Andres l’ho conosciuto quasi due anni fa. Era un pomeriggio milanese ed io ero ospite di Occupy DeeJay di cui lui era il conduttore. Aveva preso un bump qualche giorno prima ad un incontro di wrestling e ne portava i segni evidenti sotto il mento. Io nutro una passione fortissima per il wrestling, la cosa ci accomuna, come ci accomunano i vinili, gli ottanta, la wave e l’italo. Questione di feeling. Settembre 2015, un blue monday qualunque, una skype call informale e pomeridiana che celebri il Marzullo che ci batte dentro, in un fuori orario che puzza di Ghezzi.
«Andres Diamond nasce intorno al 2005 come mia gimmick da wrestler, un personaggio che mi sentivo addosso. Ho fatto wrestling per anni, mi sono allenato anche con atleti che oggi son campioni nella WWE (un nome su tutti Cesaro), son stato due volte campione italiano ed un paio di volte ho avuto il piacere di vincere altre cinture. Combatto ancora, quando posso, lavoro per Sky come commentatore di wrestling della WWE, ho avuto la fortuna di poter commentare un paio di PayPerView (eventi speciali) della WWE. Spero sia solo l’inizio. Il wrestling è una passione forte. Prender botte o eseguire delle mosse ad alto coefficiente di rischio (e di infortuni) non è la cosa più semplice del mondo. Lo devi aver dentro, specie se lo fai quasi gratuitamente. E’ anche per questo che ho scelto di essere Andres Diamond quando ho intrapreso il mio viaggio nell’ambiente musicale. Il mio personaggio mutava, ma rimaneva fedele a se stesso. Lavoro sempre su me stesso per cercare di risultare fondamentalmente una persona vera e sincera. Andres Diamond è quello che sono oggi».
Torniamo indietro. In realtà il primo passo e forse il più importante Andrea lo fa nel 2001 quando, ancora al liceo, decide di comprare la sua prima console e i primi vinili.
«Era un periodo ben diverso come ricorderai. Fare il dj era molto simile a fare il musicista. Ti toccava investire seriamente sulla musica. La console ti costava denaro, che suonassi con i piatti o i cdj. I vinili costavano, i dischi te li dovevi cercare e la ricerca non si fermava ad un unico genere musicale, era una continua scoperta, un susseguirsi di stili, dischi ed emozioni. Poi non suoni mica un mp3, il vinile si consuma e ad ogni ascolto, se ne va via una parte di se che tu condividi con il pubblico. E’ romanticissimo se ci pensi. I dj fin qualche anno fa realizzavano set molto più personali e non esclusivamente di genere come oggi. Forse è anche il legame fisico che crei con l’oggetto che crea questo tipo di flusso. Non riesco ad immaginare un mio dj set come un dj set di genere. Oggi le serate sono destinate ad un pubblico che adora un solo genere musicale, spesso con un dj ospite che segue il canovaccio e conosce perfettamente il gusto del pubblico della serata, sempre meno interessato ad essere stupito, felice di essere coccolato ed accontentato, quasi spaventato dalle sorprese».
Già, siamo nel 2015, odissea nelle serate a tema. E poco importa se siano techno, reggae, house, hip hop, 80, 90, etc.
«E cosa rimane del viaggio che il dj decide di farti fare durante la serata? Poco o nulla. Sono rimasti in pochissimi fortunati a poterselo permettere. Credo che a questo punto anche la tua cultura musicale e l’approfondimento sia quasi visto come un limite e non come un pregio».
E in tutto questo, cerchiamo strade personali, quasi impossibili. Come Goldberg su un ring della WWE nel 2015.
«Ho sempre cercato di superare i miei limiti e di far le cose per me stesso. Quando, a cavallo della metà degli anni 2000, con l’avvento delle console da computer, il mondo dei dj stava cambiando, ho provato a fare qualcosa che rendesse ancora più personale il mio dj set, usando, oltre al vinile, il wireless (tra i primissimi o forse il primo a farlo in Italia) ed ho deciso di studiare da produttore. Nel 2011 ho scritto un paio di canzoni dance/pop oriented, finite in palinsesto di importanti radio nazionali negli orari di punta (THE MAN I LOVE THE MOST e DON’T KEEP ME WAITING), poi ho capito che quell’ambiente non mi interessava, troppo distante da me, da quello che volevo essere, da come mi sentivo. Sono in ogni caso super felice di aver fatto quell’esperienza. Erano i primi anni di lavoro a Deejay TV, anni in cui ho conosciuto persone fantastiche a cui devo tantissimo, come Enrico Magli ed Alioscia Bisceglia su tutti».
Perché il problema fondamentale alla fine dei conti è la distanza, la distanza e il vuoto che si crea tra l’artista e chi dovrebbe produrla esecutivamente e tra l’artista e il pubblico.
«A un certo punto ti rendi conto che è quasi più importante stringere le mani giuste che il tuo prodotto artistico stesso. Il prodotto e l’artista rischiano spessissimo di essere masticati, più o meno consapevolmente. Allora l’indipendenza diventa quasi una scelta forzata per assurdo se decidi che il compromesso non è una cosa che ti interessa. Non auguro a nessuno una vita da lecchino e non vorrei mai che la mia passione per la musica mi trasformasse in qualcosa del genere».
REJECTED, il nome dice tutto quindi.
«Si, assolutamente. Rifiutato da un ambiente che rifiuta il concetto stesso di personalità. REJECTED è il mio rifugio, il posto dove sfogo la mia passione per la musica. Canzoni, prima di tutto, sensazioni».
Il tuo Soundcloud è pieno di lavori diversi fra loro infatti.
«Esattamente. Vivo la musica come qualcosa di immediato. Non mi siedo e decido di scrivere una canzone di genere. Discorso identico vale per i dj set, come dicevo prima. Di certo cerco uno stile personale in tutto ciò che produco, ma non ho limiti di sorta, mi piace tanta musica, non vedo il motivo di fissarmi dei limiti».
Cosciente del fatto che questa formula non paghi, giusto?
«Giusto. Oggi come non mai la parola chiave è HYPE. Hype o muori. Ma il mondo è un posto peggiore di quello che avevamo immaginato. Posti su facebook cose idioti o non inerenti a quello che fai e ti si riempie la bacheca di commenti o di like, poi posti la tua musica e non frega nulla a nessuno. Sai benissimo di cosa parlo».
Già, io lo so.
Rejected ha appena finito di confezionare il remix del nuovo singolo de Il Cielo di Badgad.
“Ho sentito Over The Sun e poi ho visto il video bellissimo. Mi sono innamorato, me lo sono sentito dentro e l’ho fatto in pochissimo tempo, era molto chiaro cosa volessi ottenere dal pezzo. Una volta finito ho fatto sentire a Jolly Mare il remix, che, entusiasta, mi ha proposto di finalizzarmelo, tanto gli era piaciuto. Adesso è bello che confezionato. Auguro ai dischi di Jolly Mare e Il Cielo di Bagdad, ormai di prossima uscita, il meglio. Prodotti strepitosi”.
Mi associo agli in bocca al lupo e riattacco mentre Andres mette su un 45 giri del suo jukebox e ci facciamo l’ultima risata. Vi lascio all’ascolto ed al free download del remix. A me piace, vado di LIKE. Un onesto e semplice LIKE.