[column size=”2/3″ center=”yes”]Machweo è tornato, ma non è più lo stesso di prima. Il giovane producer è stato fulminato da un’epifania musicale che va ad attingere dagli anni Novanta, con la percezione che Giorgio Spedicato ─questo il suo vero nome─ ha avuto di quegli anni.
DLSO vi presenta in anteprima il suo nuovo singolo, curiosamente intitolato Taribo West, che anticipa di qualche mese il programmatico Musica Da Festa, l’album in uscita a gennaio per Flying Kids Records.
I tempi di Leaving Home sembrano incredibilmente lontanissimi: abbiamo indagato con Giorgio le ragioni di tale trasformazione.[/column][spacer size=”25″]for[/spacer]
[column size=”2/3″ center=”yes”]Come ti è venuto di intitolare un pezzo a Taribo West?
LOL, domandone! Io sono sempre stato interista e anche da piccolissimo guardavo le partite con mio padre la domenica e mi è sempre rimasto impresso ‘sto giocatore che entrava in campo con ‘sti capelli improbabili: era diverso da tutti. L’idea del diverso è una cosa che mi ha sempre affascinato. Volevo trovare una connessione tra il fatto che stilisticamente sia cambiato così tanto e non mi fa paura scendere in campo così, per come sono, anche se ho i capelli da imbecille.
Poi si tratta di un eroe degli anni ’90 e questo disco, Musica Da Festa, in un certo senso, nasce negli anni ’90, attinge a piene mani da quel decennio (oddio, magari non è un eroe degli anni ’90 per tutti, per me sì, è una delle icone di quel periodo di cui ho un vago ricordo).
Anche io da bambino ero interista, poi il famigerato 5 maggio 2002 ─quando l’Inter si fece scucire uno scudetto tanto atteso dalla Juventus all’ultima giornata, per chi tra voi non ne fosse a conoscenza e non sappia cosa sia la sofferenza, ndr─ mi ha causato un tracollo tale da distaccarmene del tutto, ma ricordo anche io con affetto questo personaggio stralunato – se vuoi – per un campo di calcio. Sai che è diventato pastore pentecostale e ha fondato una chiesa nella periferia milanese?
Sì, pure Giovanni Lindo Ferretti ha perso la testa, gli anni ’90 non perdonano.
Prima di parlare in modo più approfondito del pezzo, tu sei del ’92 vero?
Sì.
Parli appunto degli anni ’90 ma, come giustamente dici nel comunicato stampa che presenta il brano, non hai avuto modo di viverli da protagonista, in primis per questioni anagrafiche. Da un po’ di tempo la mia impressione è che quando noi nati tra il ’90 e il ’93 pensiamo agli anni ’90 in realtà abbiamo in testa i primi 2000. Non a caso citi La Danza Delle Streghe, che è del 2003/2004.
Beh io sono nato in provincia e lì la roba arriva tardi. Col cambio di decennio, nei luoghi dimenticati del mondo finisci per vivere le ombre delle cose, ma non fa troppa differenza, parlo di quel periodo in cui quel certo tipo di musica suonava così emotivo, in quel modo così esplicito. Sarebbe stupido anche dire che ho vissuto il 2004, nel senso di aver frequentato party o club: avevo 12 anni. Ho solo ricostruito il ricordo sbiadito di un’epoca che ho vissuto di rimbalzo, mettendoci tanto di mio. Taribo West e Musica Da Festa non suonano come Gigi D’Agostino, non suonano come la “musica progressiva” che faceva le migliaia di persone in club del Nord Italia tipo, chessò, l’Ultimo Impero. Ma è normale, credo.
La cosa che sorprende appunto di Taribo West è una trasformazione che però io trovo molto coerente con il tuo passato. Ti ho scoperto con Tramonto, dopo il primo ascolto fu subito loop. Con Taribo West è successo lo stesso, pur trattandosi di brani diversi. C’è un fil rouge a collegarli: non solo la mano di chi li ha creati, ma anche un gioco di sensazioni che emerge. È musica ballabilissima, ma che invita anche e soprattutto all’ascolto attento.
È stata una trasformazione radicale ma non incoerente, hai ragione. Con Taribo West puoi farci quello che vuoi per quanto mi riguarda. È tutto lì, è un pezzo, per come lo vivo io, estremamente emotivo, dovessi sentirlo in un club lo ballerei con gli occhi lucidi. È collegato a momenti un po’ strani della mia vita, ho buttato tutto lì, nella progressione finale, sentire il master di Ielasi (un maestro, seriamente) per la prima volta mi fece venire la pelle d’oca. Questo sempre relativamente alle sensazioni che dà a me, poi magari qualcun altro può anche pensare che sia una merda e non ricevere nessuno stimolo emotivo. È il rischio di fare musica e farla ascoltare ad altri. Io posso parlarti di cos’è Taribo West per me ed è questo.
Come e quando hai sentito l’esigenza di trasformare la tua musica, di progredire verso nuovi suoni e atmosfere?
