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Introduzione: Dariush Aazam
J Dilla è il più grande paradigma dell’hip-hop degli anni 2000.
Ha impostato lo standard più spontaneo mai esistito, ovvero la devozione per l’imperfezione.
Standard non solo per l’hip-hop, perché di fatto ha inventato il Neo-Soul, fondando i Soulquarians con Erykah Badu, D’Angelo, e altri angeli.
Dilla è il silenzioso redattore di un invisibile manifesto: una concezione dell’hip-hop distante dalla protesta, esente da ogni rabbia; la parte del messaggio che propone una luminosa alternativa, la parte che suggerisce di creare, creare per esistere. Se non ci si riesce, pazienza, si ritenterà.
Immensa è la lista di artisti che citano Jay Dee come influenza imprescindibile per il loro sviluppo creativo: ognuno promette di continuare ciò che J Dilla aveva iniziato.
Ha stretto la mano ad ognuno di loro prima di andarsene, ha spiegato in mille modi concentrici quali fossero le strade incompiute che avrebbe voluto indicarci con più calma.
Il suo saluto, l’altro lato della promessa, è Donuts: una totale identità suono-significato, un denso e fluido collage di rimpianti, troppo genuini per somigliare ad altro, la fine tanto vicina all’inizio da annullare la fatica.
James e il suo MPC conversano, è un botta e risposta ironico, crudele e dolce. La morte, lì accanto, scuote la testa a ritmo, un ghigno rassegnato a dire “Yo, D, sarebbe stata la direzione giusta”. C’è amara redenzione in ogni titolo -l’album inizia con l’outro e si “chiude” con l’intro- e c’è strazio nel titolo di ogni sample utilizzato, capovolto e sovrapposto. Centinaia di ore a scavare tra i vinili, anni e anni a studiare il proprio talento; i piedi saldati al terreno, un orecchio teso al cielo. Tutto in attesa di un gentilissimo, pirotecnico schianto.
Inutile fingere di poter dominare la natura, inutile credere di poter indovinare un finale. Si può solo lasciare che le dita vadano, che i sensi accadano e cadano.
Forse aveva ragione Sun Ra: il tentativo di controllare il tempo non può andare a buon fine, non su questa Terra.
Time: The Donut of the Heart si estingue proprio perché osa rallentare e guardarci tremare.
Donuts spaventa, è troppo reale, rimane.
Dunque fate un passo indietro, concedetevi il lusso di un sorriso sotto i baffi. Perché alla fine di tutto, lì dov’è Dilla, “it’s all good”.
Il 7 febbraio è il 10° anniversario di Donuts, abbiamo chiesto a qualche beatmaker italiano di raccontarci l’importanza di J Dilla e di spiegarci perché, a loro parere, nessuna ciambella sarà mai l’ultima.[/column][spacer]
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EMSHI
Donuts rappresenta molto bene l’idea che ho di beat tape. Si tratta di un lavoro complesso e allo stesso tempo all’avanguardia, non propriamente facile da ascoltare. Stiamo parlando di trentuno strumentali di breve durata, che in maniera spesso frammentata e volutamente poco sviluppata, introducono inaspettatamente uno stile e un linguaggio diverso dai lavori precedenti. Un insieme di bozze e idee, ben pensate, che divennero, inconsciamente per Dilla, materiale prezioso e di grande ispirazione per le generazioni di producer successive. Credo che per comprendere al meglio questo disco occorre saper ascoltare “empaticamente” ogni singola traccia. Donuts è ricco di significati, molti dei quali, nascosti e simboleggia, per me, un inno alla vita e un modo di pensare completamente borderline.
“… I can’t stand to see you cry / No baby, now… / I know… / You do…”
Si prenda in esempio la scelta di cominciare il tape partendo dal fondo, quasi a voler disegnare un percorso al contrario, in cui bisogna sbarazzarsi della fine per potersi concentrare al meglio su un nuovo inizio.
