Sono questi i colori del fratello piccolo del Primavera Sound di Barcellona. E nella prima settimana di giugno sono esplosi. Il Parque da Cidade che ha ospitato il Nos Primavera Sound del 2015 è una location che fa invidia al fratello più grande con degli anfiteatri naturali che hanno potuto ospitare i 4 palchi del festival. Arcobaleno di gruppi, di pubblico e di natura, dunque.
La giornata di giovedì è iniziata sotto la guida di un bellissimo sole con i portoghesi Bruno Pernadas che hanno fatto gli onori di casa. I Cinerama e Mikal Cronin sono le band che accompagnano il pubblico attraverso il parco tra uno stage e l’altro in attesa del primo momento importante della giornata. La scelta più tardi tra Mac Demarco o il reading di Patti Smith è un po’ scontata. Patti la ritroviamo anche il giorno dopo. Abbiamo scelto il primo e non ci siamo pentiti. Sul palco è tutta festa e risate, prosecco e marlboro. L’ironia del canadese riesce a trasformare l’atmosfera imponente del palco in un informale spettacolo da club. Ci spostiamo dall’icona FKA Twigs che ipnotizza come al solito. Stormi di ragazzini lanciano grida dalle prime file ad ogni movenza. Uno spettacolo meno coreografico di quello che ci aveva regalato a Milano, ma sempre impeccabile. Sul palco principale è ora degli Interpol e mentre ti aspetteresti solo una certa fascia di ascoltatori, ti guardi intorno e realizzi che di fianco a te c’è il cinquantenne, il single, le amiche del cuore e la famiglia con prole. Stranezze dell’estero, senza dubbio. Show perfetto, ci godiamo The Juan Maclean velocemente, per finire a nanna con Caribou (non proprio una ninna nanna, ma tengono svegli fino al ritorno a casa).
Il venerdì si apre con il Brazil in Portugal grazie alla BANDA DO MAR che iniziano a far galleggiare il pubblico davanti al Nos Stage. Ci trasferiamo al palco Super Bock per i Giant Sand che con una band di ben sette elementi ci mescola le orecchie con soul, southern rock, country e ballads… Dopo un saluto veloce di un paio di pezzi ai Viet Cong, ci sistemiamo davanti al palco per non far scortesia a sua Papessa Patti Smith e per riascoltare Horses senza il fruscio del vinile. Forse il Nos Stage necessitava di una sputacchiera. La calamita britannica di shoegaze e sintetizzatori ci fanno arrivare all’ATP Stage per i YOUNGHUSBAND. E l’arcobaleno del Nos Primavera Sound ci catapulta al Pitchfork per la rinascita del kiwi-pop dei Twerps, sonorità surf e beat per i sorrisi di molti. Mentre ti siedi sul prato umido per goderti il live a tutto volume dei Replacement che ti spettina e rifà la riga, ti annunciano tra un pezzo e l’altro che quella è l’ultima volta che li vedi live. Ultima volta. Di sempre. F4. Ignoriamo Sun Kil Moon, sappiamo che è figo, ma se la tira troppo. E poi non si fa fotografare. Raggiungiamo, dopo un breve ascolto degli Spiritualized, il palco che ospita i Belle & Sebastian. Come al solito migliaia di persone davanti a Stuart Murdoch, la colonna sonora di una discoteca all’aperto; finale con il pubblico sul palco a ballare in mezzo alla band scozzese. Giusto il tempo di raggiungere il main stage che alle 00.07 sale sul palco una orchestra. L’orchestra, in bianco, attende. E puntuale alle 00.15 appare sullo stage Antony and the Johnsons. Dietro di lui, un documentario giapponese avanguardista , anni 70. Davanti a lui un oceano di visi trepidanti e rigati di lacrime. Non scherzo. L’atmosfera irreale del silenzio che ci circonda è interrotta solo da singhiozzi di pianti di tanti fan del cantante americano. Poi i Jungle. Ci si scatena. Ci si trascina. Si fa notte.
È sabato e il Parque è pieno già dalle prime ore del pomeriggio. Nonostante il traffico arriviamo in tempo per goderci l’inizio del concerto del padrino dell’indie Thurston Moore e l’aria è elettrica. L’ATP Stage nell’ultima giornata ha ospitato solo leggende della musica e dopo una breve occhiata agli ultimi pezzi di Baxter Dury e dopo essere stati lasciati a bocca aperta dallo show incredibilmente esplosivo dei Foxygen (il meglio fra tutti, una prece apprendere che forse si scioglieranno), torniamo per le BABES IN TOYLAND, ancora grintose sotto gli occhi di uno spettatore particolare, Mr Moore dei Sonic Youth che le ha precedute. Il palco principale si denuda e lascia davanti alle casse spia solo una pedaliera, cinque chitarre e un faretto; sono le 21 ed è il momento atteso, Damien Rice entra imbracciando una chitarra rattoppata con lo scotch in più punti, in un tripudio di applausi. Damien possiede LA voce. Per la sezione “noi siamo noi” sull’ATP è il momento degli EINSTÜRZENDE NEUBAUTEN. E come rito giornaliero sotto il palco ci sono i Big (Thurstone, le Babes e molti altri, me li ritrovo come compagni di pit), a godersi in prima fila La Storia. Dopo le sonorità teutoniche torniamo alle suoni d’oltreoceano con i Daath Cab For Cutie e poi subito a seguire il punk delle EX HEX. Sul Nos stage arrivano i RIDE e la storia dello shoegaze riprende forma e contenuto. Finiamo la giornata tra gli Shellac e i The New Pornographers. Il bus ci riporta verso casa verso un riposo lunghissimo.
Che festival. Che giorni. Nulla da invidiare a Barcellona, molto più vivibile proprio perché più piccolo, ma con lo stesso livello qualitativo: i cambi tra un palco e l’altro permettono di non mangiarsi le mani ogni due per tre. Gli spostamenti sono veloci, il verde del parco rende tutto più estivo e comodo (rispetto al cemento del Primavera), e fare pic nic diventa obbligatorio.
Un’esperienza da rivivere, sperando mantenga intatta nel corso del tempo questa magica intimità che ti accompagna per tutta la durata del festival.