Essenzialmente siamo di nuovo nel 2005: le persone sono sempre attaccate al telefono, indossano tute, huarache e ascoltano grime – le ultime due sono abitudini che rientrano anche nella routine del sottoscritto. Tra il 2004 ed il 2005 Kanye West pubblicava i primi due dischi solisti, “The College Dropout” e “Late Registration”. 10 anni dopo si ritrova headliner a Glastonbury con tanto di grottesca petizione contro che ha accompagnato l’intero periodo pre-festival ─ oltre alle minacce di morte ad una degli organizzatori, Emily Eavis.
Kanye decide di affrontare la folla da solo e senza alcuno sberleffo / captatio benevolentiae – almeno all’inizio. Mentre infatti Jay-Z nel 2008 cominciò la sua esibizione con una cover di Wonderwall, Yeezy si presenta da solo sul palco, in una sorta di uno contro uno. 30 canzoni ed un avvio particolarmente aggressivo che coinvolge un pubblico urlante, creando una simbiosi tale che nemmeno l’invasione di uno sciocco comico inglese riesce ad interrompere. L’impatto di una sagoma da sola che lotta contro gli altri ed i suoi demoni è qualcosa che resta impresso.
Forte di questa atmosfera creatasi K West sembra scherzare con la folla e – quasi a volersi vendicare – si rapporta in maniera anomala al suo repertorio: interrompe sul più bello brani potenti e cattura folla, lascia molto spazio alle ballad piene di autotune, fa calare in maniera netta e chiara l’energia nella parte centrale con monologhi per introdurre Justin Vernon – “one of the baddest white guys on the planet.” – o per dichiarare il suo imperituro amore verso Kim Kardashian – “She brings this poetry out of me.” per poi riprendere il controllo della situazione e far alzare – letteralmente – la temperatura con Jesus Walk (con razzi che partono dalla folla).
Si arriva poi al Coup de théâtre dopo il break con Ye che porta il concetto di Touch The Sky ad un altro livello presentandosi su di una gru sovrastando il pubblico.
Torna sul palco e parte una cover karaoke di Bohemian Rhapsody prontamente ribattezzata Bohemian Rhapsod-Ye per poi fare la kanyeata che tutti si aspettavano:
“You are now watching the greatest living rock star on the planet.“
Che – spiace dirlo ai detrattori – ma è un dato sempre più oggettivo e i guizzi che West ha voluto concedere alla folla ne sono la testimonianza più evidente. D’altronde, per definizione una rockstar non scende a compromessi con nessuno, e Kanye West in questa esibizione è stato semplicemente se stesso, non ha provato ad assecondare una folla che non vuole accettarlo, è semplicemente andato su uno dei palchi più importanti del mondo ed ha fatto la sua cosa. È questo che fa una rockstar. Ed è quello che ha fatto Kanye, sempre conscio del fatto che Even if you in a Benz, you still a nigga in a coupe.
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SETLIST
- Stronger
- Power
- Black Skkknhead
- Niggas in Paris
- All Day
- Cold
- Clique
- I Don’t Like
- Mercy
- New Slaves
- Blood on the Leaves
- Heartless
- I Wonder
- FourFiveSeconds
- Lost in the World
- Hold My Liquor
- No Church in the Wild
- JESUS WALKS
- Diamonds from Sierra Leone
- Bound 2
- Runaway
- Only One
- Touch the Sky!
- All of the Lights
- Good Life!
- Bohemian Rhapsod-Ye
- Can’t Tell Me Nothing
- Gold Digger
- THE GREATEST LIVING ROCK STAR ON THE PLANET!
- ALL FALLS DOWN
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