Era il 2009, quando una delle pagine Tumblr più influenti degli ultimi anni cominciò a delineare i tratti di un macrogenere, nato dalle ceneri della deturpazione mediatica della dubstep. La morte mainstream del genere musicale nato in Inghilterra avrà inizio solo qualche mese dopo. L’inizio della fine, andando a memoria, fu l’appropriazione coatta di un bridge, ad opera di uno dei producer della popstar patinata per eccellenza, ovvero Britney Spears (Hold it against me), nel 2011. Da lì all’estremizzazione definitiva del genere ad opera di Skrillex, il decorso sarà breve.
Il sito sulla piattaforma di Tumblr oggi non esiste più, si chiamava MTHRFNKR (lo stesso che ben 4 anni fa profetizzò la riabilitazione artistica di Justin Bieber) che insieme a Indie R&B e un paio di altri indirizzi URL, introdusse migliaia di blog a quello che diventerà il calderone più vario e sfaccettato della musica del futuro: la/il postdubstep.
Il nome di Jamie Woon cominciò ad emergere sulla carta stampata e non a partire dal 2010, anno in cui venne rilasciato il primo singolo via PMR Records (Disclosure, Jai Paul, etc), tratto dal suo primo album ufficiale Mirrorwriting (2011). Il cantante prende in prestito il miglior sound della scena club londinese e in modalità indie fai-da-te serve il tutto su un piatto di moderno R’n’b. Un disco che sa quasi di esperimento casalingo, un cuscinetto tra la scena underground e quella “quasi-mainstream” della buona e (quasi) vecchia UK Bass. La prima stampa del LP, secondo le stime di discogs, è diventata già una mezza rarità.
Insieme a lui, tra i nomi della lista del futuro stilata da MTHRFNKR apparivano alcuni dei nomi tra i più influenti del panorama musicale mondiale di oggi come James Blake, Sampha, Jamie xx, Jessie Ware, XXYYXX, Julio Bashmore e molti altri.
Gli addetti ai lavori probabilmente si ricordavano di lui per il singolone rilasciato nel 2007 Wayfaring Stranger, che conteneva, tra gli altri, un remix ufficiale di Burial in un periodo di ancora semidivinità. Lo stesso Burial co-produrrà poi il singolo di lancio del giovane artista londinese Night Air ben tre anni dopo. Dall’album vennero estratti altri due singoli. Lady Luck riuscì per alcune settimane a rimanere nella rotazione radiofonica in diversi paesi europei mentre il terzo singolo estratto, Shoulda, passò immeritatamente in sordina, complice anche l’assenza di un video ufficiale.
A gennaio dello stesso anno si classifica quarto nel prestigioso sondaggio annuale della BBC “Sound of”. Nel frattempo la Polydor si interessa al cantante di origini malesi e ad aprile distribuisce il suo primo album ufficiale che avrà un discreto riscontro sul mercato inglese ma anche nelle classifiche del Nord Europa. Una volta terminato il tour promozionale, mentre i colleghi della lista diventano pian piano sempre più rilevanti, Jamie Woon pare scomparire dai blog di tutto il mondo e dai nomi dei performer dei festival più influenti. Escluse un paio collaborazioni, su tutte quella sul primo album dei Disclosure (January), non si sente più parlare di lui per quasi 4 anni, durante i quali gli utenti dei forum musicali ironizzano cinicamente sulla sua assenza mediatica, citando uno dei pezzi del primo album intitolato Missing Person.
Dopo questo luogo periodo trascorso in disparte, il 6 novembre 2015 ha visto la luce il suo secondo studio album (pubblicato dalla stessa combo di labels) Making Time, un disco che fa del minimalismo la chiave di un successo tutt’altro che preannunciato. Un lungo periodo di pausa in cui apprende il meglio da Theo Parrish e i Floating Points, prendendosi il rischio di risultare un po’ ripetitivo sulle ritmiche e sulle linee melodiche. Nonostante ciò, Jamie riesce a riproporsi in una forma più introspettiva e rassicurante, come se avesse piena coscienza delle sue azioni ma soprattutto di se stesso.
La dubstep scompare quasi completamente, mentre qualche eco di bass music tenta di far capolino nel tappeto di un paio di tracce, senza mai prendere il sopravvento. Il lavoro, così come la scelta di promuoverlo attraverso delle performance unplugged, è complessivamente pensato in chiave acustica e da camera, soprattutto per quanto riguarda la seconda parte della tracklist(Forgiven è quasi acustic R’nB, la sommessa Little Tunder e la conclusiva Dedication). Non mancano un paio di variazioni sul sound, come la spagnoleggiante Celebration che sembra un pezzo degli Amaral cantato in inglese o Thunder che guarda ai registri soul vecchia scuola.
La pazienza è la chiave per una corretta (o forse no?) interpretazione del nostro ego e del nostro tempo, una serenità che si materializza nelle note di Sharpness o Skin che definiscono, più di altre, la sua innata eleganza e la usano come ventaglio per rinfrescare l’aria durante la sessione d’ascolto.
La stessa Sharpness, primo singolo estratto, sarà la traccia che lo capulterà nuovamente nelle playlist radiofoniche delle stazioni commerciali e non di mezza Europa.