Citando Antoine de Saint-Exupéry, mi vengono in mente le seguenti parole:
“Ogni fine ha un nuovo inizio, e viceversa”
Mi piace immaginare Dilla come una persona semplice, riservata e coi piedi per terra, probabilmente introverso e non molto bravo con le parole, ma che per esprimere al meglio ciò che aveva dentro di sé, riuscì a trovare un suo mezzo, molto personale, per comunicare: la musica. Adoro pensare che i tagli dei sample non siano casuali, piuttosto, un tentativo tenero e timido di prendere in prestito alcuni frammenti di frasi, che, a volte, a parole possono risultare difficili da dire, soprattutto in quel periodo della sua vita.
“..is death real? / Mmmmmh you’r gonna want me back in your arms / You’re gonna need me, one day / You better stop, and think about what you’re doing…”
La traccia di Donuts che ho scelto è senza dubbio “Stop”. Essa rappresenta per me l’Epiphany, in termini Joyciani, che Dilla ricevette. Se mi dovessi mettere nei suoi panni credo ci voglia molta forza e coraggio per realizzare che, all’apice del successo, non ci sia più spazio su questa terra. E Dilla anziché lasciarsi inghiottire dalla malattia, ha reagito! Diede il giusto peso alla tristezza, continuando, però, a dare ampio spazio alla creatività, che altro non era per lui la gioia più grande.
Penso che, attraverso Donuts, Dilla insegni a non lasciarsi mutare dai momenti difficili, piuttosto, bisogna cercare di restare positivi e mettere il cuore in tutto quello che facciamo. Per aver avuto soltanto 32 anni, la sua forza è ammirevole. Quindi cerchiamo di essere produttivi, ambiziosi, inseguiamo i nostri sogni e i nostri progetti impegnandoci a trovate il modo migliore per comunicare i nostri sentimenti.
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Vittorio / OSC2X
Innanzitutto sono molto grato a DLSO per avermi chiesto di scrivere un ricordo su questo grande disco, io che apparentemente non ho nulla a che fare con il mondo hip hop. La verità è appartengo alla nutrita cerchia di persone che è stata colpita dalla poesia di J Dilla.
Il significato di groove ha a che fare con la vibrazione interiore di un uomo, con la sua sensibilità più intima e non si può certo spiegare esattamente a parole, ma di sicuro J Dilla ha saputo spiegarne il significato tramite la sua musica.
Ho scoperto la musica di J Dilla come un bambino scopre i pennarelli turbocolor della Giotto. Metaforicamente ogni sua canzone corrisponde a un colore nuovo da aggiungere alla tavolozza, una fonte inesauribile di ispirazione. Donuts è un disco clamoroso, in cui è palpabile la sensazione di urgenza, più di trenta bombe velocissime che si susseguono ma è come se fosse un’unica maestosa opera. Un disco in cui la ricerca e l’esplorazione del concetto di groove si spinge dove nessun altro era riuscito prima tanto da rendere il groove il soggetto oltre che il motore ritmico dell’opera.
L’eredità artistica di J Dilla è evidente nei più rinomati artisti di oggi: Flying Lotus, Shlohmo, Robert Glasper, Nosaj Thing, ma la sua grandezza sta nell’avere portato il suo modo di usare il campionatore all’orecchio comune aprendo così una nuova strada che hanno intrapreso artisti e producer che magari nel loro bagaglio delle influenze hanno meno hip hop, meno black music e che per esempio venivano dall’indie rock (come per esempio me). Se oggi i gruppi rock “puro” non ci sono più lo dobbiamo in parte a J dilla che con la sua ricerca ha dato una sferzata importantissima al trend musicale e ha obbligato tutto il mondo musicale a tenere conto di questa sua invenzione.
Brano: J Dilla – Workinonit
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RAILSTER
Mi ricordo di quando ero all’università ed ascoltavo Donuts con Kappah, anziché studiare. Siamo stati rapiti dal suo suono. Da quel momento ho provato a fare cose differenti e la sua influenza è stata molto forte. Ha saputo avere il suo suono unico; la ricerca dei sample; lo swing sulle drums. Con Donuts ha definito le regole per una scena di beatmakers e produttori poi espansa in tutto il pianeta. Mi è sempre piaciuta la sua attitudine, il suo coraggio nello sperimentare, suonando sempre fuori dal tempo – timeless.
Ancora oggi rimane una figura di riferimento molto presente.
J Dilla rest in peace!
