Ci sono due tipi di musicisti: quelli che soffrono e quelli che soffrono proprio molto. Justin Vernon, anima e barba dei Bon Iver, appartiene a entrambe le categorie. E lo dico con quella presunzione tipica dei giornalisti che scrivono su R###re e che le cose le sanno per definizione, senza indagine, senza esperienza, tutto ad un livello induttivo donato da madre natura Spotify trial version. Che poi mi sono chiesto, ma come fanno a dire “tizio si vede che soffre molto, è partecipe del dolore che racconta con la musica“. Ma che cazzo ne sanno? Magari è la persona più felice sulla faccia della terra e ha scritto una ballata malinconica solo per rimorchiare la sorella del bassista che si sa, è sempre una facilissima. E invece no, Justin Vernon è uno che soffre veramente, come i cani in Amores perros, anzi, vi dico di più: se fosse un film sarebbe senza dubbio Amores perros. La sua musica è triste, malinconica, amara, disperata. E poi, che cosa vi aspettate da uno il cui nome ricorda “Buon inverno”, la cucaracha? Le sue melodie sono un’esplosione di dolore cieco, uno strazio senza fine. E non portano a nessuna sorella del bassista, portano nel Wisconsin, dove Justin si ritirò in una baracca nelle dimenticate e desolate lande, insieme alla sua chitarra acustica e a chilate di paranoie. E anche tantissimo whiskey. Non di quello buono, ma di quello che ti fa sognare non la sorella del bassista, ma proprio il bassista.
Justin trascorre l’inverno a tagliare legna e a bestemmiare come un leghista qualsiasi. Nel frattempo la barba cresce, cresce molto. E poi scrive e registra queste canzoni dolorosissime, in falsetto, anche se forse non era il falsetto, ma solo il singhiozzo tra una crisi di pianto e l’altra. Era un periodo di merda, lo si percepisce pezzo dopo pezzo. E lui non fa niente per superarlo, o meglio: lo supera da dentro, scavando nel dolore, scrostando le ferite, cercando pace e redenzione. Durante questo periodo ha scritto e registrato la maggior parte delle canzoni che poi sarebbero diventate For Emma, Forever Ago uscito per la Jagjaguwar, un album di una bellezza disarmante, megafono di emozioni uniche e irripetibili. Vernon ci regala una performance piena di sentimento e rabbia che non ci si crede, con The wolves, per esempio, riesce a stratificare tonalità su tonalità del suo ipnotico falsetto, modificando i toni vocali con effetti semplici e devastanti allo stesso tempo, mentre la tensione cresce e diventa carne fresca, rossa, ferita a morte dal climax di percussioni che ci preparano ad un finale disastroso.
E poi è tutto sangue intorno. Fino a quando ad un certo punto dell’album, così senza motivo, si inciampa in una canzoncina chiamata Skinny Love, che tu l’ascolti e non capisci, ma poi pian piano capisci, ma più capisci e più non capisci, e poi c’è tutto sale intorno a te, e terra bruciata (Come on skinny love just last the year / Pour a little salt we were never here), e bagliori in lontananza, e una voce lacerante che ti sussurra nell’orecchio e tu ancora non capisci ma poi capisci, capisci sta cosa che forse l’avevi sentita dire da Camila Raznovich o da Mogol e cioè che i tuoi vecchi amori non li puoi cacciar via e sono sempre lì vivi nella tua testa. E questa vocina stridula non se ne va via, e ti caca il cazzo per ore, finché non hai mandato quel maledetto messaggio alla tua ex di cui ti penti amaramente ancora prima di averlo inviato. Io non so quanti messaggi ho mandato contro la mia volontà ascoltando Skinny Love. Non ero io a scrivere, era Bon Iver, mortaccisua.
E così diventa famoso, un famoso triste, la sua barba finisce sui giornali di settore, sulle magliette degli hipster tristoni. Va al Late Show di David Letterman, fa piangere tutti, la sua tristezza diventa mainstream. L’album entra nelle classifiche di vendita di Stati Uniti, Regno Unito e Paesi Bassi, oltre che nella Top 20 di Belgio ed Irlanda. Poi nel 2009 pubblica e registra Blood Bank per mantenere le paranoie allenate. È un EP composto da 4 tracce tristi registrate in quattro luoghi diversi durante periodi diversi (da dicembre 2006 a giugno 2008, tra appartamenti, strade, alberghi e studi), che svelano il lato più aggressivo di Bon Iver, nascosto da quella patina misteriosa di melanconia. Non è assolutamente ai livelli di For Emma, Forever Ago, ma ha voluto mantenere tutti sul chi va là.
Dal primo LP del 2007 l’approccio di Vernon nello scrivere e nel registrare è cambiato. “Non trovo più ispirazione da solo seduto giù con una chitarra“, dichiara a Pitchfork (capito? Pirchfork). Da una tocco squisitamente pop, la musica cambia e diventa più da camera, con molte venature sperimentali e arrangiamenti dinamici. Rimane, ovviamente, quella tristezza di cornice che non si lava via, ma ora è un po’ più impressionista, più sofisticata. Tutto questo è Bon Iver, Bon Iver (2011), Dentro c’è di tutto, da Peter Gabriel, passando per Kanye West e finendo con i Volcano Choir. Justin è cresciuto, il suono è più maturo, la melanconia più profonda. Holocene, il secondo singolo dell’album, è anche il nome di un bar di Portland, dove naturalmente ha gettato il sangue per qualche pena sconosciuta, ma è anche una canzone che parla di riscatto e dell’essere speciale e del non esserlo allo stesso tempo. Perché Dio è grande e affidabile, ma non esiste, o, se esiste, non fa nulla per dimostrare la sua potenza. In Perth ci sono addirittura delle chitarrine elettriche ma non fatevi ingannare, è un pezzo devastante, sconsideratamente autunnale. Inutile dirlo, l’album fa il pieno di successi, con una doppia vittoria ai Grammy 2012: “Best Alternative Music Album” e addirittura “Best New Artist”.
Però un po’ quella magia di For Emma, Forever Ago si è persa, ma non è una cosa negativa, anzi, la consideriamo una conseguenza dell’evoluzione del dolore, dello strazio. Come nei migliori film francesi che vincono a Cannes, Justin ha cercato nel fondo del proprio dolore, sopportando una solitudine che ha imparato a curare e soprattutto a vendere. Ha fatto il pieno di premi, di collaborazioni, concerti, ragazzine che si farebbero in quattro per leccarlo. La sua tristezza è diventata un brand, un marchio. Dopo un enorme tour ha deciso di riposare, di prendersi una pausa dalle paranoie. Ma a quanto pare sta per ritornare, Justin Vernon si è rifatto vivo e ha spiegato di considerare maturi i tempi per rimettere in attività quella cosa iniziata nel 2007 con “For Emma, forever ago” per la gioia di tutti i tristoni di questo pianeta. L’appuntamento è fissato per il prossimo luglio, quando Vernon e soci saliranno sul palco dell’Eaux Claires Music Festival (di cui Justin è direttore artistico). Pare che la performance non sarà un one-off per i Bon Iver, ma l’inizio del terzo ciclo della band. Preparate i fazzoletti, spegnete i telefoni e cancellate il numero delle vostre ex. La cazzata, quando c’è di mezzo Bon Iver, è sempre dietro l’angolo.