Prima di scrivere questo pezzo ho mangiato un gelato. Cioccolato e cheesecake. Ho scelto i gusti che più ricordano quel senso di stucchevole dolcezza che mi dà Taylor Swift.
L’avete mai vista camminare e muoversi? Non intendo nei video ufficiali: lì è perfetta e sicura di sé. Voglio dire nei fuori onda, in quei momenti in cui nulla è imbalsamato da una cornice e da una patina di ufficialità. Parlo di uno scatto rubato, un’inquadratura non studiata. Taylor si muove (molto spesso su trampoli alti 15 centimetri) come Cosmo di Seinfeld. Mentre ride? E’ buffa come Pippo della Disney. E quando parla? Sembra voglia a tutti i costi tenere a bada quella dentatura che si ritrova. E tutto questo è adorabile: la rende umana, vicina a me, a te, a tutti noi. E’ questa studiatissima eppure naturale ingenuità e uncoolness che mette d’accordo apparentemente tutti i palati. Ma soprattutto, crea un desiderio di immedesimazione, il principio sul quale si fonda la l’estetica della cultura pop (e del marketing).
Dieci anni fa mi capitava di vedere spesso un programma – immondo, è il caso di dirlo – su MTV. Why can’t I be you, questo il titolo. Da una parte un adolescente insicuro e sfigato, dall’altra un altro, più inserito e sgamato, oscuro oggetto del desiderio del primo. L’ammirazione era in realtà un puro desiderio di essere l’altro, da qui il titolo. Penosissimo, certo, eppure mentre tornavo a casa dopo il gelato, non facevo che pensare a quella trasmissione collegandola a Taylor Swift.
Da qualche parte nel mio cervello, evidentemente, sovrapponevo Tay all’adolescente ganzissima e me, gulp!, alla loser. E questa sovrapposizione suonava esattamente come la risposta alla domanda che mi assillava da un po’: “Perché mi piace così tanto?”. O forse dovrei dire, dopo parecchi scambi di battute con amici (come me al fatidico giro di boa dei trent’anni) che mi hanno fatto sentire meno sola nel mio momento di sbandamento tayloriano, “Come mai piace così tanto?”.
Qui viene in soccorso René Girard, critico letterario francese. Nel suo Menzogna romantica e verità romanzesca, Girard espone il concetto di desiderio mimetico, ovvero un desiderio di tipo imitativo: il rapporto tra soggetto (me) e oggetto desiderato (Taylor) non è diretto ma filtrato da un modello. In parole povere non si vuole semplicemente essere l’oggetto (o come l’oggetto), piuttosto raggiungere quel modello che l’oggetto incarna e che innesca materialmente la scintilla del desiderio.
Nel nostro perenne e vagabondo lamentarci e desiderare, ci soffermiamo su Taylor Swift poiché ha qualcosa che avvertiamo come mancante e che ci affascina o ci fa provare nostalgia. Per questo desideriamo le immagini che ci evoca: adolescenza, divertimento, spensieratezza, libertà, freschezza, figaggine, immagini che Taylor riflette nitidamente come un prisma. Taylor Swift è un concentrato di tutte le cose potenzialmente pop e divertenti. Un cucciolo di labrador da puro LOL. Un epic fail così cute che diventa un epic win. O ancora, un gateway che ci inoltra in un universo creato ad arte dove il passato non è mai vissuto nostalgicamente ma è un continuo ed entusiasmante revival.
A ben pensarci, Taylor Swift è la pop-star formato BuzzFeed: generalista e hipster, divetta e ragazza della porta accanto, figonza ma incredibilmente accessibile. La stessa cosa potremmo dire delle canzoni di 1989, album pieno zeppo di hit dal tiro micidiale che l’ha consacrata pop-star trasversale (non è caso Ryan Adams ha deciso di cavalcare la vibe swiftiana realizzando un intero cover-album di 1989 in chiave indie-twee-pop, ovvero: l’adolescenza all’ennesima potenza) e che meriterebbe un sostanzioso discorso a parte per l’accuratissima operazione filologica di certe sonorità anni ’80.
