Ogni anno, per tre giorni l’anno, natura e musica si fondono in un unicum indissolubile negli incantevoli giardini di Villa Arconati a Bollate. Un contesto in cui lo spettatore viene condotto in una dimensione unica e mistica: si tratta di Terraforma, piccolo miracolo nel panorama festivaliero italiano che, tra sperimentazione sonora e sostenibilità ambientale, è giunto quest’anno alla sua terza edizione. Non senza un percorso di avvicinamento di tutto rispetto: il 31 maggio, tra gli imponenti Palazzi Celesti di Kiefer all’Hangar Bicocca, si è infatti tenuta la concitata quanto ipnotica performance dell’iconico gruppo nipponico Boredoms, mentre solo due giorni fa Terraforma ha avuto modo di inaugurare, insieme al Teatro Franco Parenti, la riapertura di Piscina Caimi con la sontuosa rilettura della trance puntillistica di Lorenzo Senni ad opera di un ensamble di 40 elementi. Due concerti-evento difficilmente inquadrabili come semplici anteprime di un festival che, nonostante la giovane età, è ormai uno degli appuntamenti più monitorati in Italia e all’estero. Per conoscerlo meglio, abbiamo così deciso di intervistare una delle sue tre menti, Ruggero Pietromarchi.
Ciao Ruggero. Partiamo da Threes, l’associazione culturale che porta avanti Terraforma: come e quando è nata? Che ruolo rivesti al suo interno?
Threes è nata nel 2012, fondata da Alberto, Dario e me con l’intento di promuove un certo tipo di cultura musicale in ambienti non comuni per l’ascolto musicale. Il nome deriva dall’incrocio tra la parola alberi e il numero tre, ma nasconde anche un piccolo tributo alla musica di Three Chairs.
Prima di Threes cosa facevi?
Prima di Terraforma e durante la nascita di Threes lavoravo per Ponderosa Music & Art, un’agenzia e casa discografica con uno stile inconfondibile per la qualità del lavoro e la ricercatezza dei contenuti. Li ho avuto modo di imparare molto, sviluppando progetti quali Piano City e Live in Venice e lavorando a 360 gradi con artisti di fama internazionale e produzioni di grande spessore.
Quale urgenza si è celata dietro alla volontà di realizzare un festival come Terraforma?
Le ragioni sono diverse, ma se parliamo di urgenza direi fare una cosa e farla bene. Un’urgenza dettata dalla passione e spirito di serietà, dall’intento voler dare una scossa — e per questo un festival e il processo di terraformazione — senza alzare troppo la voce, anzi tutt’altro, con la maggiore semplicità possibile cercando di cogliere l’essenziale delle cose.
Terraforma è un dialogo tra paesaggio, musica e architettura. Come avete individuato nel Parco di Villa Arconati il luogo adatto a questo tipo di manifestazione?
Villa Arconati è un posto di incredibile bellezza. Ci siamo arrivati tramite Ponderosa e poi piano piano il parco si è rivelato il luogo perfetto di sperimentazione per il nostro progetto di sostenibilità. Logisticamente è un luogo molto comodo rispetto alla vicinanza di Milano, ma abbastanza immersivo da far sentire il visitatore completamente altrove.
Vista l’eterogeneità della proposta artistica di Terraforma, qual è la filosofia e i criteri che vi guidano nella selezione?
La sfida è quella di esaltare il più possibile questa eterogeneità cercando chiaramente di mantenervi un senso unitario che sia comprensibile, in questo sta l’abilità curatoriale. Ne consegue l’obbiettivo nel proporre un programma musicale dallo spettro più ampio possibile, per oltrepassare un categorizzazione generica. Sicuramente c’è molta elettronica, ma cerco soprattutto un carattere di sperimentazione, nel senso di quegli artisti che intendono spingere oltre il proprio processo di ricerca.
Penso che il miglior strumento per esporre il pubblico alle diverse traiettorie che propone il festival sia il senso d’inclusività e di appartenenza che quest’ultimo è in grado di sviluppare. È così?
Non direi che il senso di appartenenza si possa considerare uno strumento, piuttosto un obiettivo di Terraforma. Il campeggio invece sì che si può considerare uno strumento, per generare quell’esperienza che determina la comunità e quindi il senso di appartenenza.
Oltre al carattere musicale, Terraforma possiede anche un’anima sostenibile. Dopo due edizioni qual è il bilancio, e quali sono i progetti futuri?
Il progetto di sostenibilità è in forte sviluppo, dopo le prime due edizioni incentrate sulla riqualificazione del parco quest’anno stiamo iniziando due progetti di lungo termine. Entrambi triennali, il primo con Etica Sgr si focalizza su tre tematiche: raccolta e smaltimento dei rifiuti, trasporti ed energia. Il secondo, supportato da Borotalco e realizzato in collaborazione con la Fondazione Augusto Rancilio e Fosbury Architecture, si concentra nel ripristino di un labirinto esistito originariamente nel ‘700.
In un’epoca in cui festival ed agenzie proliferano, risulta difficile rimanere autentici. Cosa vuol dire essere un curatore nell’era accelerata?
Di primo acchito ti direi che ci vuole anche un senso manageriale e la necessità di metterci la faccia, non saprei però se effettivamente sia una novità di quest’epoca o meno. Un’impressione, o forse solo una speranza, è che ci sia un’inversione di tendenza rispetto a un passato recente in cui il mondo della comunicazione si è imposto di frequente sullo spessore dei contenuti stessi.
La terza edizione di Terraforma si terrà dall’1 al 3 luglio nel parco di Villa Arconati, Bollate (MI). Scopri il programma day-by-day e tutte le formule di biglietteria del festival.