[column size=”2/3″ center=”yes”]No Logic No Death di Furtherset è uno di quegli album che trascende il genere musicale. Almeno personalmente, ho trovato davvero difficile collocare con chiarezza e decisione questo progetto all’interno di uno dei mille “scatoloni” pre-impostati, creati per comodità di scrittura (per esempio uno di questi “scatoloni” vi avrebbe risparmiato queste prime righe). Mi è sembrata una cosa abbastanza strana, di solito etichettare è una cosa che (mi) riesce abbastanza bene e il “personaggio” (Tommaso mi perdonerà per aver usato questo brutto termine) di Furtherset è uno di quelli che la cosiddetta critica etichetta assai facilmente. Cercando dunque di capire come fosse possibile questa dicotomia, ho capito una cosa: in questo caso non ha senso nessun’etichetta.
È praticamente passata una settimana dalla release del tuo ultimo disco. Di recente c’è chi si sentiva, a fine disco, come “a fine film Bruce Willis”, martoriato, devastato, ma felice, per aver portato a termine una sorta di missione e avere una sigaretta in bocca, mentre il mondo intorno crolla. Come hai vissuto questa prima settimana “fuori”? Come invece tutto il periodo antecedente al rilascio?
“Martoriato” o “devastato” mi sembrano eccessive come parole, ecco. Alcune persone mi hanno scritto che sono rimaste magari toccate dall’album, ma a quei livelli spero vivamente di no. Per quanto possa essere un album abbastanza triste nel suo procedere, è qualcosa che ho cercato di fare per diventare più propositivo e ottimista con me stesso. Per rispondere invece alle domande vere, senza stare a precisare troppo sui termini all’inizio della domanda, direi bene! Quelli della label sanno che sono un perfezionista e ho cercato di curare e tenere d’occhio qualsiasi dettaglio, quindi diciamo che il “bene!” comporta anche una notevole dose di stress verso me stesso e gli altri. Il sabato prima dell’uscita dell’album, l’ho suonato dal vivo a Padova, dopo il live di Caterina Barbieri. È stato divertente suonare i pezzi nuovi! Ho anche parlato da solo durante il concerto per qualche minuto, me l’hanno fatto notare alla fine, probabilmente stavo soltanto ripetendo da solo cosa fare. Non so se preoccuparmi di ciò, ma per sicurezza ho deciso di riderci sopra. La prima settimana “fuori” è stata buona, dai. Ai miei amici è piaciuto, intendo a quelli nei ringraziamenti. Credo sia la cosa più importante. E’ ottimo che poi abbia cominciato a ricevere le prime critiche, per fortuna. Alle persone a cui mando la mia musica chiedo spesso cose del tipo “si ok che ti piace, va bene, ma cos’è che non funziona? Cosa dovrei fare? Dai su che ci sarà qualcosa che non va”.
E nel corso della lavorazione ultima, quindi negli ultimi mesi di “fatica”, hai realmente trovato qualcosa che non andasse? C’è stato un momento in cui hai drasticamente cambiato la direzione del tuo lavoro?
Quando lavoro a della musica nuova non mi succede mai di fare drastiche inversioni nel metodo di lavoro o altro, è un processo con dei cambiamenti graduali nel tempo, più o meno forti in alcune direzioni. Tendo a portare all’estremo certe tecniche di lavoro, fino a quando non riesco più a farci niente, per poi magari riscoprirle in differenti vie sulle quali prima non avevo ragionato. Avendo di fronte a me l’album quasi praticamente finito, ho sistemato solo piccole parti di ogni pezzo, brevi passaggi che dovevo sistemare, niente di eclatante, per poi passare a una fase di pre-mix dove ho provato a dare un senso a tutta la massa di suoni in ogni traccia.
Com’è cambiata la percezione del tuo lavoro dopo il live a Padova?
Suonare l’album dal vivo comporta un certo grado di destrutturazione del lavoro sonoro e di tutte le voci presenti nell’album. Il live in sé spero sia andato bene, o almeno, ho avuto questa sensazione. Era la seconda volta che lo suonavo davanti a qualcuno, l’occasione precedente è stata per Nextones a Verbania, quest’estate. La percezione di quello che faccio non è cambiata molto, probabilmente suonandolo si spera più volte in futuro, cambierà qualcosa, ma adesso sarebbe precoce parlarne. I live però, se fatti nel contesto giusto con un pubblico decente, possono aiutare a rivedere il proprio lavoro, a pensare a nuove tecniche. L’unico obiettivo che ho nel rapporto lavoro/live è capire come avvicinare la dimensione in studio a quella della destrutturazione che porto avanti dal vivo: sono due approcci molto differenti, ma il secondo lo trovo molto più interessante perché espande di molto un lavoro chiuso, lo apre, rimodella qualcosa che era già finito. Il live infatti è una sorta di espansione dell’album, a volte anche difficile da riconoscere rispetto ai lavori originali.
Intorno al tuo nome ho letto un numero di etichette incredibile, su tutte quelle dell’enfant prodige e dell’artista che fa musica per esorcizzare le proprie ansie. Non ti hanno un po’ rotto il cazzo questi continui riferimenti quando si parla di te?
