92 minuti. Di applausi e di gran musica.
Sì, avete letto bene: stiamo parlando di Miley Cyrus.
A pochi giorni dalla disamina critica ad opera dei nostri amici di Studio, piomba come un fulmine a ciel sereno il mastodontico album Miley Cyrus & Her Dead Petz, lavoro prodotto in gran parte da quel fulminato d’eccellenza di Wayne Coyne dei Flaming Lips, divenuto nell’ultimo anno una sorta di guida spirituale per la female rebel di Nashville. Oltre a Coyne, una pletora di ospiti: il fidato Big Sean, Ariel Pink (parlavamo appunto di adorabili scoppiati) e Sarah Barthel dei Phantogram.
Il risultato? Mutuando un’espressione molto in voga in rete, questo disco è AOTY material, ovvero un papabile album dell’anno. Papabile per la bontà delle composizioni, arrangiamenti, produzioni e e performance canora della nostra (voce pazzesca la sua, ragazzi!), ma ahimè penalizzato da una lunghezza sin troppo titanica che appesantisce quello che sarebbe potuto diventare la gemma pop del 2015. Quella che seguirà, perciò, non è una recensione, ma una sorta di selezione ragionata (di tracce o gruppi di tracce) per orientarvi in questo mare magnum di un’ora e mezza che abbraccia una varietà squisita di generi.
Dooo It
Al netto di un video che neanche il migliore How To Basic avrebbe potuto partorire, la traccia richiama certe sonorità witch-house che ci garbano un sacco. E l’inciso Yeah I smoke pot, yeah I love peace/ But I don’t give a fuck, I ain’t no hippy rimane appiccicato come glitter caramellato. Non perdetevi per nessuna ragione la straripante e coloratissima performance ai VMAs.
Karen Don’t Be Sad e The Floyd Song
Words are flowing out like/Endless rain into a paper cup. Basterebbe l’incipit di Across the Universe dei Beatles per inquadrare queste due ballad riuscitissime (la seconda dedicata all’husky di Miley Cyrus morto l’anno scorso, da qui il titolo dell’album) dal sapore psych-folk che strizzano l’occhio a qualsiasi cosa pubblicata su Yoshimi Battles.
Space Boots
Irresistibile, cadenzata, arrangiata come un pasticcino ritmato. Ancora Flaming Lips, certo, ma anche Air (Sexyboy) e chitarre liquidone alla Fripp. Come fluttuare nello spazio senza casco muovendo un po’ i fianchi. Produce Oren Yoel, già al lavoro con Miley Cyrus per Adore You (e si riconosce benissimo il suo zampino).
BB Talk
Brano divertentissimo che mischia un monologo sconclusionato (Look, I like when you send me, you know, the, the queen emoji, but when I send back the monkey, you know, the ones with the, the hands over the eyes? That means that shit’s just getting a little too weird for me) a un beat così boyband anni ‘90 che ti fa venire un sorriso da un orecchio all’altro. Funziona dannatamente bene tutto qui.
Fweaky e Cyrus Skies
Miley goes Lana? Questi due brani – forse i più lenti e epici dei 23 presenti nell’album – sono la dimostrazione di come Mikey Will Made It (produttore di Bangerz) e i Flaming Lips si siamo quasi messi d’accordo confezionando due ballad sontuosissime. Cyrus Skies è già pronta per il prossimo capitolo di James Bond: quel giro di basso nel ritornello, l’atmosfera dark, interpretazione di Miley strepitosa, synth sinistri e orchestrati benissimo. Chapeau.
Milky Milky Milk
Un roller coaster: inizia come un brano di Aphex Twin, poi ascende, per poi ritornare ad essere un video di Cunningham. Versatilità canora di Miley Cyrus: infinita. Figaggine del pezzo: infinita. Woah.
Slab of Butter (Scorpion) e I Forgive Yiew
Un pezzo che sarebbe potuto stare senza problemi sull’ultimo disco di St. Vincent. Patinato, raffinato, cantato intelligente con pause studiatissime. Riffone killer e incedere roboante. Forgive Yiew ne è la prosecuzione (ne riprende la coda di Slab... e Miley ci piazza pure delle rime rappate). Pop nella sua espressione più compiuta.
Lighter
Se vi chiedete come suonerebbe Time After Time cantata da Miley, beh, ascoltate questo dolcetto anni ’80 con tanto di drum machine riverberata alla Human League.
1 Sun
Ah, ma non sono i Crystal Castles/Ah, ma non è Lady Gaga.
Tiger Dreams
Avete presente la scena in cui Dumbo ciuco inizia a vedere i rosa elefanti che marciano e avanzano? Secondo me Wayne e Miley hanno scorto qualcosa di genere e per certificare la cosa hanno chiamato all’appello Ariel Pink. Il pezzo è un’inquietantissima discesa dantesca ricca di allucinazioni sonore (il riff di tastiera pare provenire da un altro mondo).
Vi lasciamo con lo streaming dell’album + una chicca sparaflashante realizzata dai digital artists Pamela Reed e Matthew Rader. Ah, non dimenticate di mettere il cursore del video di Dooo It a 3:00. Hit Mania Dance ’94.