Dopo il successo della prima data, che ha visto il vibrafonista giapponese Masayoshi Fujita esibirsi davanti ad una Sala Vanni gremita, torna Hand Signed, la rassegna realizzata da OOH-sounds, Node Festival e Musicus Concentus.
Il protagonista della serata di venerdì 19 febbraio sarà Oliver Coates, uno dei più importanti violoncellisti viventi, lanciato a livello internazionale dalla residenza artistica al Southbank Centre dal 2010 e dal premio Royal Philharmonic Society Young Artist vinto l’anno successivo. È conosciuto sia come interprete che come compositore e il suo album di debutto, “Towards The Blessed Islands”, uscito su Prah Recordings, è considerato un capolavoro dalla critica specializzata. All’attivo ha lavori con JJ Doom, Massive Attack, Boards of Canada, Mira Calix, London Sinfonietta, David Lang, Steve Reich e Leo Abrahams su etichette come Warp e The Leaf. La sua collaborazione di lungo corso con la compositrice Mica Levi ha dato vita, tra le altre cose, anche all’acclamata colonna sonora del film “Under The Skin” di Jonathan Glazer. Altra fondamentale soundtrack è stata quella realizzata dal giovane musicista assieme al chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood per il film “The Master” di Paul Thomas Anderson. La sua ultima, acclamata, apparizione live l’ha fatta qualche giorno fa al Barbican Center di Londra, assieme ad Actress e alla London Contemporary Orchestra in un evento nato dalla collaborazione tra Ninja Tune e Boiler Room.
In occasione della sua prima data italiana abbiamo voluto intervistarlo per conoscere meglio la sua formazione e i prossimi progetti. La versione audio dell’intervista, assieme ad un mix costruito esclusivamente con le sue tracce e collaborazioni, potete ascoltarla sul podcast di Mixology.
Cominciamo dalla fine. Ci racconti le tue impressioni a caldo dopo il live con Actress che abbiamo visto in diretta streaming su Boiler Room?
È stato qualcosa di magico e spettacolare, frutto di una combinazione particolarmente riuscita. Abbiamo già parlato di dare seguito al progetto con un album e un tour. Davvero una grande intuizione quella di immaginare la musica prodotta da Actress per un ensable allargato di musicisti. Il processo che ci ha condotti ad aderire alla sua estetica e amplificarla è stato naturale ma anche sorprendente. L’esperienza più potente che ho avuto in questa collaborazione la ritrovo, però, agli inizi della stessa. Eravamo io e lui in una stanza nella zona ovest di Londra. Darren non aveva mai visto un violoncello in vita sua e raramente aveva avuto a che fare con musicisti alle prese con strumenti. Neanche il tempo di chiedermi come sarebbe avvenuta la ‘negoziazione musicale’ tra noi e lui mi ha sbalordito. Dopo avermi invitato a suonare qualcosa ha cominciato a chiedermi di togliere note, di rallentare il ritmo, di suona ad un volume più basso. Così abbiamo cominciato a lavorare su ritmi semplicissimi e altrettanto elementari linee di basso. Abbiamo passato due ore semplicemente seguendo le nostre pulsazioni basilari. Quando, alla fine, ho incrociato il suo sguardo ho scorso una intensità e una forza diretta e senza compromessi che per me è il segno inequivocabile da cui parte la buona musica.
Boiler Room ha anticipato l’uscita del primo singolo estratto dal tuo prossimo mini-album in uscita su Prah. Vogliamo saperne di più.
