Il quarto album degli esterina – Dio ti salvi – è uscito lo scorso novembre: nove tracce durissime, testi che prendono a schiaffi e melodie ruvide, fatte di chitarre corpose e intenzioni precise.
Un disco autentico, post-rock.
Lo ascoltate qui sotto e poi leggete il racconto traccia per traccia. Un racconto che viene dal mare.
Ci abbiamo provato ma non ci siamo riusciti, è per questo che invece di raccontare il come, abbiamo messo insieme delle storie laterali, fuorvianti e intransitive su Dio ti salvi. Traccia per traccia, per suggerire una via analoga ma non equivalente a quelle canzoni in realtà così sole nel loro disco. Dio ti salvi raccontato col mare.
Pantaloni Corti
Quella volta che andarono insieme. Il sole sbiadiva i colori delle sdraio. Tutto era imperfetto e col tempo quel ricordo è divenuto incantevole. A mezzogiorno il fresco si cercava nella pineta. C’era la panzanella da mangiare e quando ci si sdraiava per aspettare che fosse di nuovo il tempo per tornare al mare, i pini sembravano arterie ascendenti al cielo infuocato e le cicale la banda dell’esecutivo cianfrusaglie, pronta a dissipare il tempo, le poche note da indovinare a prima vista e a far divertente quella calura ottundente. Portava i pantaloni corti e le piaceva parlare tutto il tempo, sgorgava fuori storie come il riposo autentico la mattina presto, quand’era ora di ricominciare, quasi. Chi la vide non ci credeva, non ci credeva per non soffrire più il resto dei suoi giorni.
Dio ti salvi
Se non ci fossero mai stati, se non l’avesse mai vista, se non l’avesse mai incontrata lì, poteva anche essere così, una stagione andata male, come quando inizia a piovere a giugno e smette a ottobre. Ma ancora oggi ricorda esattamente come, dopo averla vista, provava senza averne nessuna istruzione e apparentemente nessun motivo, a proteggerla. Per il resto dei suoi giorni ha provato a ritrovarla lì, a riaccompagnarla lì, a riposarla lì, su quella piccola porzione di arenile buono a nulla se non a testimoniare la sua assenza. Dio salvi quella bellezza.
Puta
Lei non veniva al mare quasi mai, eppure le piaceva più di ogni altra cosa. Una, due volte in giugno e poi basta. Un giorno (ce n’è stato uno solo) che aveva perso il timore per le sue domande, e tutto quel rancore per se stesso (ce n’è stato un sacco dopo) dovuto all’essere naturalmente inopportuno. La fermò sul marciapiede e con la sua maglia da bagnino le chiese se poteva offrigli una granita. Gli disse sì. Si sedettero e il tempo sembrò non avere più esito.
Stanno tutti bene
Al mare dove lo portavano c’era pieno di gente che detestava, e non capiva perché sprecare tutte quelle ore così preziose in una cloaca del genere. Era l’unico tempo che avrebbero passato insieme e di cui si sarebbero ricordati, ma la cosa che lo spaventava di più era che lui fosse uno di loro o peggio ancora, col tempo, come loro ci sarebbe diventato. Non c’è nessun coraggio a essere pertinenti al proprio tempo.
Canzonetta
Avevano detto di tornare al mare in bici. Gli asciugamani arrotolati e stretti sul portapacchi, una borraccia d’acqua e niente altro a parte quella sua passione per i Red House Painters. Quell’estate la passarono con loro. Con Katy Songs che suonava dentro quella casa ai limiti della pineta come se fosse la sua voce, lontana da tutto e da tutti isolati. Anche i contadini che lavoravano con i trattori intorno sapevano che erano in casa, a mangiare, dormire, farsi gli affari loro, dalle finestre aperte e da quella canzone che non avrebbero più sentito per il resto dei loro giorni. Quando dormiva, dopo una vita di veglie, sembrava davvero che anche Dio se ne fosse accorto.
Stesse barche
La spiaggia vista dal mare non è la stessa per tutti.
Sovrapporre
Ogni tanto ci sarebbero tornati di notte. Si mettevano d’accordo, quando erano liberi entrambi. Si sarebbero trovati in un punto che era quello da anni, avrebbero parcheggiato facendo attenzione di non lasciare niente in vista nelle macchine e poi avrebbero fatto tutto il litorale fino alla foce del fiume. La notte il mare non si controlla. Il buio spegneva l’iridescenza in quel liquore inquieto e camminare sul bordo di quel nero abisso, creava le condizioni ideali per un punto della situazione iperreale sulle loro due esistenze. Come potersi parlare senza dover distinguere le cose da dire e da ascoltare.
Mutande
Fu per noia che presero in affitto un patino. Erano in quattro, lui, lei e altri due. Lui remò fino quasi alle boe, poi gli altri due, per una competizione scattata nel frattempo si buttarono per vedere chi sarebbe arrivato prima al pontile, nuotando. Rimasero soli. Lui con in remi in mano a guardare lei prendere il sole, assecondando il gentile muoversi del mare che si era impadronito dell’imbarcazione. Restarono al largo tutto il giorno, fecero il bagno e furono i loro corpi prima di tutto il resto.
Fabula sangue
Avrebbe voluto fosse sua quella marea, quel mare buono per portare via. Si era imbarcato per questo da ragazzo, non gli era costato andarsene. Il mare a quelle latitudini parla con la terra, si insinua e rilascia, prende e regala. Dalle finestre delle case del fiordo, si vede salire e scendere e gli occhi delle persone che ci abitano sono abituati all’abbandono, alle lunghissime distanze, al buio e alle attese eterne. Non sarebbe più ritornato.