Anche con gli Omosumo il Disco Raccontato fu un esperimento particolare.
Si trattò più che altro di un racconto, insabbiato dalle dune di Zagora, ma percorso da una certa continuità (seppur minata dal vento dell’Africa e da certi rottami rinvenuti qua e là nel deserto).
Orfani per desiderio, al contrario, non lo leggi e non lo ascolti in una soluzione unica. È frammentario, già nella forma.
Questo, ad esempio, è il volume n.1: tre brani, synth e cemento, elettro-pop e macerie.
Qui sotto, streaming e prima parte della trilogia di Angelo Sicurella.
1. Orfani per desiderio
È un brano che nasce dopo mesi di riflessione sulla possibilità di affrancamento da quello che artisticamente ti è dentro perché ci sei cresciuto. Nasce così come concetto, così come musica. La necessità di portare tutto all’osso. È una storia d’amore che brulica nell’orfanità anche nel testo.
Le prime tracce, che preludono al testo, alla musica e al concetto tutto dell’essere orfani per desiderio, hanno una preistoria in queste parole, che ho scritto una notte, un paio di anni fa:
Io
cinto tra le mura delle incombenze
disidratato dal desiderio
sono in Cristo figlio dell’agonia
figlio del terremoto di un utero in contrazione
espulso
figlio dell’educazione alla rinuncia
dell’aspirazione alla morte come dimostrazione della mancanza
io
sono nato in una scatola
venduto all’insaputa di mia madre
siccome il grembo della Vergine Maria
Questo è il preludio. Orfani per desiderio.
2. Bruciano
È un brano che prende forma in un quartiere di Palermo, la Vucciria, dove abitavo. Tutto intorno a me erano palazzi della seconda guerra mondiale ridotti in macerie, così come sono adesso.
La palazzina adiacente alla mia infatti cadde anch’essa per stanchezza. Così ora abito in campagna accanto a un cavallo. In quel periodo “bruciano” con questo suo synth pulsante rappresentò per me il racconto delle macerie, l’eco di tutto ciò che stava cambiando verso la crisi politica ed economica che stiamo vivendo, mentre cinghiali esplodono ai piedi dei grattacieli e le bombe rosicano i piedi dei politici industriali e le borse crollano come cattedrali di una religione ormai in disuso.
3. Lingua sul cemento
È un divertissement. Un gioco che si sviluppato in studio. Avevo portato delle bozze di testo e musica, delle ritmiche in delle drum machine e delle tracce di synth. Poi ci siamo messi a giocare, a scomporre, ad accoppiare, a spegnere e accendere. Abbiamo aggiunto tracce su tracce come dei bambini in gita, campionando sinanche il suono delle scarpe sul pavimento. Poi Fabio Rizzo ha scordato la chitarra che a quel punto suonava come uno strumento primitivo e ha suonato un riff blues che masticava tabacco da sputo dell’America degli anni ’30 e poco dopo ho rifatto le voci, con una intenzione diversa. Come se masticassi anche le parole del testo, esaltando di più l’uso della voce come strumento.
E così venne fuori il brano.