[column size=”2/3″ center=”yes”]Non puoi più fare come gli alberi e giocare a nascondino dietro la corteccia.
Perché arriva l’inverno, La Tempesta. Ti piove addosso Erio e ti ritrovi spoglio, ti ritrovi tronco. Come le parole spezzate, incomplete.
Con i solchi e le rughe di fuori e i cerchi che dicono anche quanti anni hai.
Non servono troppi play perché la voce di Erio ti prenda per i rami e ti sradichi con una forza che forse non è di questo mondo qui, in cui credevi di starci pure piantato bene.
Puoi solo oscillare, indifeso, in braccio ai boschi tra venti sordi, echi di un’elettronica dal sapore nordico e ritmiche apocalittiche.
Non ho potuto giocare a nascondino. E, così, ho fatto qualche domanda a Erio sul suo primo disco Für El.
Confesso. Ho ascoltato il tuo live a Babylon e ho immediatamente avvertito il bisogno di scriverci qualcosa, di scriverti qualcosa. Ed eccomi qui. Raccontami di Erio e di Für El.
Mi fa piacere che il live ti sia piaciuto, perché al momento è la cosa che mi diverte di più e sono impaziente di condividerlo con le persone che vorranno venire a sentirci!
Di Erio non c’è molto da dire. Come tanti, ho sempre scritto musica fin da piccolo e sperato che un giorno qualcuno avesse voglia di ascoltare le cose che facevo. Pare che ora qualcuno stia iniziando a farlo. Für El è il racconto un po’ nebuloso di un periodo della mia vita in cui ho cominciato a perdere tutte le cose che credevo di avere.
Dalla lirica, alla cameretta, a La Tempesta. Cos’è che ti ha più stupito in questo percorso insolito?
In realtà, avendo poche conoscenze dell’ambiente prima di entrare in contatto con La Tempesta, non sono stato molto stupito di quello che ha cominciato a succedere un paio di anni fa, perché non avevo la minima idea di come certe cose andassero normalmente. Hanno dovuto spiegarmelo che sono un caso particolare.
Nella tua musica c’è una buona dose di soul pop, con frequenti incursioni elettroniche – a tratti anche un po’ blakeiane -, ma soprattutto una forte presenza dell’ R’n’b dei Novanta. Vorrei saperne di più.
Sono partito cercando di scrivere le canzoni più semplici e fruibili che potessi, perché mi era venuto a noia scrivere robe complicate e inascoltabili, buone solo come esercizio tecnico, come avevo fatto fino ad allora. Su questo scheletro scarno, costruito pensando a una sola persona (che chiamo El) come pubblico, ho cominciato, incoraggiato da Paolo e con il suo aiuto, ad aggiungere elementi che sono già più vicini al mio mondo musicale (l’elettronica, l’organo, gli ottoni). Non si sa perché alla fine tutto ha un sapore un po’ ‘90s, anche secondo me. Deve essere quello che viene fuori mescolando i due mondi così apparentemente distanti da cui io e Paolo veniamo…
E il set del live come sarà?
Semplice. Il minimo indispensabile per poter cantare le canzoni del disco: Voce, chitarra, contrabbasso e batteria.
La copertina dell’album è uno specchio di boschi a fior d’acqua col logo del tuo nome che sembra galleggiarci su. Com’è nato quest’incontro con Alessandro Baronciani ed Elena Morelli?
Questo è un altro dei meriti di Enrico Molteni, che mi ha indirizzato e fatto conoscere tutte le persone con cui ho collaborato per questo disco. Io mi sono limitato a selezionare le varie idee e dare qualche suggerimento, ma non ho merito alcuno! Sono solo stato fortunato…
C’è una nostra rubrica che si chiama “Collezione di dischi”. Raccontaci dei 5 album che hanno influenzato il tuo percorso musicale.
The Miseducation of Lauryn Hill – Lauryn Hill
Ho passato ore ed ore a cantare le canzoni di questo disco, con il libretto in mano e lo stereo a massimo volume. E’ un disco raffinatissimo, ma per me è stato soprattutto una scuola di canto, cui ogni tanto ancora mi rivolgo quando voglio togliere un po’ di ruggine dalle corde vocali…
Homogenic – Björk
L’album attraverso il quale mi sono addentrato nel mondo di Björk, che ho seguito tantissimo e sempre con grande curiosità. Questo disco, a mio parere, si contende il primato nella sua produzione con Vespertine (e forse Medulla), ma ha un posto particolare nel mio cuore perché, ascoltandolo, per la prima volta ho visto mondi apparentemente distanti, come la dance e la musica orchestrale, mescolarsi in un modo assolutamente naturale e non sensazionalistico.
Lycanthropy – Patrick Wolf
Ascoltando questo lavoro, ho scoperto che si poteva fare musica in casa, solo con un registratore e qualche buona idea. Trovo che Patrick Wolf, oltre ad essere un bravissimo musicista, sia un modello di indipendenza e integrità e uno dei pochi artisti maschili ad aver avuto il coraggio di mettere la sua immagine al servizio della sua espressività artistica. Per questo lo ho amato molto e considero il suo ascolto una tappa importante della mia formazione musicale.
White Chalk – P.J. Harvey
Con White Chalk, P.J.Harvey torna alla ribalta con un sound del tutto nuovo. Abbandona la chitarra elettrica per il pianoforte e ci conduce in un mondo oscuro e spettrale, che mi ricorda gli inverni passati nei paesi di campagna in cui ho abitato da bambino. Ogni volta che voglio sentirmi come se fossi in mezzo al bosco a Novembre in un giorno di pioggia fine, metto questo disco. E’ stato uno degli ascolti più confortanti nell’inverno che ho passato a lavorare a Londra. Quando la città mi opprimeva e mi sentivo miserabile, canzoni come “Dear Darkness” e “Grow Grow Grow” mi sono sempre state di grande consolazione.
Have One On Me – Joanna Newsom
Ogni testo di questo album è un piccolo romanzo, gli arrangiamenti sono sensazionali e la voce della Newsom, risolti dei problemi alle corde vocali, si scopre matura e cristallina come sembrava impossibile aspettarsi da lei.[/column]