Non è tanto il fatto che perdi la memoria. È che ci perdi proprio la testa.
Perché è tutto un succedersi di tracce che ipnotizzano, di contaminazioni sporche ma perfettamente giuste. Nell’esordio degli After Crash – #Lostmemories – a consumarsi non è solo il gps cerebrale ma anche una serie di connessioni sinuose: l’elettronica sofisticata, il dream pop, le reminiscenze anni novanta, il cinema.
Tutto sta lì a dirti: non perderti nulla, non perderti per nulla.
Intanto prova a tenere la testa ferma, mentre fai partire tutto. Qui sotto c’è lo streaming, più giù il racconto traccia per traccia.
We leave
“We Leave” è stata fra le ultime canzoni scritte per il disco. L’idea iniziale di armonia e melodia è partita da Cesco che stava lavorando ad altro, ma che ha deciso di escluderlo dal progetto per il quale venne inizialmente proposto e riarrangiarlo con Nicola. Fin dall’inizio, appena il pezzo iniziava a prendere forma, ci è sembrata una opening track perfetta per via di quella sua intro che aprendosi in maniera eterea e dilatata cresce sempre di più fino a esploderti in faccia, rendendo fin da subito chiaro (se non interamente almeno in parte) dove questo disco vuole andare a parare, e sottolineando già dal primo momento le cose che lo differenziano dai nostri precedenti lavori.
Una caratteristica che riteniamo importante per il pezzo è il fatto di aver giocato costantemente, per tutta la durata del brano con le dinamiche: si oscilla fra punti di pianissimo, per arrivare a picchi di fortissimo, il tutto facendo avanti e indietro, su e giù. Il pezzo si esprime in tutta la sua carica emotiva anche e soprattutto per via di questo espediente che abbiamo scelto di utilizzare.
La scrittura del brano inoltre coincide con un particolare momento delle nostre vite dove ci siamo trovati davanti ad un bivio (chi per un motivo, chi per un altro) e l’idea del giocare sulla duplice valenza del termine “leave” che in inglese vuol dire sia “lasciare” che “partire”, ci è sembrata molto azzeccata per il mood che cercavamo di esprimere col pezzo. Una via di mezzo fra l’eccitazione per una nuova partenza / un nuovo inizio, quello di quando non sai a cosa vai incontro, che si contrappone al rammarico di veder finire qualcosa di cui si conosce già tutto.
Texture
Il brano nasceva inizialmente come episodio puramente post-rock, e infatti questo era il mood del primissimo provino in studio. Pur avendo fondamentalmente conservato questa sua anima, nell’ultimo anno di produzione del disco, abbiamo cercato un modo per renderla più coerente col resto del disco. Per quanto ci suonasse già bene infatti, sentivamo che non si legava troppo al resto del nostro lavoro, proprio perché esclusivamente di matrice rock, con un certo tipo di suono che appariva troppo settoriale in mezzo ad un disco sicuramente più variegato e ibrido. Siamo quindi intervenuti sulla parte elettronica per impreziosire il pezzo. Oltre agli immancabili suoni glitch a cui tanto siamo affezionati, abbiamo anche sperimentato – su una sezione del pezzo – mettendo una cassa dritta su di un tempo dispari. Il pezzo infatti è in 5/8 ma il fatto di farlo appoggiare su una cassa dritta che conta 4, è un espediente che ci è sembrato originale e soprattutto che funzionasse bene con il resto del brano andando ad aggiungere un po’ più di personalità al brano esclusivamente post rock che invece era all’inizio.
Il suono del pezzo è molto d’impatto ed è probabilmente uno degli episodi più “cattivi” di tutto il disco.
Don’t Change For Me
Questo è il primissimo brano che abbiamo scritto per il disco, ovvero autunno 2013. All’epoca nemmeno avevamo idea di iniziare a scrivere un disco. Abbiamo semplicemente buttato giù le idee partendo da un giro di accordi di Nicola. L’elemento caratteristico del pezzo è la linea melodica: abbiamo in questo caso usato la voce di una nostra conoscente (già voce in MAMbo e bopoRA) ma in modalità estremamente inedita e nuova per noi. Ci siamo trovati a scrivere sulla progressione armonica una melodia. Per ricreare la melodia che avevamo scritto, invece che scrivere un testo e chiedere a qualcuno di cantare quel testo sulla nostra melodia, l’abbiamo ricreata , a mo’ di puzzle, andando a pescare tante sillabe diverse di voce, gorgheggi, vocalizzi e frammenti di un’altra registrazione di voce. L’unica regola che abbiamo seguito è stata appunto quella di fare in modo che tutti i frammenti che andavamo a pescare venissero “piegati” alle regole della nostra melodia. L’effetto finale per quanto strampalato, ci piacque molto, perché lo trovammo estremamente particolare e d’impatto. Inizialmente proprio per questo motivo, il pezzo si chiamava “Okun”, ovvero sinonimo di “nonsense” in inglese, il titolo definitivo invece è per una persona che nonostante tutto apprezzerà.
