Black Sabbath meet Morricone meet Revolution. Così si definiscono musicalmente i Fuzz Orchestra sin dagli esordi, nel modo più calzante possibile. Il suono ruvido dello stoner e dell’hard’n’heavy si fonde al carattere strumentale e immaginifico delle colonne sonore d’antan, accompagnati disco dopo disco da un concept curato nei minimi dettagli ed esplicitato dai campionamenti cinematografici utilizzati.
Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi è il quarto album pubblicato dal gruppo composto da Fabio Fiè Ferrario, Luca Ciffo e Paolo Mongardi. L’ennesima conferma qualitativa di un percorso unico e originale nel panorama musicale nostrano, un’opera da approfondire con più ascolti per entrare nel vivo del suo concept, un disco ideale anche per fare del sano headbanging.
Abbiamo contattato Luca e Fiè per fare il punto della situazione, per scoprire qualcosa in più sull’ultimo album e sulla loro nuova collaborazione con Enrico Gabrielli e per farci dare qualche consiglio cinematografico.
Quasi 4 anni da Morire per la patria: cosa vi resta impresso di quel disco e delle esperienze che hanno fatto seguito alla sua pubblicazione?
Luca: Diciamo poco più di 3 anni (dicembre 2012/marzo 2016).
È stato un disco importante per noi, ma non meno che i primi due: ognuno di essi è infatti un pezzo del cammino che ci ha portato ad essere ciò che siamo oggi. Di sicuro è stato un disco che ha lasciato il segno nel “nostro” pubblico, che ha imparato ad amarlo, e non solo perché lo abbiamo suonato quasi integralmente per ben tre anni!
È stato anche il primo disco in cui ci siamo avvalsi della collaborazione con Enrico Gabrielli, che abbiamo poi ampliato ed approfondito col nostro nuovo lavoro.
In generale abbiamo sempre cercato di fare dei dischi di spessore, non abbiamo mai visto l’album come una scusa per stare in tour e non condividiamo nel modo più assoluto l’idea, che pare condivisa da buona parte degli “operatori del settore”, che un disco abbia una vita di massimo un anno e poi debba essere rimpiazzato da una nuova uscita.
Ci ispiriamo, con la massima deferenza ed umiltà, ai giganti del rock e della musica in generale, i cui album riteniamo pietre miliari immarcescibili oggi e per sempre.
Inutile fare dei nomi, chè tanto sono sempre quelli.
Da dove hanno preso forma il titolo del nuovo disco e il suo concept socio-politico? Quali sono stati i riferimenti culturali?
Fié: Il titolo è una frase attribuita al cistercense Arnaud Amaury, abate di Citeaux e responsabile della crociata contro gli albigesi. Pare fu pronunciata il 22 luglio 1209 durante l’assedio della cittadina di Béziers, i cui abitanti si rifiutarono di consegnare alle truppe papali i catari che presso di loro si erano rifugiati. Ad un soldato che gli chiedeva come riconoscere gli eretici, Amaury rispose: “Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi”. Abbiamo pensato fosse una frase perfetta per introdurre, senza svelare, la tematica del nostro ultimo lavoro, ovvero il termine/concetto di Apocalisse. Come per i lavori precedenti il punto di partenza è sempre quello di un’analisi critica della contemporaneità, ma questa volta cambiando “lente d’ingrandimento”. Siamo infatti passati da un punto di vista storico, sociale e politico ad un punto di vista filosofico, o meglio metafisico, nell’indagare quelli che vengono definiti come “segni dei tempi” di questa nostra epoca.
Come avete selezionato invece le citazioni audiocinematografiche presenti?
F: Cercando spezzoni di testo che fossero aderenti ai vari significati sottesi al concetto di Apocalisse e che inoltre “suonassero” in maniera corretta con la materia musicale. Rispetto ai dischi precedenti ho rimosso alcuni paletti che mi ero imposto nei lavori precedenti: in primis quello di rimanere nell’ambito della filmografia socio-politica italiana degli anni ’60 e ’70, età dell’oro del cinema che ancora cito utilizzando il Don Gaetano di Todo Modo, uno dei capolavori del grande Elio Petri. Ho voluto utilizzare un campione preso da un genere di cui sono appassionato, ovvero la fantascienza: per citare il Dune di Lynch mi sono naturalmente letto la saga completa scritta da Frank Herbert tra il 1965 ed il 1985. Ho voluto citare un popolo ed una spiritualità che ho sempre amato molto, quella dei nativi americani, citando una frase di un indiano lakota. Il percorso è sempre quello: ricerca di documenti e riassemblamento degli stessi, perché i campioni audio non siano semplicemente appoggiati sulla musica ma si fondano con essa, diventando non un semplice orpello ma una vera e propria narrazione.
