Quando qualche settimana fa fu pubblicato un teaser video con la voce sottile di Janet Jackson che annunciava il suo ritorno sulle scene, dopo quasi 7 anni di assenza, mi sono limitato a passare oltre. Molte delle icone del passato che tentano a scadenza fissa di restare sulla cresta dell’onda (vedi Madonna) sono vittime e complici allo stesso tempo delle case discografiche (nel caso specifico la BMG) e delle società che organizzano i concerti. L’album da pubblicare è, nella norma, un pretesto per rifocillare i propri conti bancari attraverso le vendite del tour.
I promised you’d hear it from my lips and now you will.
This year: new music; new world tour; a new movement. I’ve been listening. Let’s keep the conversation going.
Come non detto, per fortuna Janet aveva bene in mente come accontentare praticamente tutti. No Sleeep è un ritorno in grande stile. Ad alcuni potrebbe suonare come una B-Side qualunque di The Velvet Rope (1997), ma proprio per questo si allinea perfettamente con il trend della black music degli ultimi anni che spesso è andata a ripescare esattamente in quel capolavoro della sua carriera. Andatelo a chiedere a Tinashe, Fka Twigs e Ciara ad esempio.
Purtroppo, soprattutto in Italia, la storia discografica della sorella più piccola della numerosa famiglia di Gary (Indiana) è stata nettamente sottovalutata e lasciata nell’ombra, causa l’imponenza mediatica del fratello maggiore. Mentre Mj incominciava un inesorabile e triste declino con un’era History a dir poco deludente tra il gossip sul proprio stato di salute, vendite dimezzate e stadi mezzi vuoti, Janet, in quegli anni, fu lodata dalla critica e apprezzata anche dal pubblico meno mainstream. Basti pensare alle 27 tracce dell’altrettanto ottimo janet., alle 22 di The Velvet Rope e ai singoli di lancio come Got til it’s gone che vantava un remix ufficiale di J Dilla, un feat di Q-Tip (il sample di Joni Mitchell) e un Grammy come miglior video dell’anno. Un pezzo che gira oggi come nel 97 e sembra uscito una settimana fa.
Erano gli anni della collaborazione di Jimmy Jam e Terry Lewis, due produttori che gli amanti della black music conosceranno sicuramente e che hanno influenzato il sound R’nB e pop a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Usher, Boyz II Man, TLC, Spice Girls, MJ, Prince e altre decine di artisti devono sicuramente molto del loro successo a queste due leggende.
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Janet was inspirational. To this day, when we pick artists that we want to work with, it’s because when you either hear them sing or see them perform or have bought past projects of theirs, whatever it may be, we ask ourselves ‘Do they make us want to write a song?’ And with Janet, it was like the floodgates opened. I couldn’t wait to get in the studio[/column]
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Janet è maturata con Jimmy Jam e Terry Lewis a tal punto da disconoscere quasi del tutto i primi due album (Janet Jackson, Dream Street) che col senno di poi si allineavano perfettamente allo stile melenso e candy pop di quel periodo storico, in cui spesso risulta difficile distinguere una voce dall’altra, hit dozzinali dimenticate dai più ad esclusione di un paio d’episodi. Ma non è stato, o sarebbe meglio dire rimasto, sempre tutto rose e fiori.
Il declino di Janet è coinciso con la scelta di liberarsi di una certa immagine che l’aveva caratterizzata fino ad allora, negli anni successivi a The Velvet Rope, in cui fallì di netto la scelta dei produttori e c’è chi dice anche i compagni di vita. Sta di fatto che dopo il 2001 e dopo All For You il declino è stato rapido e sinceramente anche immotivato visto che, tra alti e bassi, comunque i suoi lavori non hanno mai subito (eccetto Damita Jo, 2004) cadute di stile irrecuperabili.
I testi dei suoi brani sono sempre stati molto personali e autobiografici, ma nessuno dei suoi lavori successivi ha più raggiunto quel punto di apparente sincerità presente in janet. o TVR, sicché ciò che è avvenuto tra il 2004 e il 2008 è sembrato anche ai fan più irriducibili come il volo pindarico colorato di un’eterna adolescente (a Madonna fischiano le orecchie per la seconda volta), pregno di tematiche a sfondo sessuale.
Qui sotto uno delle ultime apparizioni degne di nota, nel 2000, per un pezzo scritto proprio da Jam & Lewis.
La storia discografica di Janet sembrava potersi interrompere definitivamente proprio nel 2008 con il rilascio di Discipline, tra i disturbi alimentari, l’influenza psicologica e musicale del marito produttore Jermaine Dupri e il distacco definitivo dal duo che fino ad allora aveva capito esattamente cosa e come tirar fuori l’immenso talento della cantante. Nonostante le recensioni entusiastiche e i paragoni con la golden age, i tempi sembrano remarle contro ed essere ben lontani da capolavori come That’s the way love goes, sia in termine di vendite che di risonanza mediatica.
Qui sotto trovate il video della traccia, interpretato da un Justin Timberlake in procinto di spiccare il volo (nel video originale si nota una certa Jennifer Lopez alle prime armi, tra le ballerine), in occasione del primo MTV Icon nel 2001, a lei dedicato.
E invece rieccola nel 2015 con una traccia che riprende proprio quello stile, ma attualizzandolo, rendendo coerente ─ in relazione al periodo storico ─ la sua cifra stilistica e la sua intera discografia. Volete sapere da chi è prodotta la traccia?
Proprio da quel Jimmy Jam e da Terry Lewis.
Aspettiamoci il meglio.