Non mi dilungherò in canoniche presentazioni: vi basti questa piacevolissima chiacchierata per conoscerle meglio.
Una cosa però la voglio dire, anzi due.
La prima è che mi sono messa anch’io a piedi nudi sull’erba, ho sentito quell’odore rustico di glockenspiel, su un terriccio di theremin e ho ascoltato tutto come se mi stessero raccontando una favola mai sentita prima.
L’altra è che le Vale & the Varlet hanno voluto farvi un regalo, lasciandovi ascoltare il brano “Alejandro”.
Vi definiscono un’orchestra portatile e, in effetti, io vi immagino sui palchi come in una casetta di Polly Pocket. Nell’angolo giardino, a piedi scalzi.
Abbiamo iniziato in due ed anche se ci solleticava da matti, abbiamo respinto con tutte, tuttissime, le nostre forze l’idea di allargare il gruppo. E’ molto divertente pensare di doversi arrangiare da sole creando e sovrapponendo tutti i vari layer che compongono i pezzi, farli crescere, mettere le mani dappertutto facendo due o tre cose contemporaneamente, lasciando anche spazio alla casualità, allo sbaglio, alla stonatura. È bello provare, impiastricciarsi le mani di suoni, anche se non perfetti e cristallini, è bello scoprire cose nuove dagli errori. Del resto anche il panettone era uno sbaglio, no?
Quattro mani, due voci e filastrocche giocose. Come avviene l’interazione musicale, compositiva tra “le Varlets”?
Sembra una frase fatta ma è realmente nato tutto per gioco in una cameretta. Non abbiamo pianificato né adottato un metodo. Ci siamo conosciute ad un seminario bizzarro, è scoppiato l’amore (musicale) e abbiamo deciso di condividere ciò che avevamo iniziato a creare da single. Abbiamo aperto i nostri scrigni segreti ed abbiamo condiviso il contenuto. Io (Tina) avevo scritto alcune canzoni piano e voce a cui Valeria si è talmente appassionata che ha iniziato spontaneamente a rifinire creando tappeti sonori incredibili e interventi che a me piacevano da matti. Mi faceva sentire le cose e dentro di me dicevo in continuazione, Wow, ma è fantastico! In quei giorni abbiamo capito che stava iniziando qualcosa di importante, che fluiva da solo, senza forzature. Durante i pomeriggi passati insieme passavamo parecchio tempo ad improvvisare, e la cosa incredibile è che da ogni improvvisazione nascevano idee e brani nuovi! Abbiamo poi scremato ciò che di meglio veniva fuori, da interminabili registrazioni, scrivendo i testi al momento, sulle mani, sul tavolo di Valeria. Ho ancora il testo di un brano inedito scritto su un cartone della pizza che fa volume dentro la mia borsa ma non lo tolgo di lì finché non lo incidiamo. Una sorta di pesante promemoria.
Se Believer fosse una favola, quale sarebbe?
Vediamo questo disco come un’innesto fra più favole, che mischiandosi assieme ne creano una nuova. Una specie di Dumbocchio o Biancarentola. C’è Alice che passeggia in cerca della strada scivolando dentro diverse dimensioni in Slight Story, c’è la principessa sul pisello che non riesce a dormire in BoBe, e c’è anche Dumbo ubriaco in Sunday Morning…
Raccontatemi dei vostri rispettivi background musicali.
Valentina: Io non provengo dalla musica ma ne ho sempre ascoltata molta. Il picco di dipendenza l’ho avuto all’università. Ero così drogata che andavo in aula di informatica e mi masterizzavo decine di cd facendo finta di costruire lavandini in Autocad. Da piccola ho studiato flauto traverso in un magnifico convento di suore a Bagnoregio, ma non mi sono mai appassionata al suonarla come da grande, così qualche giorno dopo la laurea in design mi sono iscritta al corso di pianoforte alla scuola di musica di Faenza. Lo desideravo da molto tempo. A scuola di musica nei momenti di studio creavo melodie inventate con quel che avevo imparato alla lezione precedente. Volevo divertirmi con poco, creare con quel che sapevo fare, dare luce a cose semplici, favorire il silenzio al pieno di note. È un concetto che mi affascina, che mi ha spinto ad andare avanti nella composizione dei pezzi dell’album e in cui credo tutt’ora.
Valeria: Io provengo dalla musica classica, anche se mi fa un po’ strano dirlo! Fatto sta che a 4 anni avevo già in mano il mio primo violino. Ma le mie grandi passioni sono sempre rimbalzate al di fuori di questo mondo…dal rock, al glam, alla canzone d’autore italiana. Suonicchiavo il piano e la chitarra elettrica. Dopo il diploma in Conservatorio, a 18 anni, ho scoperto il magico mondo degli effetti, ho comprato un theremin (che desideravo già da tanti anni!), ho iniziato a comporre. Poi sono approdata all’elettronica Lo-Fi, anche grazie a Vincenzo Vasi, che mi ha trascinato in questo tunnel senza ritorno e con il quale adesso condivido il progetto OoopopoiooO. Contemporaneamente mi sono avvicinata alla musica improvvisata. L’improvvisazione radicale, quella bella, imprevedibile ma con un suo linguaggio ben articolato, che ti libera da ogni energia e ti fa andare in trance. Tra l’altro, proprio al primo laboratorio che ho seguito, condotto da un improvvisatore per eccellenza, Fabrizio Puglisi, ho conosciuto la Valentona.
Ci sono alcuni brani molto evocativi: c’è un video in cantina? Io ne farei tipo tre o anche quattro in cui si sente l’odore della campagna, si scende in botole segrete e si incontrano strani personaggi… Una specie di Alice in Wonderland, ma più agreste.
Più di uno, hai indovinato! Il video live è quasi pronto, è stato girato allo Studio Spaziale e stiamo terminando noi la postproduzione. Al videoclip stiamo lavorando da qualche settimana con l’aiuto di un nostro caro amico “polistrumentista” del cinema e di sicuro le stranezze non mancheranno. Per ora bocche cucite, è tutto topsecret.
E il live come vi vedrà?
Valentina: Saremo noi due, assieme ad un grande tavolo sopra il quale disporremo tutte le nostre diavolerie da pigiare e percuotere. Io mi dimenerò come una pazza…
Valeria: …e io tenterò di convincere la folla che va tutto bene.
Presentiamo “Alejandro” agli amici di Shaq.
Alejandro è piombata giù come una gigantesca pannocchia dal soffitto, durante una cena assieme ad altre dodici persone, in Olanda, in una comunità di designers dove ho fatto tirocinio. C’era un ragazzo spagnolo bellissimo seduto a tavola, e mentre lo guardavo mi è venuta in mente questa storia tragicomica, di possesso, gelosia, intrisa di passione, con lui come protagonista. Alla fine della cena ho pensato, porca paletta e se me la dimentico? C’era un pianoforte nella sala da pranzo e per alcune settimane mi svegliavo alle sei, molto correvo in bici fino alla comunità e prima di attaccare al lavoro ci davo come una pazza suonando e cantando per piantarmela bene in testa. È una storia inventata di vere passioni, che porta il reale nome del protagonista.