Il tour di Leaving Home è durato tantissimo, tantissimo davvero, quasi tre anni. In questo periodo avevo dei tempi morti lunghissimi e li passavo su YouTube ad ascoltare dj-set di Franchino e Ricky Leroy, delle serate Insomnia, dell’Ultimo Impero, ma anche le cose più popolari della fine di quel decennio (non chiedermi perché, è come quelli che mettono la sessione privata di Spotify per ascoltare Justin Bieber) e mi sono reso conto sempre di più di quanto fin dal principio quella propensione alle melodie mi abbia sempre influenzato, anche per i dischi precedenti. All’inizio era soltanto una cosa inconscia, sai son cresciuto al Sud ascoltando quella musica, è normale che ti influenzi ma che, essendo stato molto piccolo, non fosse una cosa consapevole. Ascoltando quelle robe lì mi son detto “Perché dovrei fingere? Alla fine è questo quello che voglio”. Non so, può sembrare strano, è stato strano anche per me pensare “ecco cos’è stato tutto” però è come fare outing, alla fine è così, fatevene una ragione.[/column][spacer size=”25″]for[/spacer]
[column size=”2/3″ center=”yes”]Ricordo che nella intervista fiume a DLSO di un anno fa citavi gli Eiffel 65, c’entrano anche loro in qualche modo?
Loro sono la punta dell’iceberg, quelle cose più popolari di cui parlavo prima: era iniziato il periodo di consapevolezza, stavo iniziando a capire ahahah
Sempre in quell’intervista citavi Sollo e Go Dugong come tuoi amici in primis, ma anche come persone che ti hanno aiutato a formarti come artista, con modi e ruoli diversi.
Sì, sono state persone importanti nella mia formazione, più personale che artistica per certi versi.
Nell’ultimo anno c’è stato qualcuno con cui ti sei confrontato sull’evoluzione della tua musica, a parte loro? Oppure è stato principalmente un percorso che hai affrontato in solitaria, su YouTube nei tempi morti come raccontavi prima?
Principalmente da solo, poi con i due Tommaso. Uno è Tommi Ottaviani, uno dei quattro Flying Kids, lui mi ha aiutato molto a maturare la mia idea di musica. L’altro è Tommi Pandolfi aka Furtherset, che è stato molto critico e sincero, cosa che solo gli amici veri san fare e anche lui è stata una persona molto importante nella mia formazione artistica. Soprattutto nello sviluppo della consapevolezza di quello che stavo facendo, entrambi mi hanno aiutato molto, sia spronandomi sia esprimendo sinceramente le loro opinioni. Senza entrambi non esisterebbe Machweo com’è oggi e quindi grazie a loro. Come ogni “epifania”, però, è stata una cosa che ho maturato grazie ai miei pensieri.
Musica Da Festa è il titolo del tuo prossimo album in uscita a gennaio. Quali sono gli ingredienti che non possono assolutamente mancare nella festa perfetta per Machweo?
Palloncini numero uno in assoluto: colorati. Poi sarebbe bellissimo che i presenti fossero a questa festa per far festa davvero. È noiosissimo andare in un club e vedere gente ingessata, che deve prendere coraggio per ballare, che ha paura di farlo in modo goffo. Wild and youth finché ce l’hai dentro, alla fine a una festa vai per essere felice, almeno io lo faccio per quello. E poi le note, sono importantissime, andare a sentire uno di quei dj-set techno drittoni tutti drum machine dopo un po’ mi fa salire la noia infinita: la melodia è importante. Infine i sorrisi, sorridere è una cosa rara.
Durante il tour di Leaving Home quante volte ti è capitato di trovare situazioni simili (e dove)?
Situazioni di festa? Madonna suonando Leaving Home mi annoiavo, avevo un live davvero brutto. Quando ho iniziato a inserire ritmiche serrate e e ad alzare i bpm mi sono trovato in situazioni clamorose. Ricordo al Sonar a Colle Val D’Elsa in apertura a Francesco Tristano: festone vero. Poi anche in apertura a Nathan Fake a Padova, c’era tanta tanta gente che ballava, a Brescia al Musical Zoo, bellissimo, c’era un’energia rara, molto bello. Questi quelli che mi vengono in mente subito, se ci penso potrei tirartene fuori un’altra decina, ultimamente a meno che non sia una serata sbagliata (e per fortuna è raro) la gente sorride, balla e si diverte e io sto benissimo.
Proprio riguardo alla gente (ne parlavo qualche tempo fa con Capibara), sembra che negli ultimi anni finalmente in Italia l’elettronica – anche e soprattutto nostrana – stia catturando sempre più attenzioni e pubblico, per fortuna anche di profani o di gente che fino a qualche anno fa non si sarebbe mai sognata di preferire una serata in un club ad un concerto con musica più “tradizionale”. Anche tu hai quest’impressione? Se sì, come te la spieghi?
