[column size=”2/3″ center=”yes”]Difficile fare i conti con la propria eredità storica, soprattutto per un Paese come il Sudafrica, nazione che risente tuttora, a vent’anni dalla transizione democratica, degli strascichi di cinquant’anni di segregazione istituzionalizzata. “The Group Areas Act [1950] still echoes today in the form of gentrification. Removing bodies from public space has become more psychological than physical”, ha confidato sulle colonne di The Fader ANGEL-HO, producer di Città del Capo e co-fondatore – insieme a Chino Amobi e Nkisi – del collettivo NON, realtà deterritorializzata che accoglie artisti africani e afrodiasporici con l’intento di sovvertire il concetto di dominanza.
Tuttavia, già negli anni Novanta si era palesata l’esigenza di tradurre in musica aspirazioni libertarie e progressiste. L’afterparty dell’apertheid – citando il sottotitolo del docufilm The Future Sound of Mzansi – è stato innanzitutto insonorizzato dal kwaito, liaison tra l’house internazionale e la cultura musicale indigena, che da genere è assurto velocemente a voce di un’intera comunità. Vent’anni più tardi, il panorama elettronico sudafricano risulta estremamente eterogeneo, così come il tessuto sociale da cui sorge. Un’ecosistema fatto di Durban qgom, Shangaan electro, Pretoria bacardi, Nelspruit house, in rapida espansione grazie al mondo accelerato della rete, medium che ha permesso a questi movimenti musicali di svilupparsi talvolta anche al di fuori dei confini nazionali, acquisendo una risonanza internazionale. È il caso, per esempio, di Nozinja, padrino della Shangaan electro che abbiamo incrociato lo scorso ottobre a tutt’altre coordinate geografiche, in occasione della sua caotica e colorata esibizione all’Unsound. Un esempio di afrofuturismo importato prima da Honest Jon’s (Shangaan Electro: New Wave Dance Music From South Africa), poi da Warp, gigante dell’elettronica non nuovo ad incursioni in Sudafrica (ricordiamo, a tal proposito, DJ Mujava). Un territorio quindi particolarmente caro ai britannici e a cui sono devote personalità del calibro di Kode9, qualche anno fa intento a diffondere il verbo kwaito tramite tre londinesi dal cuore nero, gli LV, ed oggi attratto da un genere relativamente nuovo ma già sotto le luci della ribalta, la gqom.
Sviluppatasi tra le township di Durban, la seconda città per abitanti del Sudafrica, la gqom taglia in mezzo all’alchimia kwaito e alla bacardi house di DJ Spoko e Mujava, risultando allo stesso tempo comunque unica. A colpire è la sua scioltezza, dovuta alla mancanza di bassline, e la sua drammaticità, dettata da un lento ed inquieto synth drone. Il tutto accompagnato, in ritornelli ripetuti allo sfinimento, da campioni vocali e da una componente ritmica fortemente sincopata, fatta di kicks nerboruti e percussioni assortite. Una macchina da dancefloor che qualcuno ha accostato al grime, paragone apparentemente non così azzardato, ma smentito dai suoi fautori: “Honestly speaking, most Durban producers don’t know grime. I didn’t know grime until two months ago I think.” (via FACT)[/column]
gqom iz da sound u get wen u drop a rock on tiles
[column size=”2/3″ center=”yes”]A fare da amplificatore di questa scena è stato ancora una volta internet, attraverso la piattaforma di streaming e download Kasimp3 (kasi nello slang locale significa township), quartier generale/musicale senza il quale la gqom non avrebbe avuto modo di svilupparsi nella forma di cui siamo a conoscenza – o almeno, non così velocemente. Il servizio è molto semplice: un feed à la Twitter mostra i brani in ordine di numero di download, da chiunque riproducibili e scaricabili. Un mezzo che ha portando la gqom dai club della città costiera nelle tasche di una pletora di giovani locali. E non solo, diversi europei hanno attinto a piene mani in questo mare magnum di upload. Tra questi, il producer grime Moleskin, il quale ha accolto sotto le proprie egida – quelle di Goon Club Allstars – Rudeboys, e il DJ romano Nan Kolè, fondatore della Gqom Oh! [/column]
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[column size=”2/3″ center=”yes”]Kolè ha scoperto questa scena solo lo scorso gennaio, rimanendoci ammaliato seduta stante per l’energia e l’implicito sentimento di rabbia che si cela dietro alla sua tensione tra oscurità e euforia, tra tribale e urbano. Trascorsa una nottata intera su Kasimp3 a scaricare centinaia di brani – di cui poi ha identificato, con l’aiuto un’amica di Soweto, gli autori – Kolè ha istituito una comunità virtuale di cui si è ammantato del ruolo di apostolo. Compito che sta ottemperando tramite la pubblicazione di release – la prima licenziata quest’estate sotto forma di EP, la seconda in uscita a breve. Unico requisito per comparirvi: eliminare le tracce presenti sull’unico mezzo di promozione locale, Kasimp3. Un compromesso tuttavia ragionevole, soprattutto per chi vede nell’Europa, oltre che una seconda dimora, il riscatto di fronte alla diffusa reticenza di chi vive nel loro stesso territorio.
La gqom, così come la ricetta afroportoghese della Príncipe, ha quindi rappresentato un’impollinazione incrociata, leitmotiv del 2015 vissuto sul dancefloor. Un luogo in cui la gqom ha intenzione di impiantarsi, così testimoniato dall’inizio di quest’anno, che vede in programma uno showcase presieduto da DJ Lakhe e dallo stesso Kolè durante il closing party del prossimo CTM e la pubblicazione della seconda di Gqom Oh! di cui sopra. Una compilation di 12 tracce che ha l’intento di sviscerare la gqom in tutta la sua energia, e la cui uscita è prevista per il 29 gennaio. Tuttavia, nell’attesa Kolè ha scelto 5 brani con cui svezzare i profani. Noi ve li proponiamo di seguito, unico avvertimento: non dimenticate di imparare a pronunciare correttamente gqom (“Pronounced a bit like the French ‘gomme’ but the q is a post-alveolar click.”), e magari anche qualche mossa per ballarla.[/column]
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