“Non mi permetterò mai più di essere infelice.”
Questo il pensiero di Skepta dopo un viaggio nella sua terra d’origine, la Nigeria, dove ha costruito un parco giochi per il villaggio dei suoi genitori, realizzando di avercela davvero fatta.
In Konnichiwa, suo quarto album annunciato un anno fa e procrastinato un frustrante numero di volte, proprio la famiglia è tra i temi più lampanti: sentenze come “you can’t diss my mum”, “stop telling man you’re my cousin” evidenziano l’importanza del sangue; il legame è poi rafforzato dalla presenza nella tracklist dei fratelli Jamie -alias JME, grimer affermato che compare nel primo singolo That’s Not Me– e Jason Adenuga -che produce l’outro dell’ultima traccia, motivetto orientaleggiante.
Ciò che fonda il grime, distinguendolo dall’hip-hop generico, è appunto un obbligo di sincerità, una ferrea dedizione alla trasparenza. Chi sembra aver tradito la retta via è Dizzee Rascal, un tempo tra i principali artefici dell’esplosione del genere: in Man (Gang), Skeppy lo cita con rabbia, come ad insultare un trono vuoto. Corn On The Curb fa coesistere un’altra, più integra leggenda con un pilastro della nuova scuola: Wiley, compagno di Boy Better Know cui Skepta -così dice in Detox– deve la scelta di trasformarsi da semplice DJ in MC, e Chipmunk, due album e una decina di mixtape all’attivo. Quest’ultimo non si concede una strofa, bensì una telefonata: Joseph è a terra, la pressione è opprimente, così come il disagio creativo di un afro-inglese a Londra; Chip spiega che è proprio la voce di Skepta a poter attirare l’attenzione del popolo “su tutte le altre cose che succedono qui”.
“Who’s seen the country flip on its head like this, fam?”
Guarda caso, le due tracce successive sono un dito medio –Crime Riddim, con tanto di sirene e caricatori- e un due girato alla polizia. Stesso discorso vale per Man (Gang) e il suo video.
Le forze dell’ordine agiscono troppo spesso sulla scia di pregiudizi, tanto in UK quanto negli USA: significativa, in questo senso, la presenza di Young Lord dell’A$AP Mob in It Ain’t Safe, con annesso video di distruzione . Altro pezzo, altro A$AP: Nast canta il ritornello –simile, molto simile alla cantilena di Hotline Bling- di Ladies Hit Squad, ulteriore occhiolino agli States.
Il riferimento a Drake è tutt’altro che casuale: il canadese ha un’ormai lunga storia d’affetto con la Boy Better Know Crew, ma oltre al noto sample ad aprire e chiudere Shutdown –una delle canzoni dell’anno, caso chiuso- , l’auspicata presenza di Drizzy nella tracklist è disattesa, proprio come la possibile comparsa del londinese in Views. Tra gli altri generi, tuttavia, nell’album di Drake è percepibile l’influsso -a incidere su flow e gergo utilizzato- del grime made in UK.
L’espansione oltreoceano potrebbe snaturare un genere così fortemente anglocentrico, ma Numbers ne è la sollevante controprova. Skepta inventa il flow più bizzarro del disco, e ad ogni snare dedica un monosillabo tagliente. Pharrell sembra imitare il solenne discorso di un allevatore texano, e a quanto pare a lui riesce tutto. Il beat ricorda i suoi pezzi con i Clipse, fatta eccezione per i bassdrum annegati a misura di 2016. Quindici anni fa, le radio pirata britanniche già coglievano l’analogia tra il grime e i riff sparuti su cui Pusha T se la spassava: Grindin’, nelle rotazioni, non era una rarità.
Un ritornello in particolare richiama il mixaggio lo-fi delle pirate radio, e costituisce la più intransigente delle tracce di Konnichiwa: Lyrics, un’ode alla strada. Al fianco di Skepta, un futuro re, Novelist: a quindici anni aveva già un nome tra i freestylers, ora ne ha diciannove e guida, con altri giovini come Stormzy e i Section Boyz, l’assalto alle spocchiose finestre dei BRIT Awards. Il pezzo -condito da trilli da GameBoy, urla distorte ed altri elementi disturbanti- inizia con un sample storico, ovvero Wiley che caccia dal palco un avversario durante una sfida: Skeppy e Nov, con flow differenti ma egualmente imbattibili, tengono altissima la tensione per chiarire che il grime è in buone mani.
L’irato amore per la patria di Skepta traspare crudo anche dalla copertina, un monumento incupito: un francobollo è il più iconico dei ritratti, e limitare la figura ad un’occhiata corrucciata rimbomba come gesto politically incorrect per eccellenza.
Il bollino è rosso, su sfondo bianco, a riprova del ruolo centrale ricoperto dall’estetica. Loro sono “The best dressed men”, lui era in prima fila alla Fashion Week, tutto è bianco o nero -si veda Shutdown– e niente va nascosto.
Dov’è, dunque, la componente giapponese? Da dove nasce il titolo del disco? La title track si introduce proprio con un sample nipponico, katane sfoderate e flauti riverberati. Una voce femminile non creditata (Fifi Rong) ripete “looking for me…”: Skepta si presenta come un creativo moderno, sempre in movimento, sempre in cima a salutare chi arriva un attimo dopo, impacciato. Il brano d’apertura si richiude su se stesso, riprendendo il ritornello iniziale con intoccabile convinzione. Identico destino per il disco tutto, che termina con Text Me Back: è il momento più sentimentale dell’LP, ma il kick rimane deciso e lo sguardo serio; la spirale si riavvolge appunto in un jingle pseudo-asiatico, che richiama il ghiacciato stile “eskimo” della nuova ondata di grime strumentale.
Curato, rabbioso, equilibrato e coeso, Konnichiwa è l’album che ci si aspettava. I cinque singoli lasciavano pochi dubbi, fugati del tutto dai sette pezzi restanti. Al di là di qualche sporadico caso –Blakie sul cypher di gruppo di BBK, Ragz Originale e Footsie qui e lì- il disco è autoprodotto, a dimostrare la consapevolezza di un artista che ci guarda dritto negli occhi per quarantaquattro minuti di fiamme.
Di rado un album grime riesce ad imporsi con lo status di pietra miliare. Konnichiwa, oltre a segnare un momento di suprema rilevanza storica per il genere, si mostra accessibile anche ai profani, senza comunque mai scadere in formule comuni.
“Superpowers, fam.”