Any Other è il nuovo progetto di Adele Nigro, metà delle Lovecats ovvero un giovanissimo duo acustico femminile che da tempo ha catturato le mie orecchie. Ora le Lovecats non ci sono più, ma Adele ha deciso di continuare a suonare, seguendo una strada nuova e tutta sua. Inizialmente da sola, poi unendosi ad Erica e Marco, fa uscire il primo disco dopo relativamente poco tempo. E tutto ciò—a quanto pare—grazie a dei crocchini per gatti (ci arriveremo).
Ti conosco, o meglio, conosco la tua voce da quando eri un duo con la nostra Cecilia nelle Lovecats. Quanto è stato importante quel periodo per te e quanto di quella esperienza stai portando all’interno di questo nuovo progetto Any Other?
Adele: «Ho suonato con le Lovecats per un paio di anni e devo dire che per me è stata un’esperienza fondamentale: non avevo mai scritto canzoni, non avevo mai suonato la chitarra e non ero mai andata in giro a suonare (i saggi di sassofono delle medie non contano). Sicuramente è stato un periodo che mi ha segnata su più fronti. Ora ho decisamente archiviato tutto, pur portandomi dietro ovviamente quello che ho imparato. Con Any Other però le cose sono completamente diverse: ci sono proprio altre dinamiche in ballo, un altro modo di gestire le cose, sia per quanto riguarda me, sia per quanto riguarda le persone con cui suono e quelle che ci stanno aiutando a fare questa cosa».
La più grande differenza che si nota approcciando Silently. Quietly. Going Away rispetto ai tuoi lavori passati è senza dubbio l’uso di strumenti elettrici e di una batteria. Una semplice scelta stilistica o piuttosto un’esigenza che nasce da qualcosa di più profondo?
Adele: «L’idea di formare un gruppo in elettrico l’avevo già da prima di cominciare con Any Other ed era una cosa che avevo tentato in diversi modi, ma non ho sempre incontrato belle persone, mettiamola così. Scegliere questo tipo di “forma” piuttosto che quella acustica è dovuto innanzitutto al fatto che ascolto principalmente gruppi che presentano la formazione chitarra-basso-batteria. Inoltre avevo bisogno di “riempire” le canzoni da un punto di vista musicale, anche e soprattutto perché sentivo che così mancava qualcosa. C’è da dire poi che ero veramente stanca di suonare da sola, è meno gratificante e meno costruttivo. Erica e Marco danno veramente un contributo gigantesco ad Any Other».
A questo proposito, come vi siete incontrati con Erica e Marco? Loro erano già tuoi FANZ?
Adele: «Erica la conosco da quando andavo al liceo. Ci siamo conosciute perché gestivo un cineforum durante le ore di “autogestione”, lei è venuta a vedere uno dei film in programma, e così abbiamo iniziato a parlare, a scambiarci dischi, a vederci tutti i giorni, eccetera (poi aveva anche suonato la batteria con le Lovecats ad un live). Marco invece l’ho conosciuto a Roma un paio di anni fa, perché suonavamo la stessa sera al circolo degli artisti (lui con il suo gruppo, gli Assyrians, ascoltateli perché i pezzi sono stupendi), ma abbiamo cominciato a legare tantissimo quando sono rimasta senza casa a Milano e un po’ dal nulla gli ho chiesto se mi poteva ospitare – sì, sono una scroccona. Da lì abbiamo cominciato a parlare di musica e di altre mille cose e alla fine ci siamo trovati io, lui ed Erica a suonare assieme. So che non me l’hai chiesto, ma ci tengo a dirlo lo stesso: sono veramente le persone migliori che potessi trovare. Sono musicisti bravissimi e si dedicano al gruppo con una passione che secondo me è rara».
I testi sembrano occupare una grande parte del tuo processo compositivo, tuttavia nel disco si trovano momenti per nulla scontati anche per quanto riguarda gli arrangiamenti musicali. Penso soprattutto a To The Kino, Again, forse il pezzo più complesso del disco. Ci dici un po’ di gruppi che vi hanno influenzato nella creazione dell’album? Io guardando al futuro ti vedo un po’ come la nostra Tancred.
