“Phonography has always undone the metaphysics of presence. What you hear in a recording is not there. It is a spectre.”
Riferendosi al concetto di “hauntology” (“infestologia”, apparso per la prima volta in Spettri Di Marx di J. Derrida), Mark Fisher – scrittore, ha anche un blog che si chiama k-punk – e con lui Simon Reynolds – autore, tra le altre cose, di Retromania ed Energy Flush – racconta un fenomeno (anche) musicale basato sul continuo recupero del passato nel tentativo di riappropriarsi dell’idea che, in quel passato, si aveva del futuro. Un futuro che non è mai arrivato, almeno non così come lo si aspettava (tanto che Fisher parla anche di “Lost Futures”). Secondo questa idea il panorama musicale degli ultimi 25 anni sarebbe infestato da fantasmi sonori, rievocati da alcuni musicisti in preda ad un ossessivo “mal d’archive”, ovvero “un desiderio compulsivo, ripetitivo e nostalgico […] di ritorno all’origine” che Derrida associa alla “compulsione a ripetere” teorizzata da Freud. Il termine stesso di “nostalgia” nasce per definire un disturbo psichico a causa del quale fatti e luoghi del passato si mescolano disordinatamente con il presente; quest’ultimo, quindi, si popola di “fantasmi”. Esempio di questo meccanismo è rappresentato senza dubbio dalla musica di Burial, fatta di nostalgiche fantasmagorie che conservano con orgoglio la polvere degli archivi da cui attingono.
Esiste però anche una tendenza inversa, che è quella di chi guarda al patrimonio musicale passato con un’ ammirazione più “fredda”, cioè con un certo distacco emozionale tale da riuscire ancora, in un certo senso, a divertirsi. È l’altro lato della medaglia: da una parte c’è l’ectoplasma delle speranze passate private della dimensione carnale, estatica ed entusiasta, della situazione originale (principalmente l’ambiente dei rave dei primissimi ’90); dalla parte opposta c’è il corpo ancora vibrante che scatta ad ogni colpo di drum ma che ha perso in parte lo spirito sognante che caratterizzava quello stesso contesto. Da un lato c’è Burial, dall’altro c’è Zomby.
L’approccio di Zomby parte da una nostalgia sostanzialmente diversa: non rimpiange quei primi rave a cui non è mai stato e dei quali ha solo sentito parlare, ma si diletta a raccontarci episodi salienti e aneddoti, reinterpretandoli e rielaborandoli per renderli inconfondibilmente “suoi”.
Il suo primo vero album Where Were U In 92? (Werk Discs, 2008) si immerge in modo perfetto (e dichiarato) in quel ricchissimo minestrone che è la bass music made in UK; qui l’artista compie tutte le operazioni che ci si aspetta da chi approda a tale “genere” (e che rappresentano uno dei pilastri su cui Reynolds ha costruito la teoria dell’Hardcore Continuum): si addentra nel dubstep e riporta a galla l’hardcore dei rave che nel 1992 hanno raggiunto l’apice della gloria; si diverte con un equipaggiamento vintage (Akai S2000 e Atari ST) per riproporre virtuosamente il suono ruvido originale dell’era pre-internet; attinge da stili di provenienza diversa pescando a piene mani tra jungle, grime e garage; non dimentica il dovuto omaggio alla figura della “diva”, campionando Aaliyah e Loleatta Holloway (nonché citando la star anglo-cingalese dell’hip hop M.I.A); innesca sirene ardkore e si rifà a film di fantascienza, riesumando il tema di Blade Runner subito dopo aver giocato con i Daft Punk (grandi amanti del rètro, ma alla maniera stilosissima e leggermente frigida tipica dei francesi). Fuck Mixing. Let’s Dance – la prima traccia – è anche il manifesto di un esperimento che sarà più o meno continuo nell’opera di Zomby, ovvero quello di creare musica senza schemi e ordini prestabiliti, esprimendo liberamente la sua arte e troncando di netto nel momento in cui il messaggio è rivelato; la danza cui allude sarà schizofrenica, fatta di accelerazioni e pause, in sequenze che a volte appaiono scoordinate come l’avanzata degli zombie (oppure come gli effetti di certe sostanze più o meno sintetiche).
