Il 5 Dicembre del 2014 ho scritto per la prima volta al management dei C’mon Tigre per richiedere un’intervista. Il loro album d’esordio, omonimo, era appena stato rilasciato, ed era facile venirne rapiti dalle sonorità, dal mistero, da quel modo così intelligente di far musica senza generi, senza collocazione geografica e fondamentalmente senza tempo.
E questo infatti avvenne, fui rapito da quelle 13 tracce che hanno sempre mantenuto un posto nel mio affollato iPod. È forse il principale merito della musica dei C’mon Tigre, quello di essere senza tempo e senza stagioni (per quello che significa). Riusciresti a trovare un momento per ascoltare l’intro di Welcome Back Monkeys in qualsiasi occasione, o meglio, dovresti davvero trovare quel momento.
In genere quando riascolto l’album mi fermo, prendo una pausa da tutto quello che sto facendo. Succede quando ho voglia di sentirmi bene, di essere sospeso chissà dove ad ascoltare musica, qualsiasi genere sia.
Quell’intervista non si fece, e ad oggi non riesco ancora a trovare un vero motivo, ma fu colpa mia, nonostante avessi le domande già pronte. Sono stato quindi molto contento quando la settimana scorsa mi si è ripresentata l’occasione di porgergliele, quelle domande, mescolandole a tutta una serie di sensazioni che possono maturare solo ad un ascolto più approfondito.
Alla fine, i C’mon Tigre hanno ricevuto le mie domande.
Vengo da una serie di sessioni di visione ossessivo-compulsiva di True Detective e, riascoltando il vostro album a distanza di qualche mese, non ho potuto fare a meno di notare quanto sarebbero perfette alcune tracce per far da colonna sonora e sigla a serie tv e film.
È una cosa che vi piacerebbe fare?
Sicuramente. Ci piace legare la musica ad un immaginario visivo, siamo convinti che questo sia un percorso naturale, implicito anche quando non evidenziato. Ci interessa molto come processo di fusione, anche l’idea di sviluppare dei film musicali e non dei videoclip. Non escludiamo di lavorare anche nell’ambito delle sonorizzazioni di opere visive, prima o poi.
A cosa avete pensato la prima volta che avete cominciato a far musica col progetto C’mon Tigre?
Abbiamo raccolto degli appunti, come un diario di bordo, e delineato un ensemble di strumenti che ci sarebbe piaciuto utilizzare, le cui sonorità ci sembravano appropriate. Fondere idee e stabilire in linea di massima con che mezzi svilupparle è stato il primo passo, poi, pian piano che il progetto ha preso forma, ha sviluppato una propria personalità, si è delineato un carattere che ci siamo divertiti ad assecondare.
Il nome che avete scelto sembra un rimando al modo in cui affrontate la musica? Musica che avete definito in qualche intervista, se non sbaglio, contaminata.
Il nostro nome è già frutto di contaminazione, c’è la tradizione e lo slang urbano, c’è il Medio Oriente e l’America. È allo stesso tempo provocazione (C’mon Tigre) e protezione (C’est mon Tigre). Il nostro nome è un abito di sartoria.
Come si fa a far viaggiare così tanto la musica ( “C’mon Tigre talks about the fascination that Africa holds in a tales that stretch along a curve line from San Diego to Bombay.” ) senza perderne in identità?
Credo sia necessario innanzitutto utilizzare le varie influenze, pescare dal bagaglio di ognuno mantenendo un’equità quasi religiosa rispetto alle parti. Mi parrebbe appropriato il termine integrazione. Così, se alla base c’è un’idea chiara, si crea un vera e propria identità. Che non cambia, a dispetto del genere, del luogo, di qualsivoglia variabile.
Non posso esimermi dal chiedervelo: quanto vi aspettavate la grossa ondata di afrobeat, world music e via discorrendo arrivata in Italia durante l’ultimo anno? E soprattutto, ascoltate musica italiana?
Poco in realtà, nonostante fosse forse prevedibile, sai no? Il gioco della ruota secondo cui tutto prima o poi ritorna…Siamo spesso affascinati dalla possibilità di prendere spunti da parti differenti per poi rielaborare il tutto. Ci piace molto la componente world, il funk, ed è davvero un tentativo interessante iniettare ogni tanto delle dosi di elettronica, che sia nelle ritmiche o su pattern.
Certamente ascoltiamo musica italiana. Ascoltiamo davvero molto materiale.
Alcuni dei pezzi del disco suonano squisitamente jazz. Quanto è importante per voi?