L’uomo nuovo rappresenta per certi versi il nucleo centrale del disco, sia per la posizione nell’album sia per il campionamento vocale contenuto. Quanto c’è del futurismo e delle avanguardie dello scorso secolo nell’idea dell'”uomo nel disordine”? Come coniugarlo nell’attualità?
F: Il campione vocale è tratto da Pasqualino Settebellezze [1976] di Lina Wertmüller. È vero: rappresenta il nucleo centrale della tematica del disco. Descrive la situazione dell’uomo moderno e del suo prossimo avvenire partendo da una critica del sistema economico/sfruttamento delle risorse: “tra 200 o 300 anni saremo 20.000, 30.000 milioni. L’uomo si scannerà a vicenda per un pezzo di pane e per una mela; e il mondo finirà”. Ma l’indicazione che segue si sposta radicalmente di livello rispetto alle soluzioni socio-politiche proprie del ‘900. L’uomo nuovo è infatti quello consapevole che ogni cambiamento inizia prima in una sfera ben più intima di quella sociale, ovvero nella sfera “spirituale”, termine detestato tanto dai futuristi quanto dalle avanguardie d’inizio secolo. Un percorso che porti a “ritrovare l’armonia dentro di sé”, nonostante il “disordine” di questa volgare e dolorosa modernità, che noi – ci piaccia o meno – assorbiamo come spugne e verso cui dobbiamo – o almeno dovremmo – mettere in atto una “resistenza” a vari livelli, non trascurando ma anzi partendo proprio da quelli più “sottili”.
Enrico Gabrielli era già presente nello scorso album ma qui partecipa con partiture più ingombranti, realizzate insieme al progetto Esecutori di metallo su carta.
Come si è sviluppata questa collaborazione?
L: Sulla scorta degli ottimi risultati ottenuti dalla precedente collaborazione, che aveva visto Enrico “sovrapporre” degli arrangiamenti a due pezzi già strutturati, abbiamo ritenuto opportuno questa volta coinvolgerlo ad uno stadio meno avanzato della lavorazione del nuovo materiale, quindi in una fase in cui i pezzi erano ancora lungi dall’essere completati, in particolare a livello di struttura. Enrico ha quindi ascoltato i provini e ha pensato e scritto degli arrangiamenti, che hanno poi determinato l’ulteriore coinvolgimento dell’ensemble presente sul disco.
Noi Fuzz abbiamo poi preso queste parti e le abbiamo editate e montate a nostro gusto su buona parte dei pezzi del disco.
Enrico si è avvicinato alla Fuzz Orchestra come amico e come fan e noi siamo solo onorati e lusingati dal fatto di avere dalla nostra una persona ed un musicista che non ha equivalenti.
A vostro modo di vedere quale spazio c’è per la musica strumentale in Italia?
F: Dipende cosa s’intende per spazio. Nel suo significato di maggiore visibilità e crescita “quantitativa” ritengo che dipenda da diversi fattori in un particolare momento della storia della musica e della società. Un campo quindi imprevedibile, ammesso e non concesso che possa interessare questo tipo di “spazio”. Diverso è il discorso se per spazio intendiamo la possibilità della musica strumentale di incarnare un percorso di ricerca e sperimentazione personale che possa anche diventare un riferimento culturale ed influenzare il mondo musicale intorno a sé. Una crescita quindi “qualitativa” che dipende dal percorso e dal talento di ogni band. Inteso in questo senso lo spazio c’è eccome, come c’è sempre stato. Infatti se dovessi elencare i gruppi che ritengo molto più che validi oggi, i nomi sarebbero in grande maggioranza di band strumentali. Lo stesso dicasi per quelle band del recente passato che ritengo seminali per la mia formazione musicale, su tutti gli A Short Apnea.
Scegliete i 5 film italiani secondo voi più sottovalutati e necessariamente da riscoprire.
F:
Il Potere – Augusto Tretti [1972]
Nel più alto dei Cieli – Silvano Agosti [1977]
Finché dura la memoria: Piazzale Loreto – Damiano Damiani [1980]
Giordano Bruno – Giuliano Montaldo [1973]
Cani Arrabbiati – Mario Bava [1974]
L:
Il Potere, Augusto Tretti
La Terrazza, Ettore Scola
Romanzo popolare, Mario Monicelli
Milano odia: la polizia non può sparare, Umberto Lenzi
La sequenza del fiore di carta, Pier Paolo Pasolini