Si chiama ‘Upstepping’ e ho cominciato a lavorarci durante un viaggio ad Hong Kong, nel dicembre del 2014. Ho vissuto sei settimane in un appartamento nel centro della città, in un periodo nel quale le strade erano invase da manifestazioni studentesche. Avevo voglia di provare a vedere cosa sarebbe accaduto a coniugare due aspetti differenti della mia ricerca musicale: le composizioni celebrali e meditative dell’ultimo periodo con le sequenze ritmiche ispirate alla musica dance che realizzavo agli esordi. Mi ero sempre immaginato ci fosse uno spazio nel quale far incontrare i suoni processati del mio violoncello e le percussioni ritmiche da dancefloor. In quelle notti questa fusione è venuta naturale, tanto da permettermi di impostare le prime tracce. Il resto l’ho fatto in varie camere d’hotel in giro per il mondo, dato che la mia vita è un vero casino e sono sempre in giro a suonare per mille collaborazioni. Sono venuti fuori otto brani che sono la perfetta rappresentazione della mia idea di fisicità legata al suono, nella quale la ripetizione ha un ruolo assolutamente centrale.
Come hai cominciato con la musica?
I miei non ne potevano più di sentirmi ‘suonare’ il registratore e allora, quando avevo sei anni, mi hanno mandato a studiare musica. Ho provato un po’ con la chitarra ma poi mi sono appassionato al violoncello col quale risuonavo i pezzi di Michael Jackson. Il rapporto con lo strumento è diventato quotidiano e i miei mi incoraggiavano a fare sempre meglio. Verso gli undici anni ho cominciato ad appassionarmi alla musica sovietica, attratto dalla sua ricchezza, dalla sua difficioltà tecnica nell’esecuzione e dal suo spirito melancolico. Vivevo a South London dove si ascoltavano un sacco di ottime radio che proponevano sempre nuova musica. Così, mentre studiavo Shostakovich, ho scoperto band come i Radiohead e Underworld e i tempi veloci della dance elettronica di Photek, Squarepusher e Goldie. La mia musica è venuta fuori da questo incrocio di influenze; dall’aver realizzato, a venti anni, che non si trattava di mondi separati.
A studiare la tua biografia sembra che le collaborazioni siano state una componente cruciale della tua crescita musicale. Come sei arrivato a collaborare alle colonne sonore con Mica Levi e Jonny Greenwood?
Suonerà presuntuoso ma non ho mai cercato nessuna di queste collaborazioni. Mi sono limitato ad andare dove altri mi chiedevano di essere. Mica Levi l’ho incontrata che era ancora una studentessa, a ventuno anni, e suonava in un quartetto d’archi. Da quel primo momento abbiamo cominciato a pensare musica da scrivere insieme. Jonny Greenwood l’ho conosciuto attraverso la London Contemporary Orchestra, progetto nato per mettere insieme giovani musicisti che provenivano dalla sua stessa area, l’Oxfordshire, e nella quale io suonavo. Oltre alla chitarra per i Radiohead lui suona anche la viola ed è un ottimo arrangiatore. La sua voglia di sperimentare musica d’avanguardia lo fa essere un artista alla costante ricerca di musicisti in grado di seguirlo su quel terreno. Con lui ho fatto come faccio sempre: abbandono ogni pregiudizio, ogni idea preconcetta, e mi butto, anima e corpo, nelle nuove avventure che mi capitano.
E le collaborazioni con Doom, Mira Calix e Massive Attack come sono arrivate?
La Warp aveva chiesto a Mira Calix di realizzare una cover di un brano dei Boards Of Canada e lei ha voluto me al suo fianco. Entrambi amavamo ‘In A Beautiful Place Out In The Country’ e allora io ci ho messo il suono e gli arrangiamenti e lei la sua poetica del collage elettronico associato al field recording. So che al gruppo il risultato è piaciuto molto e questo mi ha reso felice. Doom è sempre stato un eroe per me. Un artista che ho sempre amato e seguito molto. Quando la BBC gli ha chiesto una session di studio con dei musicisti, per la trasmissione di Clive Anderson, il suo entourage è arrivato a me. Quella volta mi sono ritrovato a suonare con il pianista di Amy Winehouse e una batteria senza aver provato molto. Ma Doom è una persona davvero speciale e gentile. Quando siamo entrati in studio ha aperto il suo quaderno con i testi, ci ha chiesto di abbassare la luce e quella versione di ‘Winter Blues’ è venuta fuori naturalmente. L’incontro con i Massive Attack è precedente. Anche in quel caso si trattava di una sessione per la BBC e io ero ancora uno studente. Volevano dare una nuova versione a ‘Unfinished Simpathy’ e ‘Live with me’ e così mi sono ritrovato per la prima volta in studio a ragionare di arrangiamenti e di combinazioni tra synth e strumenti ad arco. Neil Davidge era già il loro produttore e dopo quella occasione mi sarei ritrovato a lavorare con lui e Robert del Naja per varie colonne sonore.