Brano: J Dilla – Two Can Win
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NATTY DUB
Ci sono musicisti scomparsi che rimarranno immortali per sempre, delle icone che hanno segnato delle epoche, dei periodi della vita nostra e dei nostri genitori: Freddy Mercury, Bob Marley, Jim Morrison, Elvis Presley. La loro musica durerà in eterno e continuerà a suonare e ad essere venduta forse in eterno.
Tra questi, magari i nostri genitori non lo conoscono, c’è James Dewitt Yancey, in arte Jay Dee o J Dilla. Egli rappresenta ed accompagna una generazione di appassionati alla musica suonata senza spartito, senza chitarre e amplificatori, ma con i campionatori, i vinili e le drum machine.
Giovani che non sognano da rockstar, che producono dai garage e dalle proprie camerette, uniti da un suono che in qualche modo riporta sempre a lui.
Ha saputo dare una veste jazz e soul all’hip hop, dalle produzioni per Slum Village a Erykah Badu, ai suoi beat tapes.
Se dovesse nascere una accademia della musica hip hop (anche se può sembrare un ossimoro), la discografia di Dilla sarebbe la Treccani del beat.
Negli anni d’oro di Dj Premier, Pete Rock e Sermon, Dilla si differenziava per la sua vena melodica, armonica. I suoi beats potevano reggere da soli anche senza rap, delle vere e proprie canzoni. Fin in punto di morte, avvenuta per Lupus, ha prodotto delle perle, tant’è che Donuts è stato prodotto sul letto dell’ospedale, con l’ausilio della madre. La stessa che tuttora continua, con il supporto di alcuni producer, a far uscire album postumi, con non poche critiche in merito.
Personalmente ritengo che la sua influenza sia una grande benedizione e ho piacere di raccontare un aneddoto: la mia prima produzione per l’album di debutto dei Funk Shui Project è stata “Soulful”, ormai un cavallo di battaglia della nostra band e video con più successo. Ebbene il beat originario era un tributo e si chiamava “Dilla”, perché creato ispirato da lui stesso. Mi piace pensare che il nostro sia stato un battesimo, ma non da parte di un’entità sconosciuta, ma di un uomo in carne ed ossa che ci ha lasciato una grande eredità.
Brano: J Dilla – Don’t Cry
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Enzo / SMANIA UAGLIUNS
J Dilla è profondamente infuso nella mia musica e di riflesso anche in quella degli Smania Uagliuns, sebbene il legame possa non emergere ad un orecchio pigro. La chiave di volta della sua grandezza per me è appunto questa: rivoluzionare senza oziare in questa rivoluzione e ripiegandosi su se stessi, sulla propria invenzione. Non so come metterla in maniera più semplice, ma il concetto è questo: J Dilla creò il nuovo apportando la sua visione, ogni artista dovrebbe esprimere una sua visione, unica. Considero la sua produzione come divisa un po’ in due filoni. In uno mutò il modo di utilizzare le ispirazioni classiche, nell’altro, quello che io amo di più, rinnovò la sorgente e i riferimenti stessi, creando con queste fonti ancora incontaminate, un suono distintivo e mai sentito prima. Proprio in questo modo è divenuto nuovo riferimento e “matrice” a sua volta per la nuova ondata di “hip hop astratto”, elettronica e musica in generale. Ecco, il fatto che nella mia musica non si senta molto la sua impronta o l’impronta di altri produttori che mi ispirano è voluto. Non ci sarebbe motivo di dare spazio eccessivo a qualcosa di già percorso e altrui, credo l’insegnamento primario sia questo, almeno per me.
Ora snocciolo anche il mio aneddoto legato a lui: la mia tesi di laurea.
Nel 2010 ho tradotto il saggio inglese inedito di David Stubbs intitolato “Fear of Music: Why People Get Rothko But Don’t Get Stockhausen”. Il saggio analizza parallelamente l’avanguardia nella musica e nell’arte visiva del Ventesimo secolo. Nella sterminata carrellata di correnti che cambiarono l’arte e la cultura moderna, ad un certo punto si tratta di Raymond Scott e si giunge a “Scott’s Manhattan Research”, ripresa da Jay Dee su ”Lightworks”. Elettronica negli anni 50? Si. Mi si aprì un mondo sulla contaminazione e le possibilità infinite offerte dalla musica. Da li mi ripromisi che avrei cercato di creare qualcosa di nuovo anche io nel mio piccolo, e non fu più la stessa cosa, anche grazie a J Dilla.
