Il mini-tour che ha portato D’Angelo ad esibirsi nelle caldissime notti italiane ha fatto tappa a Roma e a Milano. Diversi membri della nostra redazione non si sono fatti sfuggire l’occasione di partecipare al concerto e si sono ritrovati nella data milanese, il 7 luglio, all’Estathé Market Sound. L’aspettativa di partecipare a qualcosa di quasi mistico era evidente, non si torna dopo 15 anni di inattività con un disco come quello, se dentro non hai qualcosa che va un passo oltre la musica, forse due.
E per questo che un report tecnico della serata avrebbe avuto poco senso, meglio provare a rispondere, con le proprie sensazioni, alla domanda: how do we feel D’Angelo?
Irene Papa :
Cosa hanno in comune Quincy Jones, Beyoncé e Craig David (no, non è il colore della pelle)? La fortuna di poter ritrovare un pezzetto di se stessi nel corpo soul di un artista come D’Angelo. Il cantante americano sbarcato in Italia con il tour di Black Messiah, ha fatto scuola negli anni ’90, ma ha anche appreso tanto dai suoi contemporanei. Sul palco ha tirato fuori una fisicità pazzesca, una voce benedetta dal Signore e una capacità di orchestrare la band attraverso il filo magico dell’intesa invidiabile a pochi big come il sopracitato Quincy. Perfezione liquida, attitudine comunicativa stellare. Guardare D’Angelo è come assistere alla definizione di un classico che troveremo allegato a TV Sorrisi e Canzoni tra vent’anni.
Mirko Carera:
Aspettavo di vedere D’Angelo da 15 anni, da quando Brown Sugar venne a completare quella mancanza lasciata da Prince, ormai lanciato verso improbabili tafkap e altre amenità. Ho sempre associato D’Angelo a Prince per musicalità, estro compositivo e interpretazione del groove e sensibilità funky. Black Messiah non ha fatto altro che solidificare le mie convinzioni, il live le ha definitivamente cementate. D’Angelo l’altra sera ha confermato non solo di essere l’erede del folletto, ma di mirare diritto all’Olimpo dove si suona il funk con gli dei. Un party completo e incredibile dove tutto ha funzionato alla perfezione, tutti coinvolti: dai ragazzi freschi conoscitori alle persone più attempate e magari goffe nel ballare, ma a tempo e con gli occhi luminosi. Una band superlativa, le ragazze del pubblico con occhioni sognanti e lui tra il Prince pre-Lovesexy e il James Brown assatanato dei tempi migliori, entusiasmante nel non perdere una notapur tra balletti, mossette e stacchetti. Un maestro di cerimonia completo, maturo, ci regala uno dei concerti della storia. Su Brown Sugar, suonata ancora più fresh che nell’originale, io e Giulia ci siamo avvinghiati in un balletto improbabile, letteralmente magnetizzati come se il re suonasse solo per noi. Lo show finisce con una jam di 24 minuti da consumarsi le mani, consci del fatto che chissà se lo rivedrai e di aver assistito ad un live che entrerà negli annali, pronto a trasformarsi in leggenda nelle parole di chi per tutta l’estate non parlerà d’altro.
Stefano Zago:
Ho iniziato a fare il rap grazie a Snoop ed ho iniziato a cantare grazie a D’Angelo, mio preferito indiscusso da sempre. Appena arrivato ho trovato Mirko che mi ha chiesto cosa mi sarei aspettato dal concerto e gli ho detto “di piangere“. Così è stato. Il pubblico è formato per la maggior parte da veri appassionati di musica, musicisti, dj, produttori, mc’s e, dalle chiacchiere che si sentono passando tra la gente, capisci che tutti ne sanno. Non ci sono tante persone (o perlomeno non quelle che mi sarei aspettato) e, miei cari assenti ingiustificati, siete proprio dei baluba a non essere venuti, semplicemente perché è stato il concerto della vita.
Il live inizia ed io ancora non ci credo. Ho questo sorriso ebete e di gioia pura che non mi si leva proprio più. Le canzoni sono tutte legate tra di loro che meglio non si può fare (mi è venuto un brivido ora ripensandoci), tutto studiato nei minimi particolari e perfetto e naturale al contempo. I musicisti sul palco si divertono e capisci che hanno un feeling straordinario tutti insieme. Miei preferiti: Chris Dave (batteria) e Pino Palladino (basso), ma giusto perchè ci sono affezionato e voglio loro un gran bene. Il pubblico viene coinvolto in una maniera incredibile e se provi a guardare in faccia qualcuno, sono tutti al settimo cielo. Tutti si muovono, tutti si stupiscono, tutti vivono. How does it feel è il più bel pezzo mai sentito suonato live e, quando D’Angelo e Chris si abbracciano, gli occhi diventano lucidi e sorridi perchè sai esattamente cosa vuol dire quell’abbraccio.
Grazie D’Angelo, grazie The Vanguard. Il concerto più bello della mia vita.
Dariush Aazam Rahimian:
La strabiliante cura con cui ha conservato la sua identità in quindici anni d’ombra, l’incredibile sintonia fluente tra dieci musicisti di anima black e di cornice perfetta.
Le epopee funk si incatenano con mai macchiata energia, mentre i sentieri neosoul risultano ora soffici, ora strazianti nel miglior senso possibile. Densità di pubblico a parte, il secondo live italiano in due giorni è esattamente quello che un concerto deve ambire ad essere. I The Vanguard iniziano a suonare senza D’Angelo, lui conclude senza di loro: quasi non se ne vuole andare, fino a tirare fuori litri e litri di amore per la musica. Non tradirà mai il suo cuore, dice, e conclude con la domanda più preziosa di tutte:
How Does It Feel?
It feels real, risponderei.