Che approccio hai alla composizione, considerando che tanto spesso ti ritrovi anche nelle vesti di interprete della musica altrui?
La mia vita da interprete è come una prima volta reiterata all’infinito, se la vedi dalla parte del pubblico. Ad un certo punto ho sentito l’esigenza di essere riconoscibile anche attraverso la mia musica, qualcosa che qualcuno potesse ascoltare quante volte voleva a casa e non solamente durante uno show dal vivo. Il mio primo disco è nato da questo bisogno. In quel periodo sperimentavo le interazioni tra laptop e violoncello, campionando e mettendo in sequenza i suoni dello strumento usato quasi fosse una tastiera midi. Sono partito dal vocabolario della musica dance e ho provato a ‘parlarlo’ attraverso il suono del violoncello processato.
Hai sempre prestato grande attenzione alle qualità acustiche degli spazi nei quali ti esibisci. Quali sono le tue ragioni principali?
Quando suoni uno strumento come il violoncello ti basta eseguire in una nota per capire tantissime cose dello spazio nel quale ti trovi e delle sue qualità acustiche, dei materiali come delle forme che lo connotano e delle sue potenzialità emotive, legate anche alla sua storia. La differenza di resa acustica tra una cattedrale e un aeroporto è importante almeno quanto le storie diverse che raccontano spazi rituali e spazi civili. La risonanza è importante sia dal punto di vista fisico che da quello metaforico. Ecco perché sono così attento a come le onde sonore si propagano e si riflettono negli spazi nei quali suono. Ciò che amo di più della musica è il suo essere una forma di comunicazione astratta che rifugge la didattica delle regole o le stesse ragioni verbali che ne dovrebbero legittimare. È come tornare bambini e provare piacere nel giocare con le onde sonore che rimbalzano nella stanza.
Data la particolarità acustica della Sala Vanni, nella quale suonerai per la data fiorentina, cosa pensi di proporre al pubblico di Hand Signed?
In genere decido seduta stante ma sono certo di voler suonare alcune delle colonne sonore alle quali ho lavorato e tra queste non mancheranno i temi di ‘Under the Skin’ e quelli di ‘Unreal Estate’. La data fiorentina sarà anche la prima occasione per sperimentare dal vivo un lavoro che voglio fare sui materiali grezzi che Actress mi ha dato la notte scorsa. Si tratta di dati midi quindi ai quali proverò a dare una forma estesa e sviluppata. Completerò i sessanta minuti di performance con tracce che arrivano dal mio album del 2013 e dal prossimo in uscita. Sul palco avrò il mio violoncello e un multi-traccia per creare sovrapposizioni, effetti di riverbero e ritmi minimalisti.
Cosa dice la tua agenda per i prossimi mesi?
Sto scrivendo molta musica per lavori di danza contemporanea, una sonorizzazione per una installazione del mio amico Lawrence Lek che sarà presentata ad aprile a Glasgow e il mio album uscirà a maggio. A giugno curerò un nuovo festival a Londra che si chiamerà ‘Deep. Infinity sign minimalism’ che porterà esperimenti di drone music nella Chiesa di Westmister.
di Andrea Mi