Brano: J Dilla – Lightworks
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HLMNSRA
Tema:
Pezzo preferito (forse) di J dilla
Svolgimento:
Inusuale per uno che fa i beats che tutti da sempre associano al filone J Dilla, ed è magari pure vero, non scegliere un pezzo tratto da Donuts. Forse, boh, oggi giornata nazionale dell’indecisione (sabato 30 gennaio).
Il mio album preferito in generale è The Shining.
Il pezzo preferito è Baby con Madlib e Guilty Simpson che secondo me è the most underrated rapper.
Comunque una delle ragioni, a parte la magnificenza del beat, è che il primo concerto che vidi quando mi trasferii a Londra fu Guilty Simpson, un martedì al Fabric London.
Concerto strepitoso e Baby live con un mega sound system.
Sarebbe doveroso scrivere qualcosa su E=MC2, ma non posso dilungarmi che Efeizee mi ha chiesto solo un pezzo e magari si incazza.
Brano: J Dilla – Baby (ft Madlib & Guilty Simpson)
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Fede DSM / PLANET SOAP
Inizio subito ringraziando Stefano che si è ricordato di me anche in questo periodo di “inattività” musicale e lo ringrazio soprattutto perché è il primo che mi chiede di parlare nello specifico di uno degli artisti a cui sono più legato musicalmente e sentimentalmente.
Probabilmente Madlib non sarà contento, ma ero uno di quelli che aveva la maglietta (stampata dalla fidanzata, non originale) con la scritta “J Dilla changed my life” , che mettevo praticamente a tutti i dj set Planet Soap del primo periodo (formazione con Papetti e in solitaria). Con il senno di poi mi viene da dire che la frase corretta sulla maglietta sarebbe dovuta essere “Donuts changed my life”; questo perché prima “delle ciambelle” conoscevo approssimativamente le produzioni di Jay Dee e del collettivo The Ummah, ma non mi ci ero mai addentrato approfonditamente; cioè, “The light” di Common era una bomba, ma ancora non la legavo direttamente a Dilla (cosa che invece successe dopo e che già facevo con i beat di Premier, per intenderci), così come le varie sue produzioni nei dischi di Busta Rhymes, D’Angelo, Badu e via dicendo.
Acquistai Donuts, in CD, con il mio amico Alberto Kresko nello storico Time Out di Milano in data 11 Febbraio 2006 (N.B.: compravamo qualunque cosa uscisse per Stones Throw). Lo inserimmo nello stereo della macchina e restammo folgorati dal tipo di produzione che non ci aspettavamo e soprattutto dal modo in cui erano stati usati i sample; al tempo dissi “fin troppo spudoratamente”, tanto che ne avevo beccati subito un bel po’ al primo ascolto. C’era sicuramente già Madlib che si avvicinava a questo modo di flippare i campioni ma aveva comunque un approccio più grezzo e non ricordo che ai tempi utilizzasse sample vocali così riconoscibili. Restammo in macchina fino all’ora di cena ascoltandolo più volte e pensando “CAZZO LO VOGLIAMO FARE ANCHE NOI”!
Rientrato a casa mi collegai col mio vecchio 56k e scoprii della morte di Dilla avvenuta incredibilmente il giorno prima…non ci potevo credere e, pur non essendo un vecchio fan di Jay Dee (ma a questo punto fan del giorno prima), ci rimasi malissimo. Da lì, forse anche per questa scossa emotiva, mangiai letteralmente il disco appena acquistato e iniziai ad addentrarmi sul serio nel mondo del producer di Detroit che dopo poco non avrebbe avuto più segreti.
La mia traccia preferita è U Love.
Il soul che trasmette questo beat, che utilizza un sample riconoscibilissimo di Jerry Butler, è incredibile. Qui riesco a vedere, oltre che sentire, il tocco incredibile di Dilla che, solo campionando una piccola parte vocale, riesce a creare un brano che mi emoziona più dell’originale da cui attinge; questa cosa si ripete comunque per tutta la durata dell’album, che trasforma il semplice sampling in ARTE.
