Jessy Lanza ha un’esigenza tattile: ha bisogno di hardware, trova l’ispirazione solo se circondata da tasti, tasti e tasti. Tale impostazione deriva, probabilmente, dal repertorio jazz in cui si è formata.
Proprio nella convivenza tra la nostalgia per il pianoforte vero e l’amore per il mondo digitale, risiede l’eccezione della trentunenne canadese: la sua perizia ritmica garantisce calma e ordine nell’era dei glitch come arte; è il riscatto della tecnica, la coerenza che vince.
Sono passati tre anni da quando il suo debutto, Pull My Hair Back, è stato candidato al Polaris Music Prize. Come il suo predecessore, Oh No è stato creato in collaborazione con Jeremy Greenspan dei Junior Boys, in due studi vicini ma distinti a Hamilton, in Ontario.
La loro città natìa -isolata dalle grandi realtà canadesi o statunitensi- ha agito da garanzia di genuinità, in misura ancora maggiore rispetto al primo album.
Altro fattore positivo è stato Hyperdub, l’etichetta più costantemente innovativa nell’elettronica da dieci anni a questa parte. Niente pressioni, niente indirizzamenti forzati: libertà creativa assoluta.
Oh No, infatti, sembra provenire da un luogo felice. Il disco è scintillante ma spontaneo, lei è riservata e i suoi climax non hanno urgenza di esplodere: talvolta il silenzio è un pregio.
Le influenze sono svariate: il riverbero di tastiere e snare sorride agli anni ’80, tutto pare lineare ma ecco che, con discrezione, il pitch varia, introducendo –She Means I Love You massimo esempio- percussioni footwork. Il passato e il futuro raggiungono un vaporoso compromesso. Come se Kim Wilde preferisse una drum machine ad un tubo di lacca, il basso tipicamente “kraut” è curato da vocali argentee, gentili.
L’unico obiettivo di Jessy -se davvero ne ha uno specifico- è plasmare del modernissimo r&b: Could Be U si finge un remix di un acapella dei primi anni 2000, e non a caso l’artista cita Missy Elliott e Timbaland come precoci ispirazioni.
Il rischio di un rythm & blues vero e proprio è tempestivamente fugato dai clap dell’808, a spiegare subito la natura della connessione con Hyperdub, che affonda -nel profondo- le sue radici in suoni soul e r&b.
Jessy sperimenta senza sosta, e il suo retro-futurismo ha un innegabile fascino anti-pop. Naturale è risultata la collaborazione, nel 2015, con DJ Spinn e Taso, compari del compianto DJ Rashad nella crew Teklife e altra, fondamentale influenza.
È piacevole il suo modo di evitare le strade semplici: Going Somewhere, Vivica e I Talk BB sono coraggiose esplorazioni, come se Jessie Ware sapesse fare tutto; VV Violence è uno dei pezzi meno categorizzabili dell’anno.
La sua voce non è mai stata più intima, e gli acuti eterei celano nel delay un mistero rilassante.
Interessante è l’approccio al songwriting: piuttosto che sovra-ragionare, inventa frasi che si adattino alla texture sonora; privilegia sensazioni distanti, rifiutando facili sentimentalismi.
Le emozioni trasmesse sono ricercate e vanno ricercate, a confermare che si tratta di un lavoro a cui dedicare più e più ascolti.
Lo sguardo stanco di Jessy Lanza riposa in un mantello di idee luccicanti, la sua arte è sempre più personale e coraggiosa.
Jessy Lanza sarà allo Spring Attitude Festival di Roma il 20 maggio.