È bellissimo quando il Disco Raccontato mi fa scoprire che dietro delle godibilissime tracce ci sono, non solo dei riferimenti musicali, ma soprattutto una marea di bei libri, immaginari, citazioni, parole.
Echo Sounder dei Quai du Noise, ad esempio, mi fa navigare per i mari d’Antartide, mi fa sentire il ghiaccio tagliente sul viso e il vento che mi rema contro. E mi fa viaggiare. Per i flussi di un ambient fluida – a metà tra XX e Apparat – per acque morbide e fondali di spettacolare eleganza.
Se volete salpare voi pure, la carta nautica è qui sotto.
Bora
Crediamo che il miglior modo per raccontare cosa rappresenti per noi questo brano, sia quello rifarci alle parole di Italo Svevo che in un passo di un suo racconto fornisce un’immagine molto suggestiva dello spirare della bora: «Non è traditrice la bora e se appare così è perché si ha il torto di considerarla come una cosa solo mentre si compone di migliaia di soffi […] indisciplinati, a casaccio, uno segue l’altro, ora immediatamente quasi fondendosi con esso, ora con più secondi d’intervallo, e passano via sugli ostacoli, non tutti col medesimo suono, alcuni urlando con gran voce di bestia arrabbiata ma sana, altri cantando in falsetto». Ecco, probabilmente questo brano racchiude lo spirito del disco. Si fa avanti con chitarre molto riverberate, distanti e soffuse, quasi come se fossero un presagio. Irrompe poi sulla scena un synth acido, quasi a voler sporcare l’atmosfera eterea che si sta componendo, profetizzando la forte raffica di vento sta per abbattersi. Il brano cresce, ingloba altri “soffi” e frappone ostacoli (uno snare molto pronunciato), tutto per poi ricomporsi in una massa ventosa eterogenea. Urla a gran voce, ma talvolta lo fa con falsetti. È l’incipit del disco. È il vento che ci spinge per mare e definisce la rotta.
Wandering gliders
È la perenne tensione tra senso di abbandono e istinto di sopravvivenza. Sullo sfondo i marinai de La spedizione dell’ «Endurance» di Shackleton che cercano di mettersi in salvo dopo essersi arenati in una calotta di ghiaccio antartica a poche miglia nautiche dall’isola di Paulet. Dopo aver fronteggiato per lunghissime settimane le avversità di un habitat ostile per l’essere umano, la maggior parte di loro si lascia andare, mentre pochi audaci, invece, riescono a scavare un piccolo sentiero tra i ghiacci e a mettersi in salvo. Questo brano è pervaso da un lato da quel forte senso di abbandono che ci spingerebbe a lasciarci andare, a spargerci nel cielo come stormi di uccelli, a nebulizzarci, dall’altro da un istinto di sopravvivenza puramente animale che si fa grido di speranza. È anche la trasposizione del dubbio insito nella scelte che ci mettono difronte a un bivio. Se vale la pena o meno scavare quel sentiero tra i ghiacci.
Mainland
Mainland è un brano al quale siamo molto legati. Quando l’abbiamo composto venivamo da un periodo non troppo felice. Allora ci stavamo complicando la vita cercando chissà quale complessissimo arrangiamento che non era evidentemente alla nostra portata. Perciò ci siamo fermati un attimo, abbiamo ragionato e abbiamo pensato di fare qualcosa in chiave sottrattiva (non è la nostra dote più grande) che potesse dare più respiro al disco. Un estemporaneo approdo nel bel mezzo del viaggio che già custodisse la voglia di ripartire. È come se fossimo stati in balìa di quella sensazione di calma apparente che Hemingway descrive nel suo racconto Dopo la tempesta. C’è tanta immobilità che lascia però presagire un principio di movimento.
Fetch
Il Fetch è un termine geografico che indica la superficie di mare aperto su cui spira il vento con intensità costante ed entro cui avviene la generazione del moto ondoso. È l’inizio di tutto, il luogo in cui si genera il movimento e il pensiero. Il luogo più recondito dell’animo umano. È il principio di un viaggio metafisico in cui l’animo umano si abbandona a una rotta che non si sa bene dove possa condurlo. È anche la disperazione sussurrata tra sé e sé quando si è soli in mezzo al mare in una notte particolarmente oscura, in cui le stelle sono affondate spogliando il cielo di luce e privando l’uomo degli unici punti di riferimento. Fetch è sublimazione fisica e spirituale. È il luogo metaforico in cui siamo iniziamo a essere quelli che saremo, a seconda dell’intensità con cui spira il vento sulla nostra superficie di mare. È l’inizio del viaggio dell’anima.
