Da una parte una formazione meramente classica, dall'altra una sempre più forte attrazione per la musica digitale: queste sono le due anime che compongono l'identità musicale di Kara-Lis Coverdale, compositrice e producer canadese che si è ormai ritagliata uno spazio da protagonista nel panorama elettronico sperimentale. Cresciuta sulla tastiera del pianoforte, la Coverdale ha conseguito un master in musicologia e composizione, oltre a rivestire il ruolo di principale organista nella chiesa evangelica luterana di St. John di Montreal. All'elettronica arrivò solo successivamente, veicolata da ascolti rap, hip-hop e new age, ma nonostante ciò il passaggio dalla strumentazione tradizionale al computer fu per lei più che naturale: "Il suono del pianoforte non risuonava nel mio stato d'animo, né rifletteva l'ambiente in cui vivo. La musica dovrebbe mostrarci dove stiamo andando, invece che guardare indietro. Bisogna cercare di connettere questa eredità tecnologia con ciò che circonda, cercando di capire cosa succede nell'innovazione, piuttosto che rifiutarla". Un passaggio, o meglio un’integrazione, che quindi le ha permesso di individuare e sviluppare una propria forma espressiva, mettendo in dialogo due ambienti tra loro spesso divergenti, quello classico e quello elettronico.
Il suo percorso di ricerca è stato tuttavia condizionato da numerose collaborazioni, che le hanno permesso talvolta di mettersi in gioco, di uscire dalla propria comfort zone. Una di queste è la recente produzione realizzata per una traccia di How To Dress Well, resa nota dall'artista nella sua intervista comparsa sulle colonne di Noisey. Il suo ruolo di collaboratrice di lusso però non si esaurisce qui: la Coverdale ha immacolato i droni di un titano come Tim Hecker, sia in Virgins sia nell’imminente Love Streams, ha arrangiato alcuni brani dell'ultimo lavoro di Lee Bannon e ha prodotto un album a quattro mani con David Sutton (aka LXV), Sirens, le cui sonorità sono come le creature mitologiche alluse dal titolo di Debussy-iana memoria: seducenti, ma allo stesso tempo minacciose.
L’album nasce infatti come un’indagine della violenza nell’epoca digitale, dalla saturazione dell’informazione alla virtualizzazione e la rimozione di fisicità nei rapporti. Un mondo post-body tracciato anche nel primo album della Coverdale, A 480, in cui la compositrice mette in atto uno studio sulla digitalizzazione della voce condotto attraverso la ripetizione di loops vocali riprodotti a velocità differenti, e nel successivo Aftertouches, lavoro che si può considerare il suo vero e proprio debutto.
In Aftertouches si possono infatti individuare strumenti acustici e strumenti che ne evocano tutta la loro ricchezza senza che siano riconoscibili come tali, così come le sensazioni che suscita, talvolta genuinamente umane, talvolta sintetiche ma in grado di portare con sè tutta la profondità delle prime. Aftertouches mostra così un rapporto tra uomo e macchina, oltre che ad una tensione tra tradizione e innovazione frutto dell’invasione, in un territorio armonico, di tonalità digitalizzate. Una formula post-sacred, fatta sia di estatici cori e melodie d’organo sia di strumenti MIDI e samples, prova della sua sensibilità ribelle e del suo approccio onnivoro al suono.
In occasione della sua prima tournée europea, ma soprattutto del suo unico passaggio in Italia, al Superbudda di Torino ospite del format d’indagine creativa della musica contemporanea En Avant, abbiamo così raggiunto l'artista canadese per farci raccontare la sua estetica in 5 brani.