[column size=”2/3″ center=”yes”]Come si fa ad ammettere la mancanza di Frank Ocean, ancora, dopo 3 anni. Dopo che pare essersi preso gioco di noi per almeno gli ultimi 12 mesi. Che significa pensare a lui come uno dei personaggi di questo 2015, musicalmente parlando?
Diverse cose.
Negli ultimi mesi non è passata settimana senza che su Reddit qualcuno millantasse di aver leakato le basi del nuovo disco di FO, di averne ascoltato uno snippet, di avere i primi 3 secondi dell’intro, di quel Boys Don’t Cry che abbiamo supposto avesse questo nome. Simbolico, anziché no. Frank è diventato il nostro paladino personale nella lotta all’apertura del rap verso l’accettazione degli altri. Strano, che qualcosa nato per raccontare la riscossa dei più deboli debba essersi servito di un gracile musicista di Long Beach, con la voce calda e un viso incantevole, per trasportare in musica uno dei temi preponderanti del dibattito sociale del 2015. Che sia poi il 2015 l’anno del dibattito dei diritti LGBT è ancora più strano, più triste. Ma questa è un’altra storia.
In Channel Orange pare che Frank Ocean abbia apertamente dichiarato la sua omosessualità, o bisessualità che sia. È stato un passo molto importante, meraviglioso, che c’ha permesso di guardare e ascoltare la musica da una diversa prospettiva. E non ha cambiato solo noi, ma perfino la televisione. In Empire, serie tv che parla dell’ascesa di Lucius Lyon (una sorta di alter ego di Jay – Z) il figlio Jamal sembra essere la reincarnazione di FO. È gay, ha una voce bellissima, e vuole vendicarsi sul padre. Alla fine lo fa, cantando proprio del suo orientamento sessuale. Non sappiamo se quella di FO sia stata una rivincita, e non sappiamo neanche se quello che ha fatto l’abbia poi portato ad allontanarsi dalla Odd Future. Non importa poi più di tanto, perché Channel Orange era anche, e soprattutto altro. Era un album perfetto, dall’inizio alla fine. Aveva singoli, aveva unità ma sapeva essere vario, non monotono. Dovremmo benedire ogni giorno Frank Ocean per Forrest Gump, e per Bad Religion, per Sweet Life.
E invece abbiamo cominciato a piangerlo, tutti, indistintamente. Abbiamo pensato che Frank Ocean c’avesse tradito. Personalmente, quando ascolto Thinkin bout you non penso più alla mia ragazza, ma al nuovo disco di Frank Ocean. “Southern California, much like Arizona” è diventato per me una specie di mantra, nonostante non abbia la più pallida idea di cosa voglia dire. È come se avesse previsto tutto lui, FO, previsto pure che stessimo qui a pensare a lui, e “you (che in questo caso è him) know, know, know”.
Il nuovo-album-di-Frank-Ocean ha generato una tale isteria collettiva che pure il Guardian ha cominciato a parlarne. Era il 6 agosto, solo 5 giorni dopo la data inizialmente annunciata. O presunta tale. Luke Morgan Britton che firmava l’articolo sottolineava come Frank Ocean avesse dichiarato d’aver pronto il disco da un anno oramai, e l’idea che s’era fatto lui era che il ritardo fosse dovuto all’esasperato clima mediatico che stava vivendo. Io invece un’idea non me l’ero e non me la sono fatta, ma a volte ho avuto quasi paura d’abbandonare il Mac per paura che il nuovo-album-di-Frank-Ocean potesse uscire. È stato strano notare come il dibattito che si è scatenato attorno al disco non si sia neanche per un momento focalizzato su come sarebbe potuto essere. Sarà bello, di certo. Sarà bello come nessuna altra cosa che uscirà quell’anno.
Eppure da quella foto con la maglietta nera, il jeans dal lavaggio classico e le TN squalo arancioni ne sono successe di cose, tutte molto belle, nell’universo musicale di cui lui stesso fa in un certo senso parte. The Weeknd ha continuato a cantare delle sue scopate e di quanto si drogi, spogliandosi però dai suoni dei primi tre mixtape (e scatenando una sorte di Sindrome-Neffa nei suoi fan più fedeli) e rivestendosi di patina mainstream. Con risultati pregevoli. Drake si è affermato come uomo dell’anno, in tutte le salse e in tutti i suoi modi di essere. Anche lui ha giocato a nascondino col nuovo disco, ma almeno ha sacrificato all’altare dello streaming qualcosa. Kendrick pure lui ha cambiato la società e la musica, come aveva fatto FO tre anni prima, da un’altra prospettiva.
Provate però a pensarci, a se avremmo avuto così tanto bisogno di loro se Frank Ocean avesse rilasciato un album all’anno, o anche uno solo, oggi. Per far del rap un affare da bravi ragazzi non ci sarebbe stato bisogno di Drake o di J Cole, per rendere orecchiabile una traccia de 50 sfumature di grigio avremmo potuto chiamare evitare di chiamare in causa The Weeknd. Potete poi aggiungere al rammarico il rifiuto all’ultimo istante di Charlie Humman per la parte di Mr. Grey, semmai vi interessasse il prodotto. Forse significa questo l’assenza di Frank Ocean. Forse nella carica emotiva di cui abbiamo rivestito il suo ritorno, Frank era di nuovo un passo avanti a tutti e c’ha chiesto di fermarci ad ammirare quanto di buono stava succedendo in sua assenza. Forse Frank Ocean è davvero il nuovo messia della musica nera. Quest’ultima parte non è ovviamente vera, è solo l’ideale romantico di chi vuole trovare del buono in tutto, nonostante tutto.
Magari invece forse Frank Ocean è stato un magnifico exploit, una indelebile macchia bianca, che poi ha finito la creatività. È rimasto a secco FO? E se sì, è colpa nostra? Avremmo potuto bruciare la cosa più bella che ci fosse mai successa.
Ma ci spero ancora, magari domani esce il nuovo-disco-di-Frank-Ocean.
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