Se seguite un po’ le cose musicali di casa nostra la costante, inarrestabile ascesa dei Calibro 35 non vi sarà passata inosservata. In un panorama musicale inpantanato da anni e anni in sterili ed infinite polemiche e baruffe da portineria, il quartetto + uno –Gabrielli, Cavina, Rondanini e Martellotta coadiuvati da, novello George Martin, Tommaso Colliva– ha sviluppato una visione, s’è cucito addosso un’estetica e l’ha perseguita con determinazione, costanza e duro lavoro. Le copie fisiche – vere, reali – delle loro uscite discografiche e le loro esibizioni live ne sono la testimonianza tangibile. Questa settimana è in uscita finalmente il loro nuovo album, già dal titolo programmatico di “S.P.A.C.E.” si capisce che qualcosa è cambiato nel loro immaginario ed anche il suono che li ha contraddistinti fino ad ora ha per certi versi mutato i suoi riferimenti di genere. Per saperne di più abbiamo posto a Tommaso Colliva e Massimo Martellotta alcune domande:
Per la nostra serie “Label Profile” tempo fa abbiamo avuto modo di intervistare Nick di Record Kicks e di farci raccontare da lui le circostanze del vostro incontro. Mi sembra che abbiate trovato nell´etichetta la casa ideale, con il suo misto di credibilità e cura quasi artigianale del prodotto disco, senza dimenticare che essa rappresenta veramente una realtà musicale “Made in Italy” che si fà rispettare nel mondo:
Tommaso: In effetti siamo molto felici di come vanno le cose con Record Kicks. Direi che ci siamo trovati da subito bene e ci completiamo abbastanza capendo la direzione reciproca e comune. Siamo due entità italiane atipiche nate e cresciute qui ma con un occhio da subito rivolto all’estero, siamo piccoli ma agguerriti, consci dei nostri limiti ma anche sicuri che ce la mettiamo sempre tutta.
In più – e questo non per forza è un pro per chi lavora con noi a volte – sia io che Nick siamo abbastanza rompic***o. Anzi già che ci sono colgo l’occasione per scusarmi.
La vostra discografia fa tutta riferimento alla lunga e gloriosa tradizione delle colonne sonore di film di genere ed alla library music. In un certo senso avete avuto un’idea rivoluzionaria per il panorama musicale italiano andando a ripescare quella che sembrava un arte ormai dimenticata.
Tommaso: Se devo essere onesto non ho mai pensato che l’idea di Calibro fosse particolarmente innovativa. Di fatto c’era già attenzione a livello di nicchia sull’argomento e sul genere – pensa a tutte le compilation e ristampe Right Tempo / Easy Tempo / Crippled Dick Hot Wax – e vari progetti musicali avevano lambito il genere – Montefiori Cocktail, Sam Paglia, Sikitikis tra gli altri.
La cosa che forse abbiamo fatto di diverso è l’angolazione da cui abbiamo affrontato il tema cercando di combinare un riferimento preciso a un determinato genere e immaginario con un’attitudine un po’ più sanguigna e meno forzatamente referenziale.
Ora sto analizzando molto e ovviamente non era così chiaro all’inizio; ma man mano abbiamo cercato di perdere il riferimento pedissequo e di impadronirci invece sempre più del metodo, dei suoni, della scrittura e delle circostanze che facevano in modo che una certa musica suonasse in un certo modo.
Vi piacerebbe confrontarvi artisticamente con i compositori ed i musicisti di quell’epoca, con coloro che per lo meno sono ancora in attività. Un incontro Calibro 35/ Ennio Morricone ad esempio?
Massimo: Sarebbe molto bello fare uno spettacolo monografico su Morricone. Ma ancora piu bello sarebbe essere in una delle sue colonne sonore come organico esecutivo, sarei veramente curioso di capire cosa potrebbe scrivere avendo noi a disposizione come orchestrali e come sonorità.
Che tipo di rapporto avete con i musicisti che come voi tengono viva la tradizione di un certo suono funky e r&b in giro per il mondo?
