L’altra notte ho fatto uno strano sogno. Ero ai piedi di una collina, immerso nell’oscurità. C’era soltanto la luce della luna piena. Ogni tanto una nuvola la sfiorava e la vista si attenuava. Al mio fianco c’era Youth Lagoon, al secolo Trevor Powers. Era lui, inequivocabilmente: capelli ricci e scuri, occhiali grandi sopra al naso, camicia a mezze maniche con uno strano motivo disegnato sopra; in testa un cappellino. Sopra la collina si intravedeva un cimitero e le lapidi assorbivano il colore della luna, ad intermittenza. Mentre osservavo potevo sentire nitriti di cavalli da molto lontano, ma non riuscivo a vederli. Tutto è finito nel momento esatto in cui ho sentito le note di Mute uscire dal cellulare che tenevo in tasca – forse la canzone più bella mai scritta da Trevor Powers.
Non so dire con precisione dove mi trovavo, ma poteva trattarsi tranquillamente di uno di quei posti in cui YL è cresciuto. Sì, potevo trovarmi tra i rilievi dell’Idaho, non proprio uno degli stati degli USA in cui si va perché ci si vuole andare.
Pur nascendo in California, nel 1989, Trevor Powers è cresciuto a Boise, in Idaho, a nord-ovest degli Stati Uniti. Questi luoghi lo hanno adottato, ammantandolo dell’asperità dei boschi, dell’odore del legno tagliato e del sapore del pesce. Ad appena ventidue anni, con l’aiuto di un amico ingegnere del suono, decide di congiungere le estremità inferiori dei palmi delle proprie mani, raccogliendo tutte le cose che possiede e giocandosele al tavolo della vita, con un secco all-in. È il 2011, l’anno dell’ibernazione (The Year of Hibernation).
Se esistessero davvero delle creazioni musicali catalogabili come bedroom-pop, il disco d’esordio di YL sarebbe una di queste. Il ragazzo scrive di notte e la gestazione della sua musica è un processo esclusivamente solitario. E’ dopo il crepuscolo che si apre la fase dell’ibernazione. Nella sua camera da letto – perfetta capsula d’isolamento – Trevor si aliena e mette nero su bianco le proprie idiosincrasie, le personali riflessioni sui rapporti interpersonali, le proprie paure e i propri sogni; “I have more dreams than you have posters of your favourite teams“: un verso semplice e lineare apre la prima canzone del primo disco, Posters. Sarà l’epitome della sua poetica: diretta, formalmente semplice, popolare, ma allo stesso tempo eterea, onirica e dal significato larvato.
Se sopra, leggendo di boschi e di odore di legno tagliato, avete almanaccato per un attimo tra le atmosfere di Twin Peaks, non siete andati lontano da tutto ciò che ha ispirato (e ancora ispira) la musica di YL. David Lynch, come affermato esplicitamente dallo stesso artista, è uno dei suoi registi preferiti, nonché un’indubbia fonte d’ispirazione, se c’è da immergersi nel surreale. Basta dare un’occhiata al video ufficiale di Mute per rendersene conto oppure estrapolare alcune immagini dalle lyrics di Afternoon (I tied my hands with rope now […]; there’s a demon on the loose […], I saw him late last night, knocking on my bedroom door).
Con gli anni – due per la precisione – lo stile si è affinato, palesandosi in un disco barocco e pregno di orpelli. Nel 2013, con Wondrous Bughouse – sempre per la Fat Possum Records – YL dimostra di aver preso piena coscienza dei propri mezzi. Nelle storie che racconta ci sono sempre demoni, creature metaforiche e reali, che puntellano un microcosmo ancora introspettivo, ma adesso meno delicato, plasmato con le proprie mani e sempre distante dalla realtà esterna. Trevor non esce dal suo guscio, semplicemente lo racconta in modo differente.
Socchiudere le palpebre ascoltando Wondrous Bughouse significa teletrasportarsi in un luna park abbandonato o in un attico dimenticato e impolverato, con pupazzi a molla pronti a saltar fuori da un momento all’altro, proprio come le paure e le insicurezze di Powers. Nel dedalo echeggiano pop e noise; si sfiorano picchi di efficacia e di nerbo tali da non credere che Virgilio possa avere poco più di vent’anni. Dropla, ad esempio, racconta una dolorosa perdita facendo confluire la strofa al ritornello attraverso un bridge che sa tanto di rappresentazione icastica del trapasso.
