Cosmo è tornato in scena. Dopo tre anni da Disordine, sceglie la forma breve e ci regala un nuovo lavoro via 42 Records, L’Ultima Festa: otto tracce sufficienti a delineare un mondo, ma che lasciano spazio per successive esplorazioni.
Un album intimo ed essenziale, ricco nelle strumentali e ridotto all’osso nei testi: Marco non punta ai virtuosismi, sceglie un manierismo scarno.
Le voci, che apre il disco e senza esagerazioni di sorta la mia canzone preferita della sua intera carriera solista, è un pezzo sorprendente. La scrittura è personale e universale allo stesso tempo: chiamate un dottore, qui c’è un ragazzo che muore affogato nella palude del nazionalpopolare è un verso generazionale che fotografa perfettamente le contraddizioni della nostra piccola eppure insostituibile Italietta. Il cambio ritmico intorno al 4° minuto – poi – è un colpo di coda che ti spiazza come un fulmine a ciel sereno. Una canzone già follemente techno che sembra terminare, e invece ti trascina d’improvviso in un climax footwork.
Cazzate è un altro pezzo che svela l’essenza profonda di questo lavoro: è un dialogo dell’autore con se stesso che si ripromette di non cadere nelle solite seghe mentali. Sarà l’aver messo su famiglia, sarà l’aver superato i trent’anni, sarà che il nuovo di oggi ci sembra già vecchio domani. Ma è rimasta la voglia solo per le cose che contano, tutto il resto è rumore.
C’è poi l’intimità di Dicembre. Ti ha cercato tuo padre, ti voleva ammirare, te lo voleva dire. Troppe occasioni sprecate e ora il tempo è finito. È la storia di Marco che vive nella convinzione infantile che i genitori durino per sempre. È la storia di tutti noi adulti, ma non ancora troppo, che dimentichiamo di curare le fondamenta. E intanto mi commuovo.
L’Altro Mondo e Impossibile si muovono sulla rotta comune della nostalgia, riflettono sul destino degli eventi. Un ricordo personale di Cosmo diventa occasione per estrapolare situazioni in cui tutti ci siamo trovati almeno una volta.
Il tema dei genitori torna anche in Regata 70: forse una delle auto più brutte prodotte dalla Fiat assurge a simbolo di un lembo di tempo che sta tra il sogno e gli anni ’80. In te c’è qualcosa di diverso, qualcosa che non so, qualcosa che vorrei ma non ho: Marco canta di una donna ideale che probabilmente non esiste (come tutte le figure idealizzate della nostra vita), ma quando appare è travestita da sua madre. Una tu che incarna perfettamente il complesso di Edipo, l’eterno rincorrere una vita diversa per poi scoprire che non ci allontaneremo poi molto dal modello familiare che abbiamo sempre avuto sotto gli occhi.
Un Lunedì di Festa chiude il disco e ne riassume le intenzioni: un album che nel complesso suona elettronico, ma non si accontenta di questa definizione. Gli accenni di dream wave si alternano alle ispirazioni indie, i pattern pescano a piene mani dagli anni ’80, mentre gruppi filo-inglesi come i The Rapture e i Two Door Cinema Club sono annidati silenziosi ma sfacciati tra un brano e l’altro.
Il mood che si respira dall’inizio alla fine è quello di una California italiana. Un viaggio in solitaria a bordo di una Chevrolet decappottata, che ha come sfondo un paesaggio conosciuto. Niente esotismi. Si vede la casa di famiglia al mare. C’è aria di ferie d’agosto. Non a caso la cover del disco mixa stelle americane con una foto scovata direttamente nell’album dei ricordi di sua madre, annata ’77.
Cosmo – e con lui tutti quelli della sua generazione – è cresciuto e se n’è accollato le implicazioni, da figlio è diventato padre. Ma non ha smesso di ballare. Non ha snaturato la sua passione per l’elettronica per buttarsi in un cantautorato lagnoso fatto di pannolini e nottate insonni. L’Ultima Festa è la versione migliore di noi stessi. L’istantanea di come vorremmo gestire le nostre vite maturate e faticosamente felici, senza perdere di vista gli anni felici in cui bastavano una birra e un Club To Club a farci sentire padroni del mondo.
La domanda mi è allora sorta spontanea: si può essere pop, nell’accezione più tradizionale di musica che possa piacere a un pubblico generalista, senza mai esserlo per davvero? Si possono far convivere elettronica e canzonette, cantautorato e leggerezza, necessità e desiderio? Oggi ho capito che tutto si può. Basta inventarsi la propria forma di equilibrio all’interno di questo iperbolico cosmo.
Puoi ascoltare il disco qui.