Massimo: È molto bello soprattutto nei festival, dove ci si scopre e ci si riincontra costantemente. E siam sempre quelli che fanno un funk che alle orecchie della “scena” funk o r&b è sempre vista con grande curiosità: siamo spesso percepiti come quelli che fanno un funk “bizzarro” e “weird” o “psychedelic”. Tutti e tre gli aggettivi all’estero son sempre poi associati al “very italian!” e la cosa oltre a farci molto piacere, soprattutto aiuta a caratterizzare e rendere riconoscibile il suono del progetto.
Quanto sono importanti la vostra intensa esperienza sul palco ed il respiro internazionale della vostra attività nella composizione del vostro repertorio?
Massimo: Più che il live inteso come concerti, la cosa che arricchisce l’aspetto compositivo son sicuramente gli ascolti durante i tour che evolvono molto anche in base a dove siamo. Dalle radio locali, ai demo lasciati dalle band dopo i concerti, agli stessi concerti di artisti che suonano nei festival, son tutti ingredienti che aiutano ad avere uno sguardo più ampio in fase di scrittura. Oltre naturalmente alle continue scoperte di archeologia musicale che ci scambiamo continuamente quando siamo in tour.
A questo punto, ed inevitabilmente visto che il nostro sito si occupa molto del genere, vorrei chiedervi qualcosa riguardo al rapporto che più o meno involontariamente si è creato tra voi ed il genere hip hop ed i suoi artisti. Avevate mai considerato l’eventualità di venire campionati come poi è avvenuto nei casi di Dr. Dre e Jay Z?
Tommaso: Certamente. Le colonne sonore sono un pozzo enorme di campioni e io stesso mi sono avvicinato a questo genere proprio grazie al “digging” quando ero ragazzo per cui la cosa è stata da sempre nell’aria. Diciamo che sapevamo era una possibilità ma non eravamo sicuri sarebbe successo ne tantomeno sarebbe successo in questa quantità.
Nella vostra versione di “Sabotage” dei Beastie Boys in un certo senso vi avvicinate più esplicitamente al genere. Ho trovato tra l’altro la vostra cover molto calzante visto che gli stessi Beastie Boys hanno percorso, con i loro esperimenti di genere funk strumentale, dei sentieri sonori simili a quelli che percorrete voi ora.
Tommaso: I Beastie Boys sono un gruppo eccezionale e quei dischi sono super come quelli di Money Mark di quel periodo. A me sarebbe piaciuto fare un progetto tutto sui BB coi Calibro, chissà magari un giorno lo facciamo davvero.
Ci sono dischi hip hop che avete apprezzato o avete cominciato ad apprezzare? Produttori e rappers con i quali vi piacerebbe collaborare?
Tommaso: L’argomento rap è molto spinoso all’interno dei Calibro e le visioni sono molto molto molto diverse. Dipende anche dal background di ognuno di noi: io sono quello che decisamente ha più a cuore il genere e per cui posso risponderti solo a livello puramente personale. Se dovessi esprimere un desiderio ti direi che vorrei fare qualcosa con El-P perché “End to End Burner” è stato un caposaldo della mia adolescenza e trovo che con i progetti post-Company Flow si sia saputo evolvere benissimo.
Per parlare ora del vostro nuovo lavoro in uscita. Mi sembra di capire che il concept del nuovo album “S.P.A.C.E.” è stato anche scelto per darvi la possibilità di espandere i confini del vostro suono. Il genere poliziottesco cominciava ad essere troppo stretto per voi?
Tommaso: Non ci stava solo stretto il genere poliziottesco ma proprio il riferimento al genere musicale/cinematografico pre-esistente già molto sviluppato. Avremmo potuto ispirarci al giallo o al western o alla commedia ma saremmo finiti un po’ nella stessa situazione di prima. Per questo abbiamo voluto scegliere un genere che ci desse un immaginario di riferimento a cui ispirarci ma che ci lasciasse molto spazio per creare più liberamente la nostra musica. E la fantascienza si è rivelata il contenitore perfetto perché si presta a essere più malleabile e ci ha permesso di mettere dentro al disco tutto quello che volevamo: funk, psichedelia, improvvisazione, pure un pezzo afro… il tutto in chiave Sci-Fi.
