Quest’articolo è rivolto a tutti coloro che pensano che la parità dei sessi sia stata raggiunta solo perché le donne hanno il diritto di voto. Anche se le cose in superficie possono sembrare tranquille e rilassate, in profondità il sessismo esiste ed è ben radicato alle basi di quella che chiamiamo “civiltà occidentale”. Nonostante siano stati fatti grossi passi avanti e finalmente anche nella musica mainstream, con artiste come Beyoncé che si è schierata a fianco del pensiero femminista oltre che a quello della lotta contro il razzismo (con il movimento #BlackLivesMatter), l’obbiettivo non è stato raggiunto come dimostra questo raccapricciante caso di sessismo e violenza cui è, ed è stata sottoposta Ke$ha, nel corso della sua carriera musicale.
Cosa stava davvero succedendo dietro alle hit da discoteca, dietro alle feste dei videoclip, dietro a tutto quel mondo glitterato?
È il momento di parlare di questa brutta vicenda, caratterizzata da una forte impronta sessista che, negli ultimi giorni, ha fatto parlare tante voci dell’industria musicale americana.
Ke$ha, al secolo Kesha Rose Sebert, ha firmato il suo contratto con il producer Dr. Luke (Lukasz Gottwald) nel 2005. La peculiarità di questo accordo è che non è più stato rinegoziato, cosa che raramente accade soprattutto nel caso di artisti-platino. Ke$ha, che era ancora una teen-ager, raggiunge il producer Dr. Luke a Los Angeles, che, nonostante si fosse presentato come una specie di mentore, avrebbe cominciato a mostrare dei comportamenti violenti nei confronti della ragazza. Lei è sola in una grande città e lui l’avrebbe convita a drogarsi ed ubriacarsi per abusare sessualmente di lei mentre non è cosciente.
Nel 2010 il singolo Tik Tok fa volare Ke$ha in cima alle classifiche e, nel febbraio 2011, porta l’artista alla realizzazione del suo primo tour mondiale: Get Sleazy. Tutto sembra andare a gonfie vele ma i retroscena di questi eventi, riportati in tribunale, sono agghiaccianti. In quel periodo, infatti, il producer Dr. Luke non solo avrebbe abusato sessualmente di lei ma l’avrebbe anche drogata (in particolare con la tristemente famosa “droga dello stupro” GHB) in varie occasioni lasciandola in uno stato di incoscienza per facilitare le sue violenze. Ke$ha, nel frattempo, raccontava tutto alla madre e alla sua famiglia cercando aiuto ma il producer avrebbe minacciato di lasciarla sul lastrico, di prendere tutti i suoi diritti e di rovinare non solo lei ma anche la sua famiglia. Queste violente minacce impediscono alla giovane artista di cercare aiuto e rimane intrappolata in un malvagio purgatorio obbligato.
Già alla fine del 2013, la sua fanbase comincia a chiedere #FreedomForKesha in una petizione online, date le confessioni dell’artista che, per il momento, accusa Dr. Luke di non lasciarle alcuna libertà artistica poiché il producer “Dr. Luke, is stunting her from growing as an artist by making her sing the same generic, predictable, recycled, pop song”. Le denunce che porta alla corte sono anche quelle che riguardano forte controllo e abuso psicologico da parte del producer che l’avrebbe continuamente insultata e minacciata durante tutto questo periodo, impedendole di crescere artisticamente e di chiedere aiuto:
(a) “You are not that pretty, you are not that talented, you are just lucky to have me.”
(b) “I don’t give a shit if you don’t want to sing it, get in there and do it.”
(c) “Did you go party last night because you sound like shit.”
(d) “Go finish the song so I can buy a yacht.”
(e) “There are a million other girls out there like you.”
(f) “You are nothing without me.”
Il tutto, condito da forti insulti riguardanti la fisicità della ragazza che la portano nel 2014 alla riabilitazione nel centro di Timberline Knolls per disturbi dell’alimentazione, la madre conferma che la ragazza soffriva di bulimia nervosa da quando aveva firmato il contratto con Dr. Luke nel 2005. In questo periodo Ke$ha scrive ai suoi fans dal centro di riabilitazione confermando le minacce e gli abusi del producer.
Alla fine del periodo di riabilitazione, i medici confermano che la sua malattia è dovuta ai soprusi psicologici del producer e che continuare il rapporto con lui metterebbe a repentaglio la vita della ragazza.
Nonostante ciò, tornata dal centro di Timberline Knolls, Kesha, che è ancora legata da un contratto con Dr. Luke, non può ancora definirsi libera.
“Ms. Sebert is terrified to even attempt to take control of her intellectual property and her recording career, due to years of working under Dr. Luke’s physical and psychological abuse and threats. She is terrified that Dr. Luke will continue to exploit her physically and professionally.”
Nel 2014 Ke$ha espone una denuncia pubblica nei confronti di Dr.Luke che risponde dichiarando che tutte le denunce siano solo un metodo architettato da lei e dalla famiglia per porre fine al contratto. In seguito, Ke$ha chiama in causa anche la Sony Music Entertainment, che ritiene co-responsabile dell’accaduto poiché a conoscenza dei fatti. Il caso, che viene rimandato dalla Corte, comincia a far parlare soprattutto dopo il rifiuto da parte dei giudici di sospendere il rapporto contrattuale, lavorativo e personale, tra Kesha e Dr. Luke, come richiesto dall’artista stessa che si trova in una situazione di stallo. Kesha non può pubblicare nuova musica e non può lavorare con nessuno al di fuori del suo producer.
Il caso diventa virale e molte voci si alzano in favore di Ke$ha che sembra essere non solo vittima di un uomo perverso ma anche di una corte che non la prende in considerazione. Casi come questi esistono da tempo, come fa notare l’autrice Alice Vachss nel suo libro Sex Crime (1994), spesso e volentieri la Corte diventa complice dello stupratore in quanto tende a pregiudicare le vittime in base ad una dicotomia tra Good Victims (come per esempio: mogli di poliziotti, ragazze con una buona educazione, con un buon lavoro, che non mostrano comportamenti isterici) e Bad Victims che la corte pre-giudica non affidabili in base alla loro immagine.
Ma la verità è che non esistono Good o Bad Victims e che la storia di Ke$ha è una grossa testimonianza di quanto il sessismo sia radicato nelle fondamenta della nostra società “civile”.
Questo è il momento di parlarne.
#FreedomForKesha