Perché Newton Faulkner ha sempre avuto una sensibilità senza uguali nel fare le cover.
Ed è con una cover che Human Love si apre, un omaggio che è poi anche una dichiarazione d’intenti presa a prestito da Major Lazer: Get Free, un taglio netto e disperato. Ai dreadlocks e, forse, anche ai suoi inizi, o a ciò che l’ha da sempre reso riconoscibile.
Sta di fatto che tutto ciò che segue a quest’amabile prima traccia ha la freschezza dell’evoluzione, sa dello stesso imbarazzo che provano gli occhi quando hanno d’avanti qualcosa di nuovo e non sanno cosa guardare e, allora, nell’ingordigia dello sguardo, seguono tutte le direzioni, Up Up and Away. Una coreografia di jumping, magliette colorate e sneakers leggere (con tanto di product placement della Nike) che ti fa venire voglia di essere felice.
Newton Faulkner si schiera apertamente verso il pop, i ritornelli catchy e i clapping danzerecci dove la chitarra e quei virtuosismi percussivi sono meno presenti e il sound si fa irrimediabilmente radio-friendly (Passing Planes) oltre che più compatto e corale. E non è un caso, infatti, che nei credits del disco compaiano anche nomi di un certo livello come quello di Cam Blackwood (George Ezra, London Grammar, Florence and the Machine), produttore di Step in the Right Direction, oppure quello degli Empire of The Sun con una riconoscibilissima produzione di Shadow Boxing.
Il songwriting vecchia maniera resta in brani come Break, dove la voce di Faulkner ritorna in primo piano e ti fa vibrare le corde, com’è solito fare.
E, comunque, di questo modo di approcciarsi alla scrittura e allo strumento, che tanto aveva fatto parlare ai tempi di Hand Built By Robots, restano poche tracce, ciocche sparse che Faulkner sacrifica in nome di un look tutto nuovo.
Che non ci dispiace affatto.