Da un punto di vista stilistico, questo è il pezzo più armonicamente complesso perché gira attorno a 3 tonalità diverse, e quindi modula svariate volte. La struttura segue i classici canoni pop di forma-canzone e mantiene per tutta la sua durata un’estetica elegante, quasi raffinata (frutto di accortezze in fase di pre produzione, produzione e post produzione) anche sul finale dove il pezzo si apre di più. Per creare quella particolare “pasta sonora” che caratterizza il finale, abbiamo fatto ricorso ad alcuni espedienti tecnici. Fra questi una leggera saturazione su ogni singolo elemento in azione nel pezzo, una chitarra distorta suonata con archetto da violino e una take di batteria suonata in una stanza più ampia rispetto alla batteria che si sente fino a quel punto per tutto il pezzo, per avere più riverbero naturale su di essa e quindi un suono più grosso e che avesse un carattere più scuro e imponente per via della grandezza dello spazio in cui il suono veniva emesso.
Leica
Il titolo prende spunto dal fatto che iniziammo a produrre questo brano per lo spot della macchina fotografica Leica che ci venne commissionato nel novembre del 2014. Il pezzo si basa su un vecchio giro al piano di Cesco risalente più o meno al 2009 che venne tenuto nel cassetto per anni, se non che, per l’occasione l’abbiamo ripescato. È andata a finire che per lo spot ci è stato bocciato perché non era piaciuto a chi ce l’aveva commissionato, ma avendoci iniziato a spenderci sopra un po’ di tempo, come alla fine succede quasi sempre, ci siamo affezionati al brano e abbiamo deciso di portarlo avanti. Il pezzo gira interamente attorno a una semplice progressione armonica di 3 accordi, sul quale ci abbiamo ricamato sopra un pezzo che si rifà molto al mondo r&b, specialmente per il fondamentale supporto di testo, melodia e voce da parte di Mark Borgazzi, cantante italo americano conosciuto a Londra che ha deciso di prestarsi per collaborare con noi a questo pezzo. Inizialmente la batteria non era prevista nell’arrangiamento, ma una volta in studio abbiamo provato a suonarci sopra senza avere nulla di scritto, e abbiamo tenuto la prima take perché ci sembrava la più spontanea.
Questo brano vanta inoltre un’altra preziosa collaborazione: ovvero quella di Nina Danon, che si è prestata come pianista nonché come orchestratrice e arrangiatrice per quartetto di archi. Il prezioso intervento del quartetto infatti è farina del suo sacco. Abbiamo voluto avere un episodio di archi nel disco perché siamo entrambi molto appassionati a questo tipo di sonorità e Leica ci sembrava il pezzo ideale per provare a sperimentare in tal senso.
Il brano, anche se in maniera velata, è legato ad un aneddoto riguardante il bisnonno di Nicola il quale era un cosiddetto “ragazzo del ’99” e durante la prima guerra mondiale fu ferito e mandato in convalescenza ad Ischia. 70 anni dopo quando i genitori di Nicola si erano appena sposati decisero di trascorrere una settimana di vacanza nell’isola. Quando lo comunicarono al resto della famiglia, il bisnonno insistette per andare con loro poiché voleva rivedere quel famoso ospedale che lo aveva accudito durante la Grande Guerra. I genitori di Nicola decisero di portarselo dietro, e alla fine il nonno riuscì a tornarci. Morì due settimane dopo dal rientro da Ischia, nel 1987. Mark ha così scritto un testo che si rifà agli scenari della Grande Guerra, ispirato da questa storia.
Overrated
Questo brano inizialmente nasceva come frammento finale di Leica. Doveva esserne la coda frenetica e furiosa. Lavorandoci sopra però, notavamo che stava iniziando a prendere una sua forma, una sua identità, e quindi pur essendo attaccato a Leica (se le si ascoltano di fila non ci sono silenzi o pause in mezzo), e condividendone bpm, progressione armonica, tonalità e alcuni elementi, questa canzone brilla di luce propria. È uno dei due episodi prettamente più “club” del disco, dove la struttura forma canzone cede il posto alla forma da pezzo ballabile, dove tutto ruota attorno ad un semplice loop armonico, al quale si vanno aggiungere e togliere in maniera progressiva diversi elementi. Il pezzo è di ispirazione Footwork e Juke per quel che concerne la ritmica e la scelta degli elementi percussivi, ma subito si discosta da quel mondo per via della presenza di atmosfere più ampie, synth eterei, e progressioni sia armoniche che melodiche più tipiche del nostro stile.
