Lo scorso 25 maggio è uscito (per V4V Records e Lafine) “Giungla”, il secondo disco di 4 ragazzi che vengono da Busto Arsizio e dal 2008 si fanno chiamare Gouton Rouge.
Dopo un esordio interessante (“Carne”, uscito nel 2014), Francesco Roma (chitarra, voce e testi), Michele Canziani (chitarra), Eugenio Nuzzo (basso) e Dario Bassi (batteria) non hanno perso tempo: si sono chiusi di nuovo in saletta, hanno coinvolto un po’ di amici (tra cui Apash2012 e membri di Albedo e Belize) e hanno registrato un sophomore che spinge un po’ più su l’asticella, puntando a un suono post-indie a là Captured Tracks (ad uno dei cui artisti fanno dei chiari riferimenti, come leggerete) che ci piace un bel po’.
Giungla ve lo ascoltate qui sotto, impreziosito dal racconto che ce ne hanno fatto i Gouton Rouge:
11-18
Il primo pezzo di un disco è fondamentale. Volevamo che l’ascoltatore potesse pensare: con un inizio così non si scherza.
Ci abbiamo messo tutto quello che ci piace: ritmo serrato, monotonia, space echo, St. Vincent, distorsioni sature, distorsioni che si intrecciano, distorsioni ma non troppo, disordine controllato, farfisa e ritornello che invita al sing-along.
Benvenuti nella Giungla.
Giungla
A ogni musicista è capitato di avere un’intuizione per un pezzo in circostanze o momenti sbagliati, in cui lo strumento non è a portata di mano per concretizzare l’idea, magari prima di addormentarsi o quando non si è a casa: è un dramma. Giungla è nata così, canticchiando un giro di basso nella strada per andare a studiare in università, brindiamo a Garage Band.
Giungla è stato un pezzo che ha preso forma rapidamente ma che ci ha rubato molto tempo per concludere; viaggia su due soli accordi, ha una solida struttura basso e batteria e le chitarre ricamano le dinamiche. C’è qualcosa degli anni ’80 che più ci piacciono, non ha una struttura classicamente strofa-ritornello eppure suona incredibilmente pop, ma se ci fai caso nasconde qualcosa di cupo e tormentato.
Si tratta sicuramente di uno dei nostri pezzi più riusciti in assoluto.
Il testo è ispirato a un racconto di Philip Roth a proposito di un ragazzo che comincia a frequentare una molto molto più ricca di lui. Brindiamo.
Hasselhoff
Hasselhoff è la prima canzone che abbiamo scritto di questo disco.
Per noi ha rappresentato il passaggio dal sound di Carne a quello di Giungla.
Era settembre e il nostro prossimo disco suonerà così.
È stato uno dei pezzi che abbiamo scritto più in fretta, però che fatica convincere Michele che il giro di chitarra che ha scritto è una figata: “troppo Joy Division, troppo Joy Division”… troppo Joy Division un cazzo. Alla fine l’abbiamo portata a casa.
Hasselhoff racconta la storia di due senza tetto che hanno perso tutto e stanno perdendo la voglia di ricordare il proprio passato al punto da inventarsene uno fittizio.
Questa canzone si è chiamata a lungo Biscottino, all’ultimo e a causa di forti pressioni abbiamo cambiato il titolo in Hasselhoff, non chiedeteci perché, cercatelo su youtube.
Demoni nel sonno
Demoni nel sonno è la canzone con più ritornelli nel disco: 3 o forse 5, in base a come li conti. Si tratta di un brano molto eclettico che include influenze lontanissime; si struttura su un giro di basso e batteria in loop e all’improvviso si apre il ritornello e poi si accendono le distorsioni, poi ancora ritornello e strofa e via così: un continuo saliscendi di dinamiche e uno dei brani della cui registrazione siamo più soddisfatti.
Gabbiano
Gabbiano è indubbiamente il pezzo del disco più affine a Carne. Ha botta e tiro e finisce prima ancora di essertici abituato.
è uno di quei pezzi che dà il meglio dal vivo, divertente da suonare e potente da ascoltare, ci siamo rifatti alla scena garage-punk-lofi californiana.
Un giorno suoneremo Gabbiano e qualcuno farà crowd-surfing.
Surf
Ogni volta che alle prove facciamo Surf, quando attacca lo strumentale ci guardiamo stupiti e soddisfatti, complimenti a tutti quanto siamo stati bravi qua.
All’inizio era un pezzo diversissimo, era superorecchiabile eppure qualcosa non girava. Poi Michele ha scritto quel giro di chitarra magico e il pezzo è decollato, sezione ritmica alla The National, ritornello in falsetto e finale nostalgia.
Abbiamo invitato Raniero degli Albedo a cantare in questo pezzo: quando è venuto in studio e ha cominciato a cantare ci è venuta la pelle d’oca, è un vero cantante di cuore.
Sappiamo che è la traccia preferita delle mamme di chi ci ascolta.
In Surf c’è un palese riferimento a Mac DeMarco, vediamo se lo cogliete!
Demoni di un giorno
Il giro di chitarra di Demoni di Giorno è nato per dare vita alla nostra Range Life, siamo andati in fissa con quel pezzo e con il video in cui Malkmus e compagni fanno i pazzi nei festival e sono felici ma il tempo scorre e cazzo volevamo esserci anche noi lì con voi e ci mancano quei momenti anche se non li abbiamo mai vissuti.
Poi il pezzo ha preso un’altra piega: strofa brillante e ritornello cupo, strumentale viaggione con un tocco di psichedelia. Quando abbiamo finito di registrarla eravamo indecisi se metterla o no nel disco, poi Martin dei Pashmak ci ha registrato un noise di violino che ha dato la svolta al pezzo. Ci sentiamo qualcosa di shoegaze, forse. Chiudete gli occhi e provate a viaggiare.
Sulle mie labbra
Sulle mie labbra è stato l’ultimo brano scritto del disco, è nato come il classico “riempitivo”, non eravamo molto convinti se non per il testo ispirato a Sur mes levres di Jacques Audiard. Una volta registrata abbiamo capito che aveva una gran botta e un gran tiro, così saturo di belle distorsioni, era una canzone che mancava in questo disco e ne è diventata un elemento imprescindibile; è uno dei pezzi che sta piacendo di più del disco e anche uno di quelli che preferiamo suonare dal vivo.
Portami sul tetto Alfredo.
Ogni domani
Ogni Domani è il pezzo che credevano non avremmo mai scritto. Intimità ultraterrestre. Volevamo una voce femminile che si intrecciasse alla nostra, ma dopo varie vicende abbiamo deciso di vincere facile e abbiamo fatto cantare Fabio aka Apash2012.
Per tutta la durata del pezzo ci sono delle congas, le ha suonate Lele, che è il papà di Dario.
Alla fine c’è una sorta di gospel in cui han cantato tutti gli ospiti del disco.
Siamo troppo timidi per suonarla dal vivo, l’abbiamo fatta solo una volta, perché non conoscevamo nessuno nel pubblico. Vediamo domani.
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