Con un disco così, Livia Ferri si è già abbastanza messa a nudo: A Path Made by Walking è una confessione a chitarra e cuore aperti, un folk che si fa visceralmente scavare da una voce dura, intensa, sofferta, morbosa.
Ascoltatela.
HYPERBOLE
Uno dei concetti di questo disco è quello che riguarda un percorso interiore. Questo pezzo è il primo della tracklist perché è l’inizio di questo percorso, dal buio alla luce, dalla morbosità alla coscienza e anche perché volevo far capire subito a chi aveva ascoltato Taking Care (il disco di debutto) che questo disco sarebbe stato molto diverso nelle atmosfere, nei suoni e nell’intensità.
Il brano racconta uno dei momenti più autodistruttivi che abbia vissuto. Si svolge un dialogo tra i due poli della mia anima, entrambi potenti. Un dialogo che, in questo pezzo, non si risolve, nessuno vince, nessuno si salva.
THE BOSS
Questa è una canzone che parla di rancore, un rancore ben indirizzato verso una persona che ha fatto parte della mia vita per molti anni. Il malessere generato da questo rapporto e dalle sue dinamiche aveva scatenato una rabbia che all’inizio volgevo solo all’esterno di me, riversando ogni responsabilità su questa persona ma col tempo, cantandola e suonandola, mi sono resa conto che in realtà gran parte del risentimento lo provavo verso me stessa, per aver permesso e contribuito a creare e far perdurare queste dinamiche malsane. Rimane un brano di sfogo e di difesa.
DOTS
Un momento di lucidità in una relazione che sta morendo. Una fotografia amara del momento in cui mi resi conto che, nonostante il sentimento di amore che provavo, non riuscivo e non riuscivamo a far funzionare il nostro rapporto, non riuscivamo a farci del bene, a scardinare o non alimentare dinamiche di sofferenza tra di noi. La musica e la melodia sono dolci, quasi trasognate, per dare valore all’amore provato e all’affetto che ancora mi lega a questa persona, il testo più amaro, rassegnato, quasi arrabbiato in alcuni punti, per riuscire a dire quello che avevo paura di dire a me stessa, a noi.
HERITAGE
Ho cominciato a pensare al concetto di eredità, sia in senso stretto che figurato. Nel 2012 mio padre morì, dopo pochi mesi di malattia e mi ritrovai a fare i conti con una certa eredità. Ho dovuto decidere se rinunciare o meno ad un dono, perché questo è l’eredità, un dono che viene lasciato da chi non c’è più a chi continua a vivere. Rinunciai perché pur risolvendo i miei problemi economici mi avrebbe portato ad essere una persona infelice. Da qui ho allargato il discorso e la visione della cosa ad una scala più ampia, l’eredità che le generazioni precedenti ci lasciano, o potrebbero lasciarci, come questo paese. Un paese ed un’eredità in cui è quasi impossibile riuscire a crescere e ad evolversi.
PATTERNS
A questo brano sono molto affezionata per vari motivi. Uno è sicuramente la collaborazione con un’artista, Mimes of Wine, che stimo molto e che ha ri armonizzato la canzone dandole un’atmosfera che non sarei riuscita a creare da sola e che ha valorizzato molto la melodia che invece è rimasta invariata. Un altro è l’argomento: questa canzone parla di paura, la paura atavica, la paura pura, quella che, credo, ognuno di noi sente dentro. Una paura che sabota la vita, le relazioni, le nostre azioni. La paura che ci incatena e come piombo ai piedi ci tiene sul fondo del lago della nostra esistenza. Paura dalla quale è necessario sfuggire, in qualunque modo, anche facendosi strada a morsi. Quella paura di cui perdiamo traccia e coscienza che, per vivere, giustifichiamo racchiudendola in schemi comportamentali ma che riaffiora, facendoci sentire persi e senza vie di fuga.
HAPPY
Per molto tempo sono stata una persona affezionata al dolore, mi spiego: ho sempre percepito il dolore come qualcosa di necessario attraverso il quale passare per crescere, diventare più forte, evolvermi. Senza dubbio, il dolore può essere anche questo. Ma se ci credi troppo, troppo da non avere fiducia in altre emozioni che possono comunque farti crescere, rischi di affezionarti. E rischi di farlo a tal punto che poi il dolore non può più avere quella funzione. La certezza del dolore è molto rassicurante rispetto ad una felicità incerta, sempre in movimento, perché la felicità cambia, di giorno in giorno, di momento in momento. Cercare la felicità vuol dire ascoltarsi, ascoltare a fondo le proprie emozioni, alla sofferenza basta cominciare ad esistere e potenzialmente potrebbe non cambiare e non lasciarci mai. Ho voluto incastonare la gioia in questo pezzo strumentale, per il quale non ho e forse non avrò mai parole giuste. E, come tutte le gioie, intense, profonde e vere, anche questa è accompagnata da un pizzico di malinconia, che vive in tutto ciò che è unico.
