Mi sono imbattuto per la prima volta in Giancarlo Barbati in qualità di chitarrista dei Muro del Canto, poco dopo essermi trasferito dalle Puglie a Roma: era il 2012 o giù di lì. Oltre alla sua evidentissima altezza, mi colpì la sua simpatia contagiosa.
Poco tempo dopo, Giancarlo pubblicò il suo primo EP con il nome d’arte di Giancane, un progetto solista che esplora il suo lato più scanzonato e gioiosamente irriverente, soprattutto se comparato al folk più oscuro del suo progetto principale. L’opera si chiamava Carne e si presentava in una delle tipiche scatole per le carni in vendita ai supermercati, con tanto di foto del macinato in copertina e indicazioni d’origine assortite. Intervistai Giancarlo prima di un suo concerto stupefacente al rione Monti e fu difficile per me capire quanto il confronto fosse un’intervista o una chiacchierata con un nuovo amico. Live, poi, nelle vesti di cowboy metropolitano – mai definizione fu più azzeccata – Giancarlo tirò fuori tutta l’energia che mai ti aspetteresti che possa provenire solo da una chitarra acustica e da una grancassa. Una sorta di Billy Bragg de noantri. Un Johnny Cash punk nato tra San Paolo fuori le Mura e Garbatella.
Una settimana fa è uscito finalmente il debutto Una vita al top, ancora connotato da una copertina culinaria che stavolta rimanda ai toast con formaggio fuso (la fissa per il cibo non tramonta mai), un album che estende su più pezzi l’ironia, la rabbia e il vigore che si trovavano già in nuce su Carne. Irriverenza spregiudicata e gioconda.
Qui potete ascoltare il disco, di seguito raccontato dallo stesso Giancane traccia dopo traccia.
Hogan blu
È il primo singolo di questo disco, parla di scarpe, delle mie scarpe preferite di sempre, sia ai piedi che nel cuore: le Hogan.
Ciao sono Giancane
Questa è una traccia molto importante per me, è il mio “ballo delle debuttanti”: atmosfere sanremesi arricchite dai violini di Margherita Musto (Ave Ao’ – Ti lascio una canzone) e Giovanni Truppi (Dio).
Il pezzo contiene delle parolacce.
Vorrei essere te
sottotitolo: “Così poi m’ammazzerei”
Una volta un tifoso della Roma di 89 anni, in punto di morte, espresse il desiderio di diventare della Lazio; tutti rimasero sorpresi e chiesero quale motivo si celasse dietro questa ardita scelta e lui rispose: almeno muore uno di loro.
La vita
È un Country lento dove parlo di me, della mia famiglia, della mia vita. Facile.
Ma tu no
È il secondo pezzo scritto come Giancane, mi sono licenziato poeticamente con un “ma però” ed il pezzo parla di come al giorno d’oggi sia impossibile essere coerenti in qualsiasi campo, dal cibo agli oggetti.
Ma però.
Lunedì
Lunedì non è un pezzo mio, lo ha scritto Vasco Rossi nel 1987 ed il me bimbo è ancora innamorato di lui e di questa traccia incredibile.
Vecchi di merda
Il primo pezzo in assoluto che abbia scritto come Giancane, parla del mio odio verso me stesso e verso gli anziani stronzi, categoria di cui farò parte tra non molto. In realtà già lo sarei ma la mia carta d’identità dice che manca ancora un po’.
Come sei bella
È l’unico pezzo “d’amore” del disco, in sostanza parla di relazioni e di sbalzi d’umore, di gioie e centri commerciali, di mare e code in auto, di Ikea e mobili da montare, e per la prima volta nel disco c’è un epilogo positivo. La seconda strofa è la rivisitazione della prima fatta da Emanuele Galoni, amo il suo modo di scrivere e quindi gli ho chiesto gentilmente in prestito parole e voce. Lui, essendo un king, me le ha date.
Fai schifo
Un altro pezzo d’amore direi, molto autocritico. A fine pezzo Alessandro Pieravanti (collega dello stesso Giancane nei Muro del Canto, ndr) vi parlerà anche del suo punto di vista.
Pare che dorme
Altra licenza poetica. Il testo molto semplice ed ermetico recita così:
Pare che dorme
Pare che dorme
Pare che dorme
Beato e tranquillo
Pare che dorme
ma era solo uno stronzo
che pare che dorme
da dedicare a chi si vuole.
Una vita al top
La title-track dell’album, una sorta di testamento per il mio funerale: atmosfera molto Irish, violini (ad opera di Andrea Ruggiero), fischi e birra. La traccia si chiude con i Bamboo che – con i loro strumenti – ci trascinano verso la fine del disco.