[column size=”2/3″ center=”yes”]Morkebla, al secolo Alberto Rosso, è una delle menti illuminate provenienti dall’articolato panorama elettronico italiano. In grado di travalicare i confini nazionali grazie ad una sua personalissima formula, ha rilasciato — tra i tanti — per Where To Now?, Reckno e Farbwechsel, ed è pronto ad approdare su BAROC, label tedesca rigorosamente vinyl-focused, che domani licenzierà il suo nuovo LP. Un disco in grado di condurre l’ascoltatore in non-luoghi digitali bui e nebbiosi, così come lo sono d’altronde i mondi da cui trae ispirazione. Ne abbiamo parlato con l’autore in una chiacchierata che ora vi proponiamo di seguito, voi intanto cominciate ad accaparrarvi una copia del disco via Deutsche-Asphalt.
Prima di affrontare la tua produzione artistica, vorrei toccare un altro punto: il tuo iter compositivo. Segui una strategia? Se sì, com’è mutata nel tempo?
Per quanto mi riguarda faccio davvero fatica ad analizzarmi dal di fuori; posso dirti però di non seguire un vero e proprio percorso fisso, ma di lasciare che spesso siano elementi esterni, come singole fonti di ispirazione (una frase, una fotografia, un suono, o un loop) a fare da motore per un pezzo che andrò a scrivere. In questi anni il mio modo di comporre musica è cambiato e continua a mutare, spesso anche a seconda di ciò che mi sono prefissato, del periodo in cui sto producendo, o ancora in base al mio umore.
A questo punto approcciamoci alla tua musica. Sotto l’ombrello di BAROC domani rilascerai un LP, peraltro masterizzato da Rashad Becker, che adesso vorrei contestualizzare all’interno del tuo percorso artistico. Partirei dal tuo debutto sulla lunga distanza del 2014, Pisces Sun, Capricorn Rising, lavoro che io considero di spartiacque, in quanto è andato a forgiare il trademark con il quale ormai sei irriversibilmente riconoscibile. Un ambient deviata, e per certi versi acquatica (definizione che ti avvicina a certa techno di Drexciya-na memoria), fatta di mantelli kosmische e percussioni pesanti e irregolari.
Quando BAROC mi ha contattato per chiedermi di fare un disco sono rimasto stupito. Conoscevo l’etichetta per le sue uscite molto più techno-oriented ed ero ancora più spiazzato sapendo che avevano scelto me proprio per il loro primo LP e non volevano propormi il solito 12”. A differenza di quanto dici il mio primo lavoro è uscito su Where To Now? ed è un disco prettamente ambient, senza nemmeno l’ombra di un kick, cosa che invece non è Pisces Sun, Capricorn Rising. Dunque sì, hai ragione dicendo che il nuovo disco su BAROC è molto più simile a Pisces che alle cose che ho fatto. Tuttavia credo se ne discosti anche parecchio su atmosfere e ritmi. Per il mastering come hai detto la label ha scelto Rashad Becker, e devo dire che sono molto contento di come suona il disco.
Proseguendo in linea temporale, l’anno appena conclusosi sembra essere stato per te particolarmente fruttuoso: hai calcato palchi importanti, da piccole realtà in grande crescita ai due colossi festivalieri italiani; hai rilasciato uno split con Best Available Technology e un EP alieno su Farbwechsel.
Sì, devo dire che, tirando le somme, il 2015 è stato un bell’anno sia dal punto di vista live, che per le uscite. Sono molto felice di vedere che Farbwechsel sta ottenendo degli ottimi riconoscimenti come label a livello internazionale e Kevin (Best Available Technology) è davvero un grande, instancabile produttore – Go Slumming è stato un bel risultato di ciò che abbiamo potuto fare assieme, pur vivendo a migliaia di chilometri di distanza.
Per completare il quadro del progetto Morkebla, spero tu possa ancora concedermi una piccola digressione sul lato visivo del tuo lavoro, ormai parte integrante della tua componente musicale.
A volte mi piace curare personalmente i video dei miei brani, altre volte lascio che siano altri a farlo. In sede live mi affido sempre a qualche spirito affine con cui lavoro minuziosamente nella creazione di un unicum che presenti sinergie a livello audio-visivo. Non è facile mettere il tuo lavoro nelle mani di qualcun’altro se non conosci approfonditamente ciò che fa a livello artistico e se non te ne fidi ciecamente. Ultimamente ho lavorato ai miei live con Sara Scanderebech e prima ancora con Marco Mendeni, sono due artisti piuttosto diversi, ma che stimo davvero moltissimo. Devo precisarti però che non sempre i visual sono una componente necessaria nei miei live, spesso infatti sono lo spazio stesso o la tipologia di serata ne determinano l’utilizzo o meno.[/column]
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[column size=”2/3″ center=”yes”]Ed eccoci ad Ono-Sendai Cyberspace. Dal titolo mi pare di capire che sei in fissa con il cyberpunk.