Adele: «Posto che a parte To The Kino, Again tutte le altre canzoni sono state scritte tra il 2013 e il 2014 (e forse è per questo che quella suona un po’ diversa), ammetto che ci sono dei gruppi per i quali sono veramente fissata e che mi hanno insegnato tanto. Primi su tutti i Built to Spill e i Modest Mouse, poi sicuramente i Pavement. Parlo soprattutto di me ed Erica quando cito questi gruppi, perché Marco ha degli ascolti un po’ diversi dai nostri – primi su tutti direi i Kinks. La cosa bella da quando suoniamo assieme è che Erica ed io abbiamo passato a Marco un po’ di cose indie rock anni ’90 o gruppi tipo Speedy Ortiz, e lui ci ha fatto scoprire alcune cose degli anni ’60 e ’70 che non avevamo mai ascoltato attentamente. Poi vabbè, su Elliott Smith siamo tutti d’accordo, sempre».
Tornando alle liriche, indubbiamente si tratta di un disco autobiografico. Spesso ho trovato momenti di puro dialogo interno—ad esempio nell’opener Something—come se ci fosse una parte più razionale che tenta di considerare e di risolvere i problemi che la parte più emotiva mette in luce. Fare musica è forse anche in parte terapeutico per te?
Adele: «Sì, il disco è decisamente autobiografico e sì, scrivere i testi è in un certo senso terapeutico. Dico scrivere i testi invece di “fare musica” perché lì il discorso diventa un po’ più ampio e meno strettamente autobiografico, ma questo è un altro paio di maniche. Le canzoni, eccetto una, sono state scritte tra i miei (quasi) diciannove e i miei vent’anni, durante due momenti di transizione per me significativi: andare a vivere da sola e rimanere “musicalmente” da sola. Mi sono accorta che stavo facendo molta fatica ad affrontare quei due momenti per una serie di cause interne ed esterne a me, e scrivere i testi mi ha aiutata a riportare me stessa alla concretezza dei fatti. Di terapeutico c’è stato il prendere la valanga di stati emotivi da cui mi sentivo sopraffatta per metterli in ordine in una forma chiusa, quella del testo, per cui credo ci voglia necessariamente un approccio in gran parte razionale».
Non ci sono solo momenti di battaglia interna, si ha comunque spesso l’impressione di raggiungere un punto alto della montagna che permette di vedere quello che il futuro riserva. È così che ti senti in questo momento?
Adele: «In un certo senso sì. Facendo questo disco ho capito che non ho bisogno dell’approvazione degli altri per fare le cose, non ho bisogno e soprattutto non è compito mio soddisfare le aspettative di chi mi vuole costretta all’interno un ruolo specifico, cosa che per parecchio tempo mi ha fatta appunto soffrire. Questa roba non mi interessa più. Se penso al mio “futuro” vedo cose belle, spero in cose belle: voglio continuare a suonare con Erica e Marco, voglio continuare a studiare e a “educarmi” su certe questioni, voglio fare altri dischi. Non so se queste cose succederanno, però spero che accadano, ecco».
Come hai convinto il tuo produttore (Gatto Bello) a puntare su di te? Solo con la tua voce o è servito qualche crocchino della Friskies?
Adele: «Crocchini. Crocchini a volontà».
Per finire, è già pronto un tour di presentazione del disco dove potremo venire a sentirti? Stai già pensando al prossimo lavoro?
Adele: «Il tour c’è, e per fortuna continuano ad aggiungersi date che tra non molto comunicheremo. Se penso al prossimo lavoro mi viene un po’ da ridere, perché il disco non è ancora veramente uscito ma ho già scritto diversi pezzi nuovi e li stiamo già provando in saletta, e siamo già qui a chiederci “Che facciamo l’anno prossimo? Registriamo un EP? Registriamo un altro disco?”»
Silently. Quietly. Going Away esce il 18 settembre per Bello Records.