Certo che anch’io ho quest’impressione ma di marketing e tendenze ci capisco poco. È facile dire “perché è una moda” ma mi piace pensare che in Italia ci sentiamo parte del periodo storico in cui viviamo. In modo molto romantico io vado a ballare perché è un modo per sentirsi meno soli, gli ingredienti son tanti, come ogni cosa sarà un’onda che prima o poi arriverà a riva, spero che siamo solo all’inizio ma non te lo so assolutamente dire. Spero che oltre alla curiosità si accenda anche uno spirito forte d’appartenenza, spero che il pubblico non si limiti a ballare ma col tempo impari a comprare i dischi, a cercare nuovi artisti, in modo che il salto di qualità avvenga del tutto. Un apporto fondamentale, secondo me, lo giocano i festival importanti, su tutti RoBot e Club To Club per affluenza di partecipanti, ma altri piccoli festival vanno ringraziati comunque per lungimiranza artistica e attaccamento al territorio, nello specifico parlo di Node, nel modenese, che dopo un anno di stop è ripartito questa settimana con un live di Rioji Ikeda allo Storchi di Modena, ma anche il Fuck Normality Festival che porta in Salento un evento da numeri veri in una location davvero bellissima. E ce ne sono davvero tantissimi altri, siamo fortunati a ospitare eventi di questo calibro.
Mò arriva la domanda campanilista.
LOL
Hai citato il Salento, che è la tua terra d’origine. Da lì arrivano anche Populous e Jolly Mare, per citarne due. L’ho già chiesto a loro, lo chiedo a te. È solo una casualità o nel Tacco c’è fermento nel genere?
Ahah non ne ho idea, nel Tacco ci si annoia e si suona molto, c’è voglia di crearsi la propria realtà, è una terra che ha un enorme fermento artistico, è un bel posto, davvero.
È la terra in cui sono nato e cresciuto, è difficile giudicarla con il distacco sufficiente, è piena di belle persone e le belle persone portano alle belle cose. Sembra una risposta del cazzo e sono abbastanza sicuro che lo sia ahahah
Non è vero invece. Come mai l’hai lasciata?
Non è dipeso da me, in realtà fu un trauma vero abbandonare amici, scuola, i miei ambienti, a quindici anni, è dura, ma i miei dovevano lavorare e giù in quegli anni non era facile. Purtroppo siamo stati costretti a traslocare a Carpi, in provincia di Modena, un’altra provincia. Poi io adesso vivo nella periferia di Bologna, non riesco a staccarmi dall’isolamento dei luoghi periferici, farei fatica senza, sono sincero.
Cosa ti regalano la provincia e la periferia, che invece la città non sa darti?
Sinceramente con questa domanda mi metti in difficoltà, perché non l’ho mai capito neanch’io. Sicuramente posso dirti che soffrirei se non avessi intorno degli spazi verdi a portata di mano, dei luoghi isolati in cui perdermici. La città è quella cosa in cui succede tutto ma sei da solo, in provincia sei da solo e non succede niente, ma non hai distrazioni, puoi concentrarti su te stesso, puoi imparare a convivere con il necessario. È un luogo tranquillo, spesso lontano, ha i suoi tempi e le sue dinamiche e io a queste sono morbosamente affezionato.
Studi sempre scienze naturali?
No, ho mollato quando andare in tour mi toglieva troppe energie e finivo per avere sempre la testa sulla musica. Si è trattato di prendere una scelta e a volte prendere delle scelte non è una cosa facile, ammetto che mi capita di rimpiangere la mia facoltà ma avevo capito che la cosa più giusta era continuare con la musica, provarci, capirla e studiarla. Ora faccio musica elettronica al Conservatorio di Bologna.
Visto che la vivi direttamente, cosa ne pensi dell’esperienza del conservatorio, accademicamente parlando? È davvero utile e formativa?
Te lo chiedo perché circa una decina d’anni fa un mio conoscente mi colpì affermando che “per i conservatori italiani con la morte di Giuseppe Verdi finisce anche la musica”.
Cazzate. Dipende da cosa fai: se fai musica elettronica invece hai bisogno di un’apertura mentale davvero grande, per capire e comprendere da dov’è nata e dove va. Chi insegna materie classiche magari non vede di buon grado chi studia elettronica in Conservatorio ma anche questa tendenza sta via via diradandosi. La trovo un’esperienza molto bella, scoprire nuovi mondi e studiare nel dettaglio cose spesso molto complesse è molto stimolante. Sono sicuro che non è per tutti, semplicemente perché non tutti riuscirebbero a sopportare alcune dinamiche della musica elettronica che si studia in Conservatorio. Non so se vi è mai capitato di ascoltare Studie I di Stockhausen, ecco. Però oltre la difficoltà obiettiva di certi concetti c’è tanto altro. È un ambiente in cui mi sono sentito rinato dal punto di vista artistico e intellettuale, è stata una grande ancora di salvataggio.[/column][spacer size=”25″]for[/spacer]