Ma ritorniamo a lei, alla it girl che si vorrebbe avere nella propria ghenga per fare festa e buttarsi roba addosso. Perché quando parliamo di Taylor Swift, il concetto di immedesimazione applicato al gruppo di amici assume un significato del tutto pregnante: Tay è famosa per essere attorniata da uno squad di bffs – dalle modelle Cara Delevingne e Karlie Kloss alle musiciste Haim e Lorde passando per quella figura sempre più prezzemolina che è Luna Dunham – che, contravvenendo alla regola per la quale le donne non riescono a essere amiche tra di loro, testimoniano “the healing power of female friendship”. Un potere che è immortalato da video e foto sul canale Instagram della Swift e che sprizza da tutti i pori il concetto di young and reckless (“giovani e spericolati”) contenuto nella canzone Blank Space: un’immagine (desiderata, mimetica, artificiale) di teen party colorato e sans-souci con tanto di didascalia in bold: “hey, qui noi ci stiamo divertendo”.
La medesima sensazione di festa e divertimento infinito si può provare guardando i video di BuzzFeed, divisione creata nel 2012 e dal 2014 vera casa di produzione del colosso media americano: gli attori/produttori dei video sono così brillanti e simpatici che viene naturalmente voglia di averli come amici nella vita reale. Di un’età media tra i 23 e i 35 anni, Ashley, Andrew, Quinta B. e Eugene (giusto per citarne alcuni) sono riusciti a sostituirsi all’immaginario adolescenziale (e post-) dei teen drama del calibro di Party of Five, Beverly Hills o Dawson’s Creek: un’operazione di slittamento non indifferente e piuttosto cruciale se pensiamo che il genere del teen drama si estingue proprio con l’aumento dei reality show (che accentuano la componente “dramatic”) e dei canali/vlog su YouTube (più improntati sul genere comedy/real-life).
I video proposti da BuzzFeed Video si giocano su un doppio piano di finzione e realtà e creano, manco a dirlo, un elegantissimo meccanismo di immedesimazione. Gli attori, un po’ come Tay su Instagram, non fanno altro che recitare una versione post-prodotta di loro stessi, operazione che li pone a metà strada tra uncoolness (intesa come tranquilloneria, passatemi il termine) e coolness, in un gioco non distante dai siparietti e dai talk-show game di quel modello di intrattenimento che è il Late Night with Jimmy Fallon: cazzoni e super-seri, patinati e improvvisati, caciaroni eppure costruiti per risultare sempre perfetti e sul pezzo.
Insomma, come canta Taylor in New Romantics: we play dumb but we know exactly what we’re doing. Questo “fare gli stupidi sapendo esattamente cosa si sta facendo” ha tratti in comune col concetto di pseudo-evento, ovvero un accadimento non casuale e pianificato tipico della società della spettacolo. Coniato dallo storico americano David Boorstin nel 1961, lo pseudo-evento è la dimensione ideale nella quale si muovono le pop-star come Taylor Swift, i contenuti di BuzzFeed e gli sketch di Jimmy Fallon: non è spontaneo, ma sollecitato; programmato al fine di essere rimodellato in base alla sua riproducibilità nei media; il suo successo è decretato in base alla quantità di attenzione (visualizzazioni+share) che riesce a produrre e alla trasversalità del target che è in grado di raggiungere.
E allora nulla, davvero nulla, può contrastare il video di Bad Blood che, come in uno spettacolo di fuochi d’artificio, spara tutte le cartucce che può coinvolgendo un dream-team di attrici e modelle che ci fa alzare le mani, inermi. O ancora la parata paracula di ospiti giusti presenti agli show della Swift: Beck e St. Vincent (music nerds, contenti?), Justin Timberlake (prezzemolino Re-Mida) e Lisa Kudrow di Friends (vedi alla voce: uncool but cool), Ellen Degeneres (la lesbica che piace alle zie), Julia Roberts (welcome back, anni ’90!) e Andrea Pejič (identità di genere: presente!), tutti felici come adolescenti nella fiera celebrazione dell’individualità (ogni-tipo-di-individualità!).
Questo il discorso motivazionale di Taylor Swift durante uno dei concerti allo Staples Center di LA, lo scorso Agosto:
“If there’s just a few things you remember from tonight, please remember these things: you are not the opinion of someone who doesn’t know you. You are not damaged goods or tarnished if you’ve made a few mistakes in your life. … Instead of letting those things define you, instead of wallowing in those things, you decided to get dressed up, go to Staples Center, and have the best time ever with me, tonight.”
Scusa Tay, sei davvero mejo te.