GRATITUDE
Come accennavo parlando del concetto di questo disco, la tracklist ha un senso importante e la concatenazione dei brani ha una sua evoluzione, dal buio alla luce. Dopo ‘Happy’ non poteva che esserci ‘Gratitude’. Questo pezzo parla, in modo esplicito ed evidente sin dal titolo, di gratitudine verso la vita, in tutto ciò che significa. In un momento di grande solitudine e in cui mi sentivo assolutamente persa, senza più alcun punto di riferimento, ho cominciato a percepire l’opportunità dietro a questa sofferenza. L’opportunità di cambiare e scegliere con profonda coscienza quale bocca sfamare, se quella del dolore (vedi sopra!) o quella della responsabilità della mia anima e della mia salute interiore. In questa canzone ci sono tantissime cose che raccontano questa scelta, un amore finito, uno nuovo che comincia, la forza creatrice della natura e tutto quello che c’è in mezzo. In questo brano la mia amica Armaud ha regalato il suo fiato soffiato in una tromba.
LOVE
Sarà un pensiero new age, ma la legge dell’attrazione funziona. Lo diceva anche Einstein. Quindi, dopo la gratitudine, l’universo non può che ricambiare, regalando amore. L’Amore. Grandissimo, infinito, senza tempo e senza spazio, che ti travolge e ti avvolge e cura. Anche qui, non ho parole per descriverlo… mi resta la musica, ‘misteriosa forma del tempo’.
HOUND DOG
Siamo animali, solo animali, ma negli ultimi secoli la definizione di ‘essere umano’ ha preso un significato che si allontana molto da quello che in realtà descrive, cioè una semplice distinzione e denominazione di specie, proprio come ‘cane’ o ‘gatto’. Abbiamo cominciato ad intenderla e usarla come qualcosa che descriva una superiorità, morale e intellettiva, rispetto a tutto il resto della natura.
Abbiamo cominciato a fare la stessa cosa con il significato di ‘razionalità’, che d’un tratto diventa superiore ad ogni altra caratteristica che ci compone. Diamo la massima importanza al senso della vista, che regola in maniera prepotente la nostra quotidianità, immancabilmente. Ci dimentichiamo che la verità e la salute sono nell’equilibrio tra emotività/istinto e razionalità. Ci dimentichiamo che non basta vedere o non vedere una cosa perché possa essere detta reale o meno. Ci dimentichiamo che le nostre sono solo percezioni. Siamo sicuri che tutto quello che non vediamo non esista. Siamo sicuri che tutto quello che non possiamo riprodurre scientificamente non possa essere reale. Eppure siamo qui, anche se la creazione del mondo e dell’uomo non sono eventi riproducibili.
Le nostre emozioni le comunichiamo anche solo stando vicini gli uni con gli altri, trasversalmente, agli altri animali, alle altre specie, agli altri regni naturali. Ho scritto questa canzone per ricordarmi tutto questo. Per percepire con umiltà il mio essere umana.
A GOOD DAY TO DIE
Nella mia percezione la vita è un alternarsi di cicli positivi e negativi. Ogni volta che vivo un ciclo positivo penso sempre di aver imparato tutto e che nulla potrà più ferirmi. E ogni volta che il ciclo negativo ricomincia mi ritrovo immancabilmente col culo per terra, nel panico e nella tristezza più assoluta, pensando che non cambierò mai, che non imparerò mai, che non capirò mai niente. Questo brano rappresenta la fine di un ciclo, raccontato nelle canzoni precedenti attraverso tutto l’album, un ciclo che è iniziato con la fine del precedente ciclo negativo e finisce con l’inizio del nuovo negativo. Ma in maniera diversa. Perché in tutti i cicli imparo qualcosa, la conservo, custodisco nuovi strumenti che poi mi serviranno a vivere. L’importante è non dimenticarli, questi strumenti. Non dimenticare il cammino. Anche questo brano è un memorandum, quindi, che mi ricorda chi sono e dove voglio andare. Non importa come finirò, l’importante è che quando il momento arriverà io possa sentirmi intera e vera, onesta con me stessa. E allora anche quello potrà essere un bel giorno per morire.
In questo brano Jack Jaselli mi ha regalato la sua voce.