Monad
Il testo di questo brano cerca di evocare in forma ermetica, attraverso una voce volutamente distante e confusa, l’indefinibilità della sensazione estatica che si prova nel contemplare qualcosa che ci fa sentire parte di un tutto. Come se in noi si rispecchiasse parte di quell’universo che sappiamo di non conoscere, ma a cui sentiamo di appartenere visceralmente. Il brano è ispirato a un racconto di F. Pessoa all’interno de Il libro dell’inquietudine, in cui l’autore traduce in forma idilliaca questo tipo di sensazione: «Allora, nella spiaggia il cui unico rumore erano le onde o il vento che passava alto come un grande aeroplano inesistente, mi abbandonavo a un nuovo tipo di sogni: cose informi e soavi, meraviglie dell’impressione profonda, senza immagini, senza emozioni, pulite come il cielo e le acque, che vibravano come i flutti di un mare che si erge dal fondo di una grande verità. Diventavo un corpo di nostalgia con animo di spuma». È la molteplicità che si ricompone in unità e ci libera da ogni affanno.
Luff
Con questo brano abbiamo spostato la prua verso il vento per cavalcare le onde come Jack London ne La crociera dello Snark. Questo è un brano dinamico, più “danceable”, con venature più techno. Suggerisce l’immagine di un virata ad alta velocità. È forse quella parte di viaggio meno introspettiva e più adrenalinica. C’è l’immagine curiosa sullo sfondo di Jack London che si ostina a voler correre sulle onde.
Lighthouse Keeper
C’è un guardiano di un faro situato nel bel mezzo dell’oceano che assiste imperturbabile all’agonia di due naufraghi che si affannano per raggiungere l’unico punto di approdo. Il guardiano spegne improvvisamente le luce roteante condannandoli all’oblio. Ormai perduti e abbandonati alla corrente, sopraggiunge l’«abominevole Sharkley» di A.C. Doyle, alla guida del suo Happy Delivery che decide di salvarli prendendoli a bordo. I pirati, dopo aver saccheggiato i pochi averi del guardiano, lo issano sull’albero maestro costringendolo a fissare per sempre da un luogo molto ravvicinato quel faro abbagliante che ora appartiene ai due sopravvissuti. Parabola o profezia?
Polena
La polena è l’ornamento posto sulla prua delle navi che molto spesso raffigura figure femminili mitologiche come le sirene. Anche se questo brano chiude il disco, l’abbiamo pensato come emblema di una fine che si fa nuovo inizio. È un brano molto intimo,ma di un’intimità condivisa (che nasce spontaneamente, anche senza conoscenza approfondita) con un grande artista quale FRNKBRT. Noi volevamo fare a tutti i costi una collaborazione con lui e gli abbiamo mandato alcune tracce di piano e synth che lui ha accolto con entusiasmo. Frank, dopo aver reinterpretato e rielaborato le tracce con quelle che definiamo (da ignoranti ) “robe da smanettone visionario”, ci ha regalato un capolavoro. Siamo molto felici di aver fatto l’unica collaborazione del disco con uno dei pochi emergenti nel panorama della musica elettronica italiana ad avere un approccio “punk”e al di fuori dai meccanismi di consumo e massificazione. Il testo di questo brano riprende alcuni passi del racconto Il silenzio delle sirene di Kafka. Non c’è più l’eroico Ulisse dantesco sopraffatto dalla hybris, ma c’è l’Ulisse umano, fragile, contemporaneo, quello che pur di dare un senso alle cose “inganna l’inganno” fingendo di sentire il canto delle sirene mentre esse tacciono. Probabilmente il concept dell’album è un tentativo di dare un senso a qualcosa che in realtà non ne avrebbe alcuno. Anche noi come l’Ulisse di Kafka abbiamo finto di udire un canto frutto dell’immaginazione, solo perché ci consentisse di proseguire nel viaggio.