Che faccia musica per avere un pochino meno d’ansia è vero, non è un’etichetta negativa o dalla quale cerco di distanziarmi. C’è da dire che però è dannoso farsi legare continuamente a determinate categorie, come dici te per esempio quella di “enfant prodige”. Un’altra etichetta che detesto è quella di “prodigio dell’elettronica italiana”. Fanno soltanto danni e solo ed esclusivamente nei miei confronti.
Ultima domanda per poi passare a parlare dell’album: non c’è appunto il rischio che sia una sorta di diallelo, di circolo vizioso, che queste due ultime etichette ti carichino di troppe responsabilità e tu ti senta in dovere di dimostrare qualcosa in più? O non influiscono il tuo modo di lavorare ma solo la percezione che si potrebbe avere dei tuoi lavori?
Bisognerebbe partire dal presupposto che non devo dimostrare niente a nessuno. Certe etichette che mi vengono addossate vanno solo a creare dei margini potenziali idealizzati nella mente di chi le usa o le legge, dalla quale poi si esige qualcosa. Un “qualcosa” che non so cosa sia e del quale non voglio saperne nulla, anche perché non esiste se non in forme di pensiero con cui non voglio avere niente da spartire. Provo a sviluppare quello che faccio in un divenire, non legato a nessun obiettivo preciso se non a quello della creazione, se proprio volessimo intenderla come “obiettivo”.[/column]
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[column size=”2/3″ center=”yes”]Nell’artwork del disco ci sono delle illustrazioni realizzate da te: quanto sono importanti le immagini nella tua musica?
Mantenere il controllo artistico completo sia sul versante musicale che su quello della realizzazione dell’artwork, è un’esigenza che si crea nel momento in cui la musica si muove di pari passo con le immagini. Il materiale di base che è servito per curare l’aspetto grafico l’ho raccolto durante tutto lo sviluppo dell’album. Mi sembrava naturale curare questo aspetto da solo. Non riesco a immaginare la mia musica legata visivamente a immagini create da altre persone. Lo stesso discorso vale per i visual dei live, che sviluppo insieme al mio amico e collega Alessandro Biscarini. A meno che non porti i miei lavori video dal vivo, non voglio averne altri fatti da altre persone. Si crea un inutile sovrapposizione che fa solo perdere l’attenzione verso la musica. Un buon live A/V si gioca su degli equilibri che andrebbero studiati con largo anticipo rispetto alla performance. Trovo più comodo suonare al buio, o con qualche luce veramente minimale, o usando delle strobo, piuttosto che farmi accompagnare da immagini non mie.
E non hai paura che tradurre queste emozioni in arte si trasformi in un gesto meccanico, non più naturale, vista la sua “natura terapeutica”?
Assolutamente no. Una delle poche sicurezze che ho per quanta riguarda la mia ricerca artistica, è che non è minimamente portata a essere un atto forzato. Poi non tutto il mio lavoro è incentrato su una “natura terapeutica”, per quanto la rielaborazione di certi momenti per me possa passare soltanto tramite la musica, il disegno, e via così. O almeno, ora in studio sto cercando di muovermi in maniera più inconscia, lavorando a del nuovo materiale, su concetti che mi saltano in mente quando sto in giro, o sto suonando, parlando con qualcuno, senza direzioni precise. Seguo dei flussi senza voler sapere le traiettorie precise di questi, sempre che ne abbiano.
E questa “produzione inconscia” l’hai già applicata in qualche modo a qualche traccia del nuovo disco?
Per quanto sia difficile da intendere e da trasporre a livello verbale, questo concetto è stato portante nella realizzazione dell’album. Significa, in un qualche modo, non rimuginare troppo sul da farsi e procedere spediti cercando di chiudere quello che si è iniziato, senza creare da soli troppi intoppi. Si tratta spesso quasi solo di andare avanti, e poi un qualcosa uscirà automaticamente senza problemi.
Non significa che però non si pensi magari ai lati tecnici o compositivi, come se la musica fosse un qualcosa di spontaneo. Mi ha sempre dato fastidio l’idea del musicista “genio ingenuo”, che a volte si cerca di dipingere per determinate figure e che fa tanto presa sulle persone, dove con atteggiamenti molto alla leggera sembra che le opere siano uscite dal nulla. Credo ci sia sempre un attento processo di ricerca nella realizzazione di un’opera, definito anche in modo relativo al singolo soggetto che la realizza. Quando qualcuno dice “ma si, ecco, è uscito a caso, non sapevo cosa stessi facendo” c’è comunque una ricerca, personale, non soggetta al confronto con limiti o metodi esterni.
Come ti vedi dopo RBMA a Parigi? Pensi possa essere un’esperienza così travolgente ed edificante da cambiare te e il tuo rapporto con la musica?
Quando sarò a Parigi vedrò cosa accadrà! Desidererei passare molto tempo negli studi a registrare cose e chiudere progetti, sezioni di nuovi pezzi. Per ottimizzare il lavoro sto decidendo già da ora cosa magari rivedere dei singoli pezzi per non perdere troppo tempo. Registrerò poi cose a caso con quello che troverò. Spero anche di divertirmi! Non ho aspettative nei confronti di nulla e nessuno, o almeno non in modo eccessivo, quindi come dicevo, arrivato in Francia comincerò a capirci qualcosa forse.[/column]
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No Logic No Death di Furtherset è fuori per White Forest Records.