Beh, posso dirti che il cyberpunk è una corrente alla quale sono molto legato a livello concettuale e spirituale. Dalla letteratura, ai fumetti, al cinema, credo che al giorno d’oggi alcune atmosfere e ambientazioni tipiche del genere risultino più attuali che mai, se non addirittura per certi anche già superate. Come qualcuno potrà aver capito, William Gibson è in assoluto uno dei miei scrittori preferiti di sempre, nonché un’enorme fonte di ispirazione.
Le tracce che compongono Ono-Sendai Cyberspace le hai scritte un anno fa, periodo nel quale — se ricordo bene — ti stavi riabilitando dopo un importante intervento chirurgico. Questa condizione ha influenzato il tuo lavoro?
Indubbiamente sì: ciò che mi circonda influenza inevitabilmente la mia musica, soprattutto in un tipo di condizione come quella che hai appena illustrato. Tutte le tracce sono state registrate prima di questo intervento alla mano, avvenuto a dicembre dello scorso anno. I pezzi sono poi stati editati e mixati a seguito dell’operazione. Credo dunque che senza aver subito questo tipo di esperienza, il disco non suonerebbe così. In sede di editing e mixing ho davvero stravolto alcuni dei concetti che avevo messo giù durante le registrazioni. Se posso esprimere un pensiero in merito ad Ono-Sendai Cyberspace, lo vedo come una sorta di passaggio di cura tra due condizioni differenti: la malattia e la guarigione, per mezzo ovviamente della cura stessa.
Adesso passiamo al contenuto: in Ono Sendai Cyberspace riprendi la tua elettronica umbratile, a tratti ariosa (RE-2001 / Hypnovel), a tratti cavernosa (Floor-melting Smileys). Permane quello spleen e senso d’inquietudine che caratterizzava i tuoi passati lavori, ma qui hai arricchito il tutto con paesaggi androidi.
Ti ringrazio per aver enfatizzato questo particolare, diciamo che le tracce di questo disco mirano a creare un punto di incontro tra l’uomo e la macchina, analizzandone spesso il legame complesso e vicendevolmente simbiotico, con l’obiettivo di legare i due elementi in un solo, unico esemplare. A livello sonoro credo di aver unito proprio questi due aspetti: la mia ricerca sonora e l’espressione ritmica e disumanizzata delle macchine.
Nello show di NTS trasmesso il 4 gennaio e curato da Beatrice Dillon e Call Super, al 37esimo minuto passa quello che secondo me è uno dei brani più interessanti del lotto, e il cui titolo allude alla tecnosessualità, ASFR Lover: una luccicante cascata di synth à la Lopatin e un turbinio sonoro in grado di evocare umori contrastanti.
Ti ringrazio. Sì, dopo aver ricevuto il disco Beatrice mi ha detto di essere rimasta molto impressionata da quella traccia. Il titolo ed il tema che vi stanno dietro allude proprio a questo: un’unione tra uomo e macchina, in un tutt’uno impossibile/possibile. Credo sia uno dei pezzi più strani che ho scritto, sia a livello strutturale che mentale.
Dato che ti ho espresso una mia preferenza, c’è qualche brano a cui tu sei più legato?
Credo che in tutto il disco, il brano a cui sono in assoluto più legato sia Derm — e mi piacerebbe che fossero le parole di Gibson stesso a rappresentare questa traccia: “Eight derms, each a different size and color, ran in a neat line down her left wrist. An Akai transdermal unit lay beside her, its fine red leads connected to input trodes under the cast. He turned on the tensor beside the Hosaka. The crisp circle of light fell directly on the Flatline’s construct. He slotted some ice, connected the construct, and jacked in.”
Concluderei con la domanda campanilista: la creatività italiana pare stia vivendo un periodo di straordinaria vivacità, tanto che in molti — media e diverse realtà — individuano una scena, o l’urgenza di crearne una. Altri però sembrano non digerire tutto questo, quindi forse è meglio parlare di un network su base geografica che accomuna artisti con una stessa attitudine? E, trascendendo i meccanismi definitori, trovi anche tu che questo sia un buon momento per l’elettronica made in Italy?
Sicuramente la parola network descrive al meglio ciò che sta succedendo in Italia per quanto riguarda la musica elettronica. Da circa un paio di anni ad oggi, è indubbio che l’elettronica italiana abbia subito una vera e propria accelerazione. Sicuramente valorizzare le realtà italiane è importantissimo, anche se personalmente quando mi approccio all’ascolto di musica nuova di un artista che non conosco, l’ultima cosa che mi importa è sapere di che nazionalità è. Detto questo, sicuramente dal 2014 ad oggi si sono create e sviluppano moltissime nuove realtà, anche a livello organizzativo, che meritano davvero tanto, e che purtroppo allo stesso tempo devono fare i conti con le necessità di stare a galla creata dal mancato supporto delle istituzioni.[/column]