Non so se a voi è capitato mai di entrare in fissa con una parola, talmente in fissa da costruire solo su quella un interno motivetto e declinarla in tutte le inflessioni vocali possibili.
Non so se a voi è capitato mai ma Elle Hey ci ha fatto addirittura un intero album “LA” in cui ognuno degli 8 brani è costituito esclusivamente da una parola che si propaga all’infinito come i fotoni per trip elettronici e scie glitch.
Qui sotto ci spiega perché. Noi l’amiamo già.
Sono pigra.
Mi piace cantare, molto.
Mi piace cantare molto e siccome sono pigra non ho mai studiato musica.
In ogni gruppo in cui ho cantato (dal gruppo prog con cui ho registrato il primo disco, al progetto pop che proponeva cover strampalate arrivava il momento in cui venivo presa in giro perché per conoscere le armonie da cantare avevo sempre bisogno della traccia midi o perché per proporre delle variazioni le intonavo a voce durante le prove.
Così, quando mi sono trovata davanti ad un vocal looper ho capito che avevo in mano lo strumento ideale per me: cantando potevo non solo rendere ancora più assurdi e divertenti i miei giochi con la voce, ma potevo costruirci attorno un intero brano!
Le prime produzioni sono nate giocando, registrando gli esperimenti che realizzavo con le potenzialità offerte da quel nuovo strumento: suoni gutturali, schiocchi di lingua e versi fatti con il naso, si alternavano ad improvvisazioni vocali.
Per ogni brano ho anche creato una cartella apposita in cui sono andate a convergere questi primi frammenti, melodie che registravo appena mi venivano in mente (spesso al semaforo in bici mentre andavo al lavoro) e tutto quello che trovavo ma che pensavo potesse essere attinente all’immaginario che avevo in mente (foto di viaggi, immagini di pubblicità anni ‘80 e ‘90, video di film coreani).
Ho spippolato, strillato e modulato per circa due anni, nel sottoscala di casa, chiudendo ogni volta tutte le finestre (anche d’estate) per la paura che i vicini sentendomi si spaventassero, in modo da dare al tutto il mood elettronico e fantastico che volevo e non cadere nel clichè dell’artista che mentre canta sembra dirti “hey, guarda come canto bene e come sto bene qui da solo con la mia interiorità travagliata, applaudi”. Quanto mi sono divertita, io!
Poi, visto che, come qualsiasi persona pigra sa, prima o poi la paghi, mi sono dovuta inventare un sistema fatto di pallini, linee scalettate, rombi e triangolini per tenere traccia delle mie composizioni e poterle poi portarle in studio.
Qui, grazie al prezioso aiuto dello studio Cucno Spot, ho fatto il lavoro di cesellatura finale che ha dato la forma finale ai brani e che sono andati a creare “LA”, che è il monogramma del mio nome e cognome, ma anche la nota musicale da cui partire per prendere l’intonazione, o almeno così dice chi ha studiato musica.