Brano: J Dilla – U Love
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Luca / BEAT SOUP
Ora non mi ricordo quando è stata la prima volta che ho ascoltato Donuts, erano comunque un bel po’ di anni fa.
Quello che mi ricordo è che ne rimasi praticamente folgorato. Beat corti, cortissimi, intro con campioni soul e finali tagliati che sanno di incompiuto. Ma cos’è sta roba? J Dilla stava un bel po’ di anni avanti.
Mi ricordo anche di quando la Stones Throw fece un contest per giovani videomaker a tema beat di Donuts. Tra i vincitori c’era quello di Last Donut of the Night girato in Finlandia da dei tipi finlandesi.
Ecco, il pensare che il genio di Dilla possa aver portato ad amare le ciambelle a Detroit come a Helsinki, ad unire il mondo insomma, è qualcosa di fantastico. J Dilla ha creato in un album l’unione tra musica e street food. I beat corti da “mangiare” uno dopo l’altro, come i morsi alle ciambelle o i pasti nelle tavole calde americane. L’ho capito quando sono andato da Katz a New York.
Per questo, ed altri motivi più seri, per me e Nario di Beat Soup, James Yancey occupa un posto speciale nei nostri cuori.
Diamo a lui “la colpa” della nostra fissa per i beat e qualche anno fa gli abbiamo dedicato questo mix.
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ODEENO
Ebbene sì, mi hanno chiesto quale pezzo abbia particolarmente nel cuore, quale sia stato per me importante. Si tratta sicuramente di “Fall in love”: oltre alla magia del loop che contiene questo pezzo, sample preso da “Gap Mangione – Diana in the Autumn Wind”, usato anche per “The Official” con Madlib (anche questa una pietra miliare), per me è importante tutto, dalla composizione dell’idea del loop all’amore per la musica –che è il messaggio che questo brano mi trasmette. Non fermarsi mai, abbattere tutti i confini, anche quelli dell’amore stesso. Dilla mi ha accompagnato in vari momenti difficili della mia vita, uno più degli altri, ed il suo ricordo e la sua storia mi hanno dato la forza per andare avanti e non arrendermi mai.
Ho due ricordi nitidi del brano: il primo riguarda quando lo ascoltai per la prima volta, avevo 17 anni e rimasi lì pietrificato dalla potenza di quel suono. Da lì mio avvicinamento al beatmaking. Il secondo invece fu con la mia ragazza: le chiesi di ascoltarlo nonostante sapessi non fosse il suo genere. Quel pezzo però fu un’eccezione, le piacque e da lì partì un bacio pieno di passione e amore come in pochi casi. Pioveva e Dilla girava in macchina.
Brano: Slum Village – Fall in love
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FRANK SATIVA
Quando mi è stato chiesto di scrivere alcune righe su Donuts, la prima cosa che ho fatto è stata riascoltare il disco per intero.
La mia mente è immediatamente tornata alle impressioni del primo ascolto, quando fui folgorato da tracce come “The Factory” o dal classico “Workinonit”.
Mi sono appassionato al sound di Dilla relativamente più tardi (un paio d’anni dopo l’uscita del disco), ma da allora non ha mai cessato di essere un paradigma costante per il mio percorso.
Non ricorderemo mai abbastanza quanto J Dilla abbia saputo rappresentare, pur mantenendo sempre un basso profilo, un punto di riferimento fondamentale per l’evoluzione di questo genere.
Brano: J Dilla – The Factory
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Pasta / FARE SOLDI
A posteriori non saprei dire se davvero Dilla saved my life, ma nel 1995 con l’uscita di Runnin’ dei Pharcyde, di sicuro una strada me l’ha indicata, grezza, di pancia, storta ed emozionante. Quanti suoi beat pazzeschi ho ascoltato senza sapere chi c’era nella stanza dei bottoni? Ormai i bottoni li premono tutti, ma senti come suona male da dio! Insomma ai tempi divenne una hit (e spero lo sia ancora nei vostri cuori), prima di Donuts, prima di tante altre cose, Dilla la vita ce la salva da sempre, anche quando non ce ne accorgiamo. Torno a muovere il collo come un pirla, scusatemi.
Brano: The Pharcyde – Runnin’
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