E’ importante quanto qualsiasi altra influenza tu possa ritrovare nel nostro lavoro. Certi brani richiedono un’attitudine più funk, altri rallentano su ritmi terzinati, altri ancora si sviluppano avvicinandosi al jazz. Di sicuro è importante che tutto volga a costruire il brano secondo la spinta che gli è necessaria. Ma il jazz conserva l’istintività del musicista, dal vivo è una sorpresa continua, è la meraviglia di poter ascoltare ogni volta note in una successione nuova. Questo ci piace molto. Mantiene il tutto in uno stato di mutevole leggerezza.
Quanto vi piace il calcio? Che squadra/e tenete?
Molto, come sport in sé, ma credo che non potresti incontrare persone più distanti dal mondo del calcio in generale di noi. Ci piace quello che il calcio provoca sull’uomo, quanto riesce a scuoterlo.
Mi interessa molto sapere in che modo coinvolgete l’enorme lista di collaboratori che compare, ad esempio, nel comunicato stampa. Bastano anche un paio di esempi.
La realtà è che collaboriamo con molte altre persone al di fuori di quel comunicato stampa, il comunicato a cui fai riferimento parla solo del nostro primo disco e delle collaborazioni inerenti. In che modo abbiamo coinvolto quei musicisti è presto detto, alcuni erano già amici, altri sono frutto di incontri casuali, persone in cui letteralmente inciampi mentre cammini guardando altrove e benedici il momento in cui sei caduto, altri ancora sono stati cercati proprio per le loro caratteristiche musicali, raggiunti e coinvolti nel progetto.
Un esempio di questo tipo è l’incontro con Danny Ray Barragan aka DRB, meraviglioso batterista di San Diego, CA, che abbiamo cercato specificatamente. La fortuna vuole che ci siamo poi anche ritrovati amici dopo aver anche suonato assieme. Lui assieme a Jessica Lurie ed Enrico Fontanelli (ciao amico mio :) ) hanno suonato, contaminandola fortemente, in A World Of Wonder, la traccia usata per il nostro secondo film d’animazione diretto da Danijel Zezelj, in anteprima mondiale su Nowness proprio in questo giorni.
Esempio differente è Pasquale Mirra, autentico talento del vibrafono, che ha partecipato alla composizione di alcuni momenti importanti del disco ma soprattutto porta la sua energia in giro con noi. Fa parte della nostra famiglia da palco. Abbiamo deciso, per ovvie ragione logistiche, di ridisegnare il nostro palco in questa prima fase di live, cercando altri musicisti ancora. Processo stimolante quanto complicato. Il risultato ci ha letteralmente sorpreso, nuova linfa alle composizioni, tanta tanta energia in più. Siamo molto felici di tutti i musicisti che gravitano attorno a C’mon Tigre, se ci riunissimo tutti assieme potremmo tranquillamente riempire un ristorante da matrimoni.
Ho fatto fatica a trovare un intento unico nel vostro disco d’esordio: mentre pensavo potesse parlare di “società” (in senso lato), ho pensato potesse coprire situazioni più riferibili alla “vita”. Senza per forza dover parlare del disco specifico, qual è l’intento con cui vi sedete a far musica, e a scrivere un album?
C’è un intento che guida il processo creativo, senza dubbio, ma delinearlo riguardo un lavoro del genere è piuttosto difficile. Ci concediamo parecchio tempo solitamente, ma non abbiamo un metodo particolare. Riferendomi a quanto hai citato, termini come “società” oppure “vita”, la via che ci viene da seguire, nell’ordine, è quella di assimilare, trattenere l’indispensabile e poi scriverlo. Oltretutto la musica ti offre dettagli e spazi, potenzialità assolutamente oltre il resto dei sensi.
Come continuerà la vostra promozione nel mondo della musica? Avete intenzione di palesarvi prima o poi? E, scusate l’ovvietà della domanda, perché avete scelto l’anonimato?
Non saprei nello specifico, viviamo C’mon Tigre come una specie di famiglia allargata, ci piace parecchio l’idea che possa mutare in base alle persone coinvolte, allo spirito del momento. Così vale per tutte le cose connesse, promozione compresa.
Ci siamo già palesati per ciò che ci riguarda, puoi vederci suonare dal vivo, siamo noi. In quanto alla scelta dell’anonimato, viene dalla volontà ben precisa di convogliare tutta l’attenzione sul progetto, non su qualcuno di specifico, ma piuttosto nel suo insieme, puntando dritti alla musica, e soprattutto a tutti coloro che ci hanno onorato della loro preziosa collaborazione. La parola io non ci piace, ci piace la parola noi, e C’mon Tigre è un noi, non sarebbe stato così se avessimo pubblicato i nostri nomi. Non c’è altro.
I C’mon Tigre saranno tra i protagonisti di A Night Like This Festival.