Non troppo tempo fa chiedemmo a Mind Enterprises 10 brani che rispecchiassero la sua arte e la quotidianità nella capitale inglese. Oggi, a pochi giorni dalla release internazionale di Idealist, il suo album di debutto, ritengo più che doveroso dedicare uno spazio all’effervescente estetica contenuta nelle dieci tracce.
Andrea Tirone nasce, cresce e studia a Torino, una città che non ripaga la sua voglia di produrre nuove sonorità, ma che nel mentre fra i banchi di scuola gli fa conoscere Guido Savini e Andrea Prato con i quali formerà i ben noti DYD. Acclamati a livello internazionale suonano con gli MGMT, LCD Soundsystem e Santigold, facendosi ossa e orecchie sulle note di questi giganti del pop visionario ed eclettico.
Prima del rilascio di Bad Boys, per Foolica Records, Andrea decide di trasferirsi a Londra, tutt’altro ambiente che lo soddisfa appieno e gli regala le prime soddisfazioni del suo nuovo progetto solista, grazie alla release dei singoli Summer War e Sister per l’etichetta londinese Double Denim Records riscuotendo un discreto successo che, magari sì, magari no, in Italia avrebbe difficilmente eguagliato. Ad ogni modo a questa prima uscita discografica segue immediatamente il rapporto con Because Music, la record company con sede a Londra, che gli fa rilasciare in primis My Girl EP nel 2013 e Idealist. Quest’ultimo rappresenta una vera svolta per l’artista, esponendolo all’ascolto di massa.
Il vantaggio di questo lavoro è l’avere una coerente distribuzione delle tracce, dove l’aura tribal-pop delle prime 6 si fa sempre più evanescente, sostituita da sferzanti stimoli dance ed un accenno di tribalità. “Idealistic”, la semi-titletrack, ci cosparge le gambe di sabbia; sabbia della English Riviera (arrivateci) che, in primavera, regala un effetto terapeutico che nemmeno un chiroterapista saprebbe spiegare; le chitarrine fanno da intercalare tra le diverse sonorità che Andrea intelligentemente propone a fasi alterne, senza toccare l’organicità complessiva. I synth “alla Jungle”, che piacerebbero anche a Fela Kuti, sono di forte impatto sulla linea vocale che grazie al timbro pop ci sta più che bene su tutti i generi toccati. “Confusion”, per ora, è il mio inno 2016 dell’afrobeat. “Lover Boy” quello dance. Indiscutibilmente. Le bassline sono carezze per le orecchie che rincarano la dose di ricercatezza del beat, oltre che evitare monotonia e senso di vuoto nell’ascolto.