La poesia va e viene,
vive e muore quando vuole lei,
non quando vogliamo noi e non ha discendenti.
Mi dispiace ma è così.
Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.
– Goffredo Parise
Singing Saw è così: come l’andirivieni stridente dell’archetto sulla lama zigrinata di una sega.
Una tensione leggera e costante che senti vibrare per tutta la durata del disco.
Singing Saw è la poesia che va e viene, che entra a gamba tesa nelle tue cose e poi si porta via, senza portarti via.
E quelle note spezzate le senti tutte, le senti che singhiozzano e poi riprendono fiato, riprendono i fiati: perché questi nove brani fanno la spola tra la tensione e la distensione, si muovono come fa il cuore.
Kevin Morby ha tutta la poesia dell’America dei ’60, racchiusa in un lirismo affascinante, intimo, scuro. Dylan, Reed, Rodriguez, sì. Un’inquietudine che però trova sempre il suo punto di fuga: nei cori e nei colori, nella dolcezza di un pianoforte oppure in certi trip acustici che stanno lì a sublimare l’angoscia, a dirti che tutto andrà bene.
Quegli avvoltoi di Cut Me Down, per esempio. Dovrebbero metterti paura e invece ti stanno intorno e se pure ti disegnano delle ombre taglienti sul viso sembra che stiano lì a proteggerti. Complici quei bassi profondi e una chitarra dolcemente pizzicata: un incedere lento e oltremodo rassicurante.
Un paradosso che va consumandosi nella seconda traccia I Have Been To The Mountain, che ha tutti gli elementi di una narrazione sinistra ma nessun appesantimento strumentale: il testo trova sfogo su una classica melodia folk, sui fiati e sui cori e si spalanca come le persiane di primo mattino sui giardini assolati.
Chissà come deve essere il risveglio nel Texas. Deve essere come lo scricchiolio che fanno le suole quando schiacciano i sassolini. Sarà come una passeggiata scanzonata su una strada sterrata che un po’ cammini, un po’ suoni e un po’ ti togli la giacca perché inizi a sentire caldo.
Dorothy è una passeggiata al risveglio in Texas, coi sassolini che ogni tanto ti entrano nella scarpa.
Se hai bisogno di riprendere fiato o di toglierti qualche sassolino hai tutto il tempo di Drunk On a Star o di Ferris Wheel per distenderti e ritrovare il controllo: c’è il pianoforte che insegue perfettamente la voce di Morby e tu che non puoi fare altro di inseguirli a tua volta.
Lo stupore sta tutto in un’assenza di affaticamento: perché in questo tira e molla di tensioni e rilassamenti, colline e pianure, banchi di nebbia e poi il sole, non risenti stanchezza.
Il disco va avanti per continue variazioni armoniche (come nella devendriana Black Flowers) e battiti irregolari: una dicotomia infinita tra distruzione e costruzione che ti scuote, fa macerie e poi ti riassesta. E lo fa senza chiederti nemmeno il permesso.
Una poesia che va e viene come vuole lei.
Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.