Con i lavori successivi, l’artista inglese dall’ignota identità (e dal carattere nervosetto, come si deduce dal suo profilo Twitter) decide di rompere ogni aspettativa e di tracciare un suo personalissimo “continuum”: unisce il dubstep all’aquacrunk (Zomby – EP, Hyperdub, 2008), salterella tra bit e IDM (One Foot Ahead Of The Other – EP, Ramp, 2009) per poi approdare all’inaspettata 4AD e lasciarsi andare ad una dedica quasi intima, per ricordarci che dietro la maschera si cela una creatura in carne e ossa; Dedication (2011) racconta un’inquietudine personale che si fonde con quella di chi sperimenta la caducità della vita, perdendo la persona più cara; sembra una raccolta di appunti privati, tanto che gli accordi di piano, con cui l’artista approccia ogni nuova composizione, rimangono vividi in Basquiat; Zomby non rinnega il dubstep ma ne fa oggetto di sperimentazione, provando ad attenuare il senso di ipnotica ripetizione e introducendo nientemeno che l’idea ultrapop di “ritornello”. Con Nothing – EP (4AD, 2011) mantiene viva l’atmosfera notturna e in alcuni momenti rallenta i ritmi sfiorando quelli del downtempo, mentre With Love (2013) stupisce con un doppio disco e 33 tracce proposte in ordine alfabetico, come se mettesse a disposizione dell’ascoltatore la summa completa, scomposta e rimaneggiata, di più di due decenni di musica, e gli suggerisse di costruirsi da sé le proprie storie; la straordinarietà di Zomby sta nel riuscire ad imprimere il suo marchio su pezzi diversissimi tra loro, e a tradurre la magnificenza del passato cui attinge in avanguardistici scorci sul futuro.
A questo punto non resta che stupire con un altro colpo di scena, cioè con un lavoro capace di imprimere l’ennesima audace svolta alla lezione di storia della bass music che Zomby ha riscritto alla sua propria maniera. Questa volta l’etichetta si chiama XL Recordings e il pubblico è già pronto a lasciarsi sorprendere: Let’s Jam!! è un doppio EP che racconta in due capitoli la sintesi di un rapporto geniale tra un creativo e il suo bagaglio di cultura ed esperienza.
Se il full-length d’esordio apriva uno squarcio spazio-temporale tra il presente e il 1992, l’EP1 di Let’s Jam!! è un ponte ultramoderno tra il futuro e l’estate del 1988, la second summer of love in cui la house music di Chicago, soprattutto quella caratterizzata dai suoni acidi della Roland TB-303, è esplosa nel Regno Unito; accompagnata dalle nuove droghe provenienti da Amsterdam, la acid house ha assunto un significato intrinsecamente lisergico che in origine non aveva, e Zomby si diverte a raccontarci questa evoluzione: Surf I e Surf II introducono la lezione rimanendo più che altro nell’ambito della acid house made in USA, mentre Slime è un excursus sulla bass music tipica di Hessle Audio (ad esempio quella di Pangaea e Pearson Sound) fatta di wonky (non si osi dirlo a Zomby) e grime; infine Acid Surf è vera acid house UK, con synth che sembrano laser e l’adoratissima airhorn.
L’EP2 scorre con tutt’altra eleganza: Neon è la visione sonora che coglie la realtà metropolitana in quel preciso momento in cui la città non è ancora del tutto sveglia, mentre il popolo della notte è di ritorno verso casa; una visione fatta di ambient e suoni “intelligent” dell’universo Planet Mu. Bloom, con i suoi campanellini pixellati e gli spari di fucile, è un pianeta con tre lune: il dubstep di Kode 9, il wonky di Rustie e la jungle di Machinedrum. Peroxide è al tempo stesso rilassata e tagliente, mentre con gli splendidi suoni cinematici di Xenon il senso di distensione è totale, nemmeno i bassi intensi e improvvisi o il motivetto acuto del sintetizzatore compromettono tale sensazione.
La poetica compositiva di Zomby si basa su una tendenza che non si limita a rispolverare vecchi gioielli: Zomby manipola e inventa, e gli oggetti che crea sono luccicanti, puliti, un po’ astratti e, spesso, decisamente più semplici di quelli costruiti dai suoi “colleghi”; sembra l’incarnazione di una creatura capace di saltellare da un’epoca all’altra: intuisce le tendenze in arrivo, anticipa i “revival”, realizza un’estetica che è il frutto di un continuo recupero del futuro, cioè proveniente dal passato ma rivolta all’avvenire così come ora lo si aspetta.