Basandosi soltanto sulla voce, di certo, non si può dire che nell’ultimo Savage Hills Ballroom – in vendita dal 25 Settembre – YL sia maturato. Ma in realtà, dietro quella persistente voce da imberbe, stavolta si cela una visione più ampia, dovuta all’entrata definitiva nel mondo adulto. Non c’è più la tenera timidezza da bedroom-pop; ora la voce è più chiara, più scandita e meno filtrata. “Ho voluto fare dieci passi indietro e vedere il mondo in maniera differente, non soltanto attraverso la mia formazione mentale e fisica”. Appunto, ora YL si guarda attorno ed osserva, sviluppando, in alcuni casi, perfino una vena satirica. In The Knower, ad esempio, ci si sofferma sull’impossibilità umana di esistere con coerenza e di fare esclusivamente del bene, tenendo una sorta di atteggiamento anti-socratico, in cui credendosi indefettibili si finisce per essere l’estremo opposto. I fiati squarciano il velo sotto cui si cela una marcia asettica, fredda, robotica, che si realizza, a parole, in Rotten Human – in cui si menzionano cloni, droni e un’umanità che non ce la fa – e in Again, dal violento impatto sonoro – ove reiterazione ed abitudine fanno rima con diabolico annullamento della personalità. Ma guardare oltre se stessi non significa, necessariamente, andare chissà quanto lontano. Nella dolce e compita Kerry – la ballata del disco – appoggia la mano sulla spalla dello zio defunto, trascinatosi per molto tempo da Las Vegas ad altre città, con il macigno della tossicodipendenza sulle spalle.
Nel mondo di Lobster, il film di Yorgos Lanthimos, l’umanità si divide in persone sole e persone accompagnate. Il leader del mondo dei soli spiega che nella loro comunità si ascolta soltanto musica elettronica “È vietato flirtare. Si può ballare. Ma da soli. Per questo ascoltiamo solo musica elettronica”. Se si sposasse la teoria del binomio musica elettronica-solitudine, si potrebbe sostenere che la scelta stilistica di YL – ossia quella di virare verso sonorità più elettroniche di prima (quasi FKA twigs, in piccolissimi passaggi) – rifletta uno stato di isolamento. Mai l’arte di Trevor Powers, d’altronde, è stata così scura e buia. Ma non è mai un buio pesto; c’è sempre una luce che indica la strada e, soprattutto, soli veramente non si è mai. Dice lui: “tutti quelli che hanno subito una perdita possono uscire di casa e sentire il soffio del vento sulla pelle, così da sperimentare che quelli che sembrano essersene andati, in realtà, sono ancora con noi”.
YL sull’idea del videoclip: “We’re not quite alone, because we have our spirit. It was that idea, combined with the idea of losing someone and having them still be alive throughout your day to day—because I think that’s a very real thing.“
È proprio la nuova Highway Patrol Stun Gun, forse, il pezzo più melodico della sua discografia. Si arrampica su un arpeggio di piano ripetuto all’infinito – come nella sua migliore tradizione – e in un vortice miscela emozioni simili, ma dalle origini del tutto differenti: il dolore della corruzione politica e delle vergogne sociali con il dolore per la perdita di un vecchio amico. Probabilmente la perfetta congiunzione di tutte le sue ultime riflessioni: quelle sulla società, quelle sui propri affetti e quelle su se stesso.
“Quando parlo non dico niente di sensato, ma credimi quando canto”, dice YL in uno dei suoi primi pezzi. Forse è il caso di dargli ascolto e lasciare che le parole vadano a chi ha il tempo di usarle. “Savage Hills Ballroom” – come tutta la discografia – è semplicemente un viaggio, in equilibrio fra la malinconia e l’inquietudine. Chiunque può farlo partendo dalla propria camera da letto.
Da solo, con i propri demoni e con le proprie speranze.