La storia dei La Batteria comincia a Roma pochi anni fa (2013 circa), sebbene i quattro musicisti che compongono il gruppo siano attivi sulle scene da più di un ventennio, tra collaborazioni, progetti musicali di solida tenuta (La Fonderia, Orchestra di Piazza Vittorio, Otto Ohm, etc.) e esperienze importanti da turnisti. Base di partenza: un nome che può rimandare a più significati letterali e dal sicuro impatto.
“La Batteria nasce proprio come band per la realizzazione di colonne sonore”, ci raccontano Emanuele Bultrini e Paolo Pecorelli, rispettivamente chitarrista e bassista della band, davanti a un caffè in via Ostiense, a pochi passi dal Gazometro e da Testaccio.
“Ci conosciamo da una vita, ma all’inizio volevamo semplicemente realizzare un instant-record di library music in 3-4 mesi, una cosa cotta e magnata per l’editore Flipper Music”.
Poi, però, la sorpresa: “Ci abbiamo preso gusto, ci siamo esibiti live un paio di volte ottenendo un buon riscontro di pubblico e abbiamo ricominciato a registrare, ma stavolta per fare un disco vero”. L’album che ne è venuto fuori è l’ottimo debutto omonimo della band, pubblicato a gennaio 2015. “Il nostro obiettivo iniziale era proprio scrivere musica di servizio alle immagini. Siamo stati molto felici che qualche tempo fa il TG2 abbia usato tre nostri pezzi per un proprio reportage”.
Un anno dopo e miriadi di date nel mezzo, il gruppo romano è tornato in pista con ben due pubblicazioni: l’EP “Fegatelli” a inizio marzo e la rielaborazione della colonna sonora del film culto di Claudio Caligari “Amore Tossico”, rinominata “Tossico Amore”.
“Per presentare Fegatelli abbiamo voluto realizzare due video con Rocco Papaleo e il “ristoattore” Raffaele Vannoli in cui spiegano il significato della parola, che nel gergo cinematografico indica brevi spezzoni di raccordo tra scene principali, spesso realizzati con una piccola parte della troupe e in poco tempo. È un termine di origine romana che dall’ambito gastronomico – nello specifico della cucina giudaico-romanesca – è passato a quello cinematografico, quasi certamente proprio a Cinecittà. Cercavamo un termine che richiamasse l’idea di “avanzi”. In realtà più che di rimanenze dovremmo parlare di brani sfusi che ci dispiaceva lasciare orfani, dalla cover di “Derrick” ai remix”.
Un processo non troppo laborioso, quello che ha portato alla nascita di “Fegatelli”. “Superbum ci è stata commissionata ed è stata registrata a primavera 2015 per il documentario “Il cerchio”, la cover di Derrick invece dopo l’estate. In origine voleva essere un regalo natalizio, ma non ce l’abbiamo fatta”.
Un EP che si avvale di collaborazioni di qualità e dal grande eclettismo: dalla tromba di Roy Paci alla italo-disco di Jolly Mare, fino al rap romano. “Vorremmo lasciarci alle spalle un certo tipo di immaginario settantiano legato alle pistole e ai pantaloni a zampa d’elefante. D’altronde già le nostre esperienze musicali sono caratterizzate da un forte ecletticità: musica di fusione (non fusion e assolutamente non prog), hip-hop, musica improvvisata”.
A maggio poi è uscito “Tossico Amore”, rielaborazione della colonna sonora di “Amore Tossico”. La soundtrack originale realizzata da Detto Mariano – tra le altre cose autore della colonna sonora di “Guardiani della Galassia”, arrangiatore della sigla di Jeeg Robot e per Celentano e tanti altri artisti – non era mai stata pubblicata prima: ci hanno pensato Goodfellas e Penny Records a portarla alle stampe per la prima volta. “Abbiamo scelto di fare un’operazione congiunta. L’obiettivo di Tossico Amore è stato quello di estrarre i temi della soundtrack per conferire un’identità oltre le immagini. Un’identità rock, legata anche alla struttura del nostro ensemble. Il film e l’immaginario sono ben presenti nell’opera, ma abbiamo voluto ampliare il punto di vista, concentrando il nostro sguardo non solo sul film ma anche sull’epoca in cui è uscito: quei primi anni Ottanta in cui siamo cresciuti. Non è stata un’operazione didascalica, abbiamo piuttosto preso i riferimenti di quella colonna sonora proiettandoli nella contemporaneità”. I rimandi cinematografici della musica della Batteria, d’altronde, “sono soprattutto riferimenti alla nostra esperienza personale, alla nostra storia di vita. Per noi e i nostri coetanei, la musica delle colonne sonore era presente ovunque, dalle sigle dei tg a quelle dei programmi di costume. È un terreno comune per la nostra generazione: gli anni Ottanta di Amore Tossico ci appartengono”.