Timeless Room
Il brano in questione è la rivisitazione in chiave After Crash di un brano precedentemente già scritto da Nicola sotto il moniker di Everlasting Joy. Ci siamo trovati per le mani un lavoro di composizione per musica da pubblicità (commissionato dal centro Epson per il progetto Aquae Expo Venice 2015) e andando a spulciare fra le nostre cose più vecchie, questo ci sembrava il più consono al tipo di lavoro che ci era stato chiesto. Un po’ per adattarlo alle immagini, un po’ perché ci abbiamo rimesso le mani tutti e 2 e quindi non era più una versione interamente alla Everlasting Joy, il brano dopo tanti anni, ha visto nuova luce ed è stato riarrangiato e riprodotto. Una volta finito il lavoro, decidemmo che il pezzo rientrava perfettamente nel mood del disco che ci stavamo ritrovando a scrivere parallelamente a questo lavoro nello stesso periodo, e così decidemmo di rivisitarlo ulteriormente e renderlo un brano per #LOSTMEMORIES a tutti gli effetti. Piccola curiosità: “Timeless Room” è l’anagramma di “Lost Memories”.
Organic Summer
Questo brano è stato suonato dal vivo e presentato la prima volta all’ edizione del roBOt a cui abbiamo avuto la grande fortuna di poter partecipare. Era diciamo fra tutti, l’unico brano contenuto nel disco che chi ci segue da un po’ aveva già avuto l’occasione di ascoltare. Il pezzo si basa molto sul ritmo, e il suo andamento è scandito in gran parte da molte parti diverse di percussioni (elettroniche, acustiche, campionate, ri-campionate) e grande importanza è stata dedicata ai singoli suoni di questi ultimi, e degli ambienti in cui venivano suonati. A livello strutturale, la canzone è rimasta praticamente la stessa rispetto alla versione presentata dal vivo, salvo qualche accortezza di produzione ulteriore e l’inserimento del dialogo di Robin Williams tratto dal film “The Fisher King” che è stato scelto per sottolineare maggiormente l’atmosfera già vagamente onirica del pezzo. Nei ritornelli è presente anche un synth che Sollo si è prestato a suonare per l’occasione, abbandonando per un attimo il ruolo di fonico dell’intero disco.
Delplace
Questo brano prende il nome dal protagonista di un cortometraggio per il quale avevamo scritto la musica. Il corto in questione è “Facciamocela Raccontare” di Edoardo Delia, e una prima versione di questa musica era proprio stata composta come tema per questo specifico personaggio (di solito ogni personaggio principale ha il suo tema, che viene riproposto in salse diverse a seconda del mood della scena). Questa composizione ruota attorno ad un atmosfera rarefatta e minimalista dove sono pochi gli elementi ad essere protagonisti. Noi abbiamo molto spesso la tendenza a complicare le cose, stratificare, qui invece, sfidando un po’ anche noi stessi, ci siamo preposti l’obbiettivo di provare a scrivere una cosa diretta e funzionale, con pochi elementi. Il risultato è stato condensato in un giro 2 accordi di chitarra che vengono looppati, un piano wurlitzer, un beat glitch che si rifà ad un certo tipo di ascolti a cui siamo molto affezionati e tanta minuzia su alcuni particolari ambientali e di effettistica. All’inizio del brano c’è un monologo di Steiner preso da “La dolce vita” di Fellini che a nostro avviso si sposava in maniera impeccabile con l’atmosfera del brano e con l’idea che volevamo dare di esso.
Transports
Così come con Overrated nei confronti di Leica, anche nel caso di Transports ci siamo trovati a vivere una situazione analoga. Transports infatti nasce inizialmente come seconda parte del brano Timeless Room. Ci eravamo per l’appunto immaginati un finale estremamente pulsante e “dritto” dopo l’atmosfera frastagliata, giocosa e irregolare di Timeless Room. Il pezzo ha iniziato a funzionare e ci siamo molto appassionati. A tal punto che ci sembrava quasi uno spreco che diventasse l’episodio B di un altro pezzo. Poi come spesso ci capita, più lavoriamo su una cosa partendo da un posto ben definito, e più lontano andiamo a finire. Il risultato: Transports diventa una vera e propria traccia ballabile (secondo e ultimo episodio “club” del disco) dove abbiamo riversato elementi di diversa matrice ai quali siamo però legati in maniera uguale: le atmosfere dilatate ed eteree della musica ambient, la cura dei particolari e di un certo tipo di sound design proprie solo della IDM e della glitch, il ritmo frenetico e incessante della cassa dritta, eterno marchio di fabbrica della scena club di tutto il mondo e caratteristico di ogni epoca, la miscela di elementi elettronici con elementi suonati ed acustici (chitarra, batteria) – scelta stilistica e discorso concettuale che abbiamo cercato di portare avanti attraverso tutto il disco – e infine un tipo di scelta armonica che sì, si appoggia al cosiddetto 4 to the floor della cassa dritta, ma che in realtà si sviluppa in 4 battute da 5/4, scelta non proprio classica o frequentemente usata, soprattutto nel mondo della club music.