Ho sempre pensato ad alcuni personaggi (chiamiamoli così per comodità) quasi come a delle creature mitologiche. Erano troppo lontane per poter solamente pensare che esistessero sul serio, figurarsi entrare in contatto con loro. Uno di questi personaggi era J Dilla, ma anche gli Slum Village, Mos Def: insomma gran parte della golden age di quell’hip hop che tanto stavo imparando a conoscere, e di cui mi stavo innamorando. Queste convinzioni hanno cominciato a frantumarsi alla vista del primo concerto dal vivo di Pete Rock a cui ho assistito. Ero a NY, e lui era accompagnato da Cl Smooth, ed entrambi erano così reali, così umani, che per qualche minuto ho addirittura fatto fatica a pensare si trattasse delle stesse persone, della stessa musica.
Il preambolo è solo un cappello introduttivo al mio stato d’animo al momento in cui quest’intervista con Illa J è stata chiusa. Per qualche minuto ho faticato a credere che il fratello di J Dilla (!!!) avrebbe risposto alle mie domande. Lui, parte integrante degli ultimi Slum Village e metà degli Yancey Boys. Lui, che aveva assistito alla storia mentre questa veniva scritta. Poi però, svanita l’illusione, ho capito che stavo completamente sbagliando prospettiva. Ho stracciato alle domande, ho ripreso l’ascolto del suo ultimo (omonimo) lavoro, e ho ripreso a scrivere.
Illa J (il disco) è il miglior modo per mandare a farsi fottere tutte le mie convinzioni in fatto di hip hop. È un disco così “vero”, e allo stesso tempo lontano da qualsiasi alone di mistero, che ti prende dritto al cuore. Così, ho cominciato a scambiarmi messaggi di posta (elettronica) con Illa J.
Ma certo, va benissimo.
Prima di tutto, cosa pensi della frase – che è diventato oramai una specie di mantra – “J Dilla Change My Life”? Credi sia abusata o no? Perché io lo penso, sotto sotto.
Io invece credo sia incredibile. Alla fine è lo scopo di tutto questo, essere capaci di stabilire una connessione con l’ascoltatore. Ed essere capaci di ispirare chi ti ascolta a farlo, a cambiare la sua vita, è fondamentalmente un atto di amore, compiuto attraverso la musica.
Com’era lavorare con lui?
Era semplicemente passare del tempo con mio fratello, a rilassarci, preparare i pezzi. Ricordo le volte che passava a prendermi a scuola, ero super eccitato, e lui voleva solo suonare i suoi beat, e le casse pompavano forte. Mi mancano quei momenti più di tutto.
Abbiamo imparato a conoscere quasi tutto della tua famiglia, di come fosse molto addentro all’ambiente musicale. Com’è stato crescere in tale contesto?
Allora, mio padre è stata la mia più grande influenza. Insieme a lui ascoltavamo Sam Cooke, Marvin Gaye, James Brown, Al Green, I Manhattan Transfer, e in generale un sacco di soul e di jazz. Mia madre invece cantava, lei ha studiato opera ed era una cantante jazz. Ho imparato un sacco da lei, soprattutto sul canto. Ho fatto anche parte del coro della chiesa crescendo, ed ho preso qualche lezione di piano da piccolo ma non l’ho mai presa seriamente fino ai miei 19 anni, dopo aver visto un concerto di Stevie Wonder. Dopo quella volta non sono più riuscito ad allontanarmi dal piano. Ma sono cresciuto fondamentalmente cantando, quindi posso dire che la voce è stato il mio primo strumento.
Sei cresciuto a Detroit, contribuendo alla rinascita artistica della città in maniera fondamentale, ma adesso vivi in Canada, a Montreal. Che tipo di impatto ha avuto il trasferimento sulla tua musica?
Mi piacciono molto le vibrazioni che ci sono qui, questa città è meravigliosa, specialmente d’estate. L’intero album l’ho scritto qui, a Montreal, e di certo si possono notare gli influssi della città mentre lo si ascolta.
Puoi raccontarci perché hai deciso di lasciare gli Slum Village?
Mi sono divertito molto ad andare in tour con i miei fratelli, ho imparato un sacco su come registrare un pezzo o su come esibirmi dal vivo durante quell’esperienza. È stato tutto molto naturale, anche il modo in cui mi sono unito a loro. Lavoravo al Villa Manifesto e poco dopo ho cominciato ad andare in tour con loro e solo dopo abbiamo cominciato a registrare tutti insieme. È stata un’idea di Mick Boogie quella di fare il Dirty Slums mixtape, perché a quel punto tutti stavano solo lavorando sui progetti solisti. Sia io che T3 avevamo appena rilasciato un EP, entrambi prodotti da Young RJ. Il gruppo è venuto fuori veramente in maniera spontanea, dopo aver girato per tanto insieme, abbiamo realizzato che c’era una alchimia naturale tra di noi. Il piano originale è sempre stato quello di tornare alla mia carriera da solista una volta che avessimo ristabilito l’immagine del brand. Sia T3 che Young RJ lo sapevano. In fin dei conti, quelli sono i miei fratelli, al di là della muisica. Suoniamo spesso insieme, anche se non siamo più un gruppo.
Se paragonato a 10 anni fa, qual è la tua opinione dello stato dell’arte dell’hip hop oggi, nel 2015? Si sentte spesso gente lamentarsi per la piega che le cose hanno preso negli ultimi anni, dimenticandosi forse che da qualsiasi cambiamento viene fuori qualcosa di buono e qualcosa da imparare.
