
Il mare è innocuo e accogliente, almeno secondo molte delle tracce di “Surf”.
Familiar è un inno alla socialità, con insospettati interpreti King Louie (uomo di casa) e Quavo (degli atlantiani Migos), entrambi trapper di professione che si adattano con scioltezza all’ironia del “ti ho già visto da qualche parte”.
Un altro amabile simpaticone è D.R.A.M., esploso con la hit semi-comica Cha Cha, qui impegnato nella breve e leggera passeggiata neo-soul Caretaker. Un sample di un pezzo R&B è la temperatura ideale per illustrare la sua nobile, seppur strisciante intenzione: prendersi cura di chi ha perduto, per colpa sua o meno.
Il messaggio è analogo in Go, cavalcata quasi dance in cui Jesse Boykins III (voce dorata), Mike Golden (tuttofare di fama crescente) e Joey Purp (metà dei Leather Corduroys) procedono a testa alta, assicurando che la donna perduta è la parte sconfitta.
Benché il concept di fondo sia fitto e articolato, alcuni dei passaggi più navigabili dell’LP sono proprio gli attimi meglio sfoltiti.
Nothing Came To Me (si veda il teso cortometraggio di accompagnamento, si veneri eventualmente Cara Delevingne) è un dialogo tra eufonio e tromba, approfondita ricerca di equilibrio che si concretizza nove tracce dopo.
Something Came To Me è il raggiungimento dell’idea inseguita, il breve percorso somiglia ad un moderno e umile Sketches Of Spain.
Questions è un rilassato dubbio; Pass The Vibes è il sorriso finale, l’inchino soddisfatto di Trumpet.
SmthnthtIwnt chiama in causa Saba, amico di Chance reduce da un mixtape criminosamente trascurato l’anno passato. Sono due dei minuti più intensi dell’intero progetto, con un climax strumentale a fare da giusto epilogo al flow ora familiare, ora rabbioso del “Pivot” ventenne.
Sua assidua collaboratrice è Eryn Allen Kane, qui presente in secondo o terzo piano in quasi tutti i titoli; ulteriore sintomo di ricchezza è appunto la costante alternanza di voci maschili e femminili.
Rememory è il grottesco racconto di un divorzio e, dopo decenni resi vani da cartacce e tribunali, ecco la soffice terapia: mezzo minuto di Queen Erykah Badu, sul divano per custodire preziose memorie e garantire che ogni esperienza sia spessa corazza. In mezzo, passionali vocalizzi del giovane cantante soul britannico Ady Suleiman.
Jamila Woods è la cullante musa di Sunday Candy, singolo giallo e rosso e blu che trasforma in stupore la naturalezza di tutti i musicisti coinvolti, dando vita ad un irresistibile musical di duecento secondi.
Noname Gypsy apre Warm Enough, il momento lirico più alto in assoluto. Il beat è semplice, con lo snare a scandire in versi l’atmosfera delicata. Lei, qui come in “Acid Rap” unica MC donna della tracklist, costruisce figure struggenti quanto quelle architettate in Lost. Si scioglie e risale, ha il poetico orgoglio di chi ama senza ottenere gratitudine: sa di avere un nome e finché terrà il suo orizzonte nascosto, nessuno potrà vederla tramontare. Chance si aggrappa all’ultima metafora della prima strofa, decorando la narrazione con paragoni al solito disarmanti e ampi come grandi campi. J. Cole conclude con il suo tono positivo e un flow regolare dunque incontestabile.
Difficile da credere, alcuni collaboratori rimangono celati sotto strati e strati di fluidi pensieri: tra questi Raury (definibile senza troppa profanità una sorta di giovane André 3000) e BJ the Chicago Kid, entrambi presenti solo come voci di coro e songwriters di Windows. Quest’ultimo condivide la città natia con tutti i componenti del SoX, e non solo: da Chi-Town provengono tra gli altri King L, Joey Purp, Saba e gli O’My’s, a riprova della stima illimitata di cui gode un progetto così profondamente positivo e prolifico.
I messaggi si muovono e diluiscono ad ogni ascolto senza mai arenarsi nella sabbia. La copertina dimostra che la bottiglia è per tutti, ognuno leggerà il biglietto con la luce che preferisce; la pubblicazione in forma gratuita ne è la benvenuta conferma.
“Good things come to those who wait”, dice l’ottava traccia, adatta ad un ipotetico spinoff del Re Leone.
Donnie e compagnia aspettano volentieri, anche se le cose belle, a dirla tutta, sono già qui.