Di recente avete reso pubblico il video del making of dell’album. Vi si vede all’opera in quello che sembra essere il vostro vero elemento ideale: uno studio senza barriere e la libertà di creare.
Massimo: In realtà un posto del genere, come tutti i posti che hanno un carattere forte, di barriere ne ha molte; banalmente il fatto di registrare su nastro è come un po’ la fotografia analogica: devi preparare molto bene lo scatto. Sicuramente il sapere dove saremmo andati ci ha messo in un’attitudine molto più coscienziosa, siamo arrivati più preparati del solito ma allo stesso tempo, e fortunatamente, tutto ciò che è arrivato in più rispetto al materiale che avevamo già scritto è stato incredibilmente divertente e ci sembra che il mood di grande naturalezza con l’ambiente sia passato nel disco.
La strumentazione che avete usato in studio è veramente affascinante. Soprattutto le chitarre. Sembra che arrivi tutto direttamente dalla metà degli anni 60 o giù di li. Pensate che gli strumenti e le tecniche di registrazione di un certo tipo siano decisive per ottenere il tipo di suono vintage che caratterizzaa le vostre produzioni?
Massimo: Dal punto di vista del suono, se conosci e hai usato le stesse cose che si usavano all’epoca, sei poi in grado di maneggiare più o meno qualsiasi cosa anche di moderno per far sì che suoni con quel tipo di carattere.
La cosa veramente importante degli strumenti e degli studi con un occhio alle macchine d’epoca, è soprattutto che ricrea le stesse dinamiche operative del tempo. Cosa che “suona” molto di più di una chitarra Wandré del 1964. Darsi dei limiti temporali, suonare tutti nella stessa stanza, sapere che non ci sono altre possibilità di rifare il brano e respirare un ambiente che ha vermente tutto come all’epoca fa la vera differenza nel come ti poni, oltre alle possibilità tecniche che hai a disposizione.
Molti dischi vecchi suonano bene perché ogni scelta era molto più definitiva, e definire le cose aiuta moltissimo ad essere focalizzati e a sgombrare il pensiero e l’azione da possibilità successive. Quindi tende a farti essere il più incisivo possibile con quello che c’è, con quella take. Approccio che con il digitale cambia moltissimo, perché tutto può essere post prodotto, riregistrato all’ultimo, cambiato. Ti mette in una condizione operativa molto diversa. Ovvio poi che in tutto questo contesto, usare strumenti di quel tipo è un grosso valore aggiunto nelle mani giuste.
Ci raccontate qualcosa della vostra attività concertistica per i mesi a venire? Oltre a questa come contate di promuovere il nuovo album? E cosa bolle in pentola inoltre per la vostra band?
Massimo: Il tour parte il 16 Novembre dall’Off di Modena e passeremo tra le altre parti da: Hisohima Mon Amour di Torino, Lokomotiv di Bologna, Teatro Quirinetta a Roma, Auditorium Flog a Firenze, Magnolia a Milano… ( la lista completa la trovate su www.calibro35.net). Poi ad inizio 2016 faremo l’estero, abbiamo già Parigi, Londra,Manchester, Berlino, Madrid e Barcellona. Ci porteremo in giro qualche giocattolo nuovo, e siamo per noi i primi ad essere curiosi di come sarà questo tour sullo spazio.
Per concludere vi invitiamo a fare con noi un giochino (prendendo come spunto la vostra “Notte in Bovisa”): vi diamo i nomi di alcuni luoghi e voi ci suggerite il titolo di un brano del vostro repertorio che, secondo voi, si adatterebbe meglio a fargli da colonna sonora:
Circumvesuviana – Napoli
“Don Vito” con Francesco Forni dalla colonna sonora di “Said”, per quelli che dicono che Calibro non fa mai canzoni…
Rione Monti – Roma
“Piombo in Bocca”, che in inglese fu pubblicato con un titolo di cui vado molto orgoglioso come “Fistful of Lead” (informazione che non c’entra niente ma ci tenevo a dirlo).
Navigli – Milano
“Prologue” da Traditori di Tutti, il cui titolo di lavorazione era appunto “Auto sul Naviglio”.