Onestamente credo che ovunque la musica sia in ottime condizioni, è il momento perfetto per sperimentare con diversi stili, esplorare suoni nuovi. Così per l’hip hop, che viene da un lungo percorso ed è continuamanete in crescita. Ora sento che il quel suono statico, grintoso del vinile sta tornando prepotentemente. Ma è proprio questo il bello dell’hip hop, che puoi prenderlo da diversi punti di vista, perché è sempre infleunzatp da altri genere musicali. E credo che la miglior musica arrivi quando riesci a sintetizzare al meglio diversi suoni, cose che generalmente non andrebbero insieme, ma che suonano bene insieme. È scioccante vedere quanti altri generi influenzino l’hip hop oggi.
Il tuo album era atteso da tanto tempo. Ci dici qualcosa sulle circostanze in cui è stato prodotto o registrato?
Beh, quest’album segna un nuovo capitolo della mia carriera. Una parte che viene completamente definita da me stesso. Quando ho comincato tutti i miei legami era come se stessero oscurando la mia possibilità di mostrare cosa potevo e sapevo fare. Questa volta invece mi sento libero, e sto provando sensazioni che non avevo mai provato prima. Questo è il punto fondamentale. Ho sempre fatto stili diversi di usica, ma la maggior parte dei miei lavori precedenti riguardava meramente il soul, il jazz e il boom bap. Perché sono un cantante, un song writer prima ancora, anche se è sempre successo che scrivessi rap. The Universe, contenuta nel disco, è un ottimo esempio: una canzone dove avevo intenzione solo di cantare, ma la mia voglia di rap ha trovato il modo di inserirsi. Onestamente, amo l’arte del rap. Inoltre, in Sunflower, il duetto con Allie, la vibrazione è quasi house music, mischiata con dell’acid jazz. C’è anche un remix house di quella traccia, di Dj Spinna, che rilasceremo presto. Tutto l’labum è stato prodotto dai Potatohead Peolple. È stato molto divertente lavorare con loro, e questo credo si intuisca dal suono, è tutto molto naturale. Ho avvertito una naturale chimica con tutti gli artisti che hanno partecipato al disco, da Allie a Moka a Ivan Ave. Mi sento veramente felice per quello che abbiamo fatto.
Come credi sia cambiato, si sia evoluto, il tuo stile con tutte le esperienze che hai collezionato durante questi anni?
Per me è tutto una continua evoluzione. Più scrivo, più incido e più imparo sul mio processo di scrittura o semplicemente sull’arte musicale. Il delivery (il modo in cui si pronunciano le parole) è molto importante ed è un aspetto di cui spesso le persone si dimenticano. Puoi avere dei testi fortissimi, ma suoneranno banali senza il giusto delivery. Infine, anche le semplici esperienze di vita hanno influenzato molto i miei testi. Devi vivere in modo da poter parlare di quella vita che stai vivendo, e le sfide che affronti durante il tuo percorso. E quel percorso è infinito.
Il tuo disco suona in maniera molto nuova, quasi sperimentale. Nel modo in cui suona la musica di chi pensa al futuro, insomma. È stata una scelta per tagliare in un certo senso i ponti con la old school oppure è risultato di un processo natuale?
Solo evoluzione naturale. Come detto ho sempre fatto musica molto diversa, e quest’album vuole essere la porta d’entrata ad un nuovo capitolo della mia carriera. Ed è per questo che porta il mio stesso nome, per questo che ho messo la mia faccia sulla copertina per simboleggiare il nuovo inizio, ma anche che altre cose arriveranno. Significa che pianifico sempre di esplorare nuovi suoni. Perché sono un musicista che non fa nessun genere di musica in particolare. Faccio solo quello che mi fa sentire bene. Quindi potrei produrre qualcosa di hip hop oggi e domani magari svegliarmi e aver voglia di suonare alternative rock. Ho un gusto musicale molto eclettico, ve ne accorgerete ascoltando i prossimi lavori.
C’è qualche producer o MC con il quale ti piacerebbe lavorare oggi?
Mi piacerebbe molto lavorare con Timbaland. Con Pharrell anche, credo che la mia voce con le loro produzioni potrebbe miscelarsi bene.
Sembri una persona abbastanza introversa, quasi timida. Qual è il tuo rapporto con la fama?
Mi fa molto strano quando vedo la gente nervosa o imbarazzata nel parlarmi, se solo potessero sapere quanto sono nervoso io quando parlo con loro! Sono sempre stato un ragazzo molto tranquillo, anche a scuola, ero super-tranquillo. La muisica è il mio modo di comunicare con gli altri e è incredibile vedere persone che supportano quello che faccio e che magari vengono ispirate da quello che faccio. Per tornare al discorso precedente, non c’è niente come la connessione che si crea con l’ascoltatore, ed è per questo che amo esibirmi dal vivo. Perché è una cosa che tu stesso hai creato, la tua musica ti fa sentire in un certo modo ed è pazzesco vedere altre persone sentirsi in quello stesso modo. E allora che capisci di star battendo sulle corde giuste.
Stai per cominciare un piccolo tour in Italia (ora concluso, ndr). C’è qualcosa che conosci della nostra scena hip hop?
Ad essere onesto non conosco molto dell’hip hop italiano, ma c’è un producer, Robroy, di Milano, che è pazzesco ed ha un suono underground molto bello. Io e Frank abbiamo fatto un progetto con lui, quindi aspettatevi di ascoltarlo presto. Ma voi, come italiani, mi avete sempre dimostrato molto affetto, tutti gli show che ho fatto in Italia sono stati molto divertenti, sia quando son venuto con gli Slum via con Frank Nitt. Posso avere solo amore per l’Italia.
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