Folk e psichedelia brulicano qua e là nei terreni arati dall’ultimo album della trilogia lessina dei C+C=Maxigross.
Si chiama Fluttarn ed è un innesto mai artificioso di influenze variegate che rimbalzano dai Fleet Foxes ai Beatles, dai Flaming Lips a Beck, da Bacharach a Battisti: un lavoro radioso, intenso, voluttuoso e sapientemente arrangiato.
Lo ascoltiamo qui sotto e poi leggiamo cosa c’è dietro ogni traccia.
You Won’t Wait At The Arrival
“Fluttarn” comincia da dove eravamo rimasti con “Ruvain”, che si chiudeva con lo strumentale “Wait Me to Arrive” registrato con un solo microfono in mezzo a un salone. Per chiudere questo ciclo abbiamo voluto riprendere quella melodia, cantarla a cappella sempre davanti a un solo microfono, questa volta però all’aperto di fronte alla vallata di Vaggimal. Con un po’ di pessimismo in più, che in realtà è solo maggiore consapevolezza e diventare adulti realizzando che le cose cambiano e niente dura per sempre: “Tu non mi aspetterai all’arrivo”.
Born Into It
Una breve odissea folk a suon di arpe tirolesi, pianoforti, organetti e chitarre acustiche. Un onore poter far cantare i primi versi solisti del disco da Marco Fasolo e la sua incredibile espressività. Nati per scomparire come polvere e quindi essere sempre in movimento disperdendosi ovunque.
Bruce Skate
Per quanto sembri la canzone dalle sonorità più cazzone e spensierate in realtà parla di una storia d’amore finita tristemente. Il groove serve a tenersi su di morale. Abbiamo unito la prima parte della canzone, quella più pulita, compatta e registrata molto precisamente a metronomo traccia per traccia con una coda registrata in presa diretta bella sporca. Due anime opposte, due ritmi e due intensità diversissime tra loro.
Every Time I Listen To The Stones
Questa canzone è stata scritta a capodanno 2013, quando Carlotta aveva lasciato la band dopo cinque anni che faceva parte del progetto e Mattia (che era entrato nel 2011) l’aveva seguita. Ci siamo ritrovati a piedi, decisamente giù di morale. Abbiamo reagito di colpo, senza abbatterci e deprimerci. Trovati subito dei nuovi compari di viaggio siamo ripartiti subito, con errori, rallentamenti e riassestamenti, ma siamo ripartiti. Il testo parla della forza immensa della musica e dell’arte, prendendo come esempio l’energia degli Stones ma poteva essere chiunque altro mette l’anima al centro della sua arte e le fa coincidere. Le sonorità rimandano al rock inglese dei sixties se non ci si era accorti, quindi gli Stones non sono comunque un esempio a caso.
Let It Go
A fine tour di “Ruvain” a settembre 2014 stavamo suonando in questo incredibile festival in cima al castello della bellissima Feltre (BG), si chiama Fuochi Fatui. Niccolò il nostro batterista è svenuto nel bel mezzo di una delle prime canzoni . Questa canzone parla delle sue sensazioni, tra stress e viaggioni mentali. Come sound siamo partiti da qualcosa di Lou Reed e ci siamo ritrovati con questo basso distorto mettendo la testata al massimo del volume tant’è che sembra un sintetizzatore, assieme a percussioni, mellotron e cori angelici. Tra Os Mutantes, Flaming Lips e stramberie varie.
All That I’ve Done To Be So Lonely
In questo brano si sente chiaro e tondo lo strumento che abbiamo usato meno e per ultimo nel disco, e che nonostante ciò è stato decisivo. Il Roland Juno. Un sintetizzatore famosissimo e usatissimo. Solo che per noi era la prima vera volta che usavamo seriamente un synth analogico.
Ed è stato stupendo. C’ha aiutato a chiarire l’idea di stratificazione sonora che avevamo in mente. Questo brano inizialmente era semplicemente la coda che abbiamo suonato subito dopo della presa diretta “An Afternoon with Paul”. Ci piaceva molto a tal punto che l’abbiamo fatto diventare un intermezzo strumentale a sé.
Est 1973
Il brano forse più classico del disco. È una specie di country folk in quanto i cori del ritornello cercano di lanciarti in orbita mentre gli altri strumenti abbastanza asciutti ti tengono ancorato sulla terra.
Quindi il risultato è una via di mezzo tra i prati e le stelle. Parla di lasciar andare una persona a cui hai dato tutto quello che potevi dare e ti sei mostrato per come sei. Fa parte dei percorsi della vita, delle persone che si incontrano in continuazione, e quindi si va sempre avanti. Il titolo invece è riferito all’anno in cui è nata la chitarra acustica Martin D-18 con cui abbiamo registrato quasi tutte le nostre canzoni. Un suono e un’epoca per noi importantissime. Gli ospiti in questo brano sono Hakon e Kjell dalla Norvegia. Suonano banjo e steel guitar. Hakon ha suonato per tantissimi anni nei Motorpsycho che sono una delle nostre band preferite di sempre, oltre ad essere un grandissimo produttore e polistrumentista. Un altro grande onore averli con noi.
An Afternoon With Paul
Strimpellando a caso col piano c’è venuto fuori questo giro ultra pop su cui abbiamo messo questa melodia decisamente alla Paul, e quindi c’abbiamo giocato su. Il testo prova a descrivere le sensazioni di un vecchio musicista di successo, con tutte le soddisfazioni e le amarezze del caso, quando ormai i giochi si son fatti. Poi dall’idea iniziale abbiamo iniziato ad aggiungere synth e delay lunghissimi che hanno portato il brano dagli anni ’60 a un delirio ambient noise che sfocia in una coda soul funk. Ci piace non sapere mai cosa succederà.
Moon Boots
Anche qua siamo partiti da una canzone molto classica. Un folk rock tirato un po’ alla Wilco. Sulla base registrata in presa diretta ci siamo trovati a sovraincidere synth e chitarrone e così è stato tutto spostato verso una epicità anni ’80 assolutamente non intenzionale. Anzi la coda voleva essere quasi My Bloody Valentine. Anche qua si parla di amori finiti e di andare oltre, verso aria e prati nuovi. Alla voce compare il nostro amico Martin Hagfors dalla Norvegia, che contribuisce col suo timbro californiano mentre alle stratificazioni chitarristiche abbiamo Miles Cooper Seaton, che ha sovrainciso un sacco di roba alla Cocteau Twins!
Rather Than Saint Valentine’s Day Part
Ultimo brano, si chiude un ciclo di vita cominciato con “Singar” nell’aprile 2011. In quell’ep c’erano i primi due episodi di questa trilogia di canzoni, e con “Fluttarn” si chiude la trilogia dei nostri dischi lessini. Questa canzone è stata scritta più o meno sette anni fa, all’epoca della scrittura delle nostre prime canzoni. Il testo è uno stream of consciousness di sensazioni legate provate suonando, ballando godendo della musica, a una festa nei boschi. Una canzone che dopo anni a girare nella testa finalmente è stata liberata su disco, stratificando synth, chitarrone, e cinque parti di canzoni diverse tra loro unite in tre movimenti. Voci femminili che citano Bacharach e Anima Latina e finiscono dicendo che è tutto nella nostra mente.