E riguardo all’ultimo film di Caligari, “Non essere cattivo”, Paolo e Emanuele hanno pochi dubbi: “fondamentalmente ci è piaciuto. Ce lo aspettavamo un po’ più duro, invece la chiave edificante del finale ne attutisce l’onda d’urto. Marinelli e Borghi poi sono attori straordinari”.
La soundtrack music è un non-genere. “La nostra è una musica stilisticamente definita ma capace di adattarsi a diversi contesti, da un festival di musica elettronica come Spring Attitude a un programma hip-hop come “Welcome To The Jungle”, dove trasmisero la nostra “Scenario” nonostante sia un pezzo in ¾ lontano dal groove più tradizionale.
La library music e sonorizzazioni per i film sono da sempre un passe-partout. In un singolo disco trovavi estrema diversificazione, dal pezzo lounge a quello funk, dallo swing alla ballad. La vocazione del nostro disco d’esordio era proprio quella”.
Se però i Calibro 35 – probabilmente la band più affine ai La Batteria – cominciò la propria carriera con un obiettivo “archeologico”, il progetto dei romani è da sempre più immaginifico.
“All’inizio anche in noi la vocazione “archeologica” ci sembrava più presente, ma comunque non ci avevamo ragionato troppo. Realizzati i pezzi abbiamo capito che erano buoni e che non servivano solo per “fare un po’ di SIAE”. Potevano svilupparsi e diventare qualcosa di più originale”.
La chiacchierata si sposta poi sul funk, genere di cui la band è fan e la cui influenza è ben presente nei brani. “Il funk all’italiana è un’altra cosa rispetto a quello americano, sia per suoni che per pronuncia. Tanti artisti in passato avevano il pezzo funk, dalla Bertè a Patty Pravo, da Carella a Mingardi. In Italia il funk veniva ripreso quasi come divertissement, e il rischio che dal funk si passi al funky è dietro l’angolo: spesso a livello mainstream è risultato annacquato. Il funk invece è una questione ideologica, è stata rivoluzione culturale. Da James Brown a George Clinton, e anche oggi per certo hip-hop: il funk è attitudine. Nel mondo della library italiana, ha sviluppato sonorità più scure, un italian touch che risentiva anche del prog all’italiana”.
Qui Paolo mi sorprende: “l’unico artista funk italiano è stato Franco Califano, per ethos il nostro Bobby Womack. Per un periodo il nostro batterista David (Nerattini, ndr) ha suonato nella sua backing band insieme a mio fratello. Era un periodo buio per lui, ma musicalmente aveva un gruppo molto attento agli arrangiamenti, che lo portò a diventare una sorta di Isaac Hayes nostrano”.
Oggi in Italia non è più un tabù parlare di musica strumentale e di musica cinematografica, anche in ambienti non convenzionali per il genere. “Oggi è un buon periodo – ci dicono Paolo e Emanuele – ma noi amiamo ricordare i primi anni ’90, quando ci siamo formati come musicisti: all’epoca il jazz era aperto verso improvvisazione e altre forme musicali. Fu un momento fortunato, ma separato dai circuiti mainstream e rock. Per fortuna la grande esplosione dance & techno tra anni ’90 e ’00 ha preparato un terreno per ascolto molto più frammentato. Prima le tribù erano separate, oggi chi ascolta rock può anche andare una serata di musica elettronica, o ancora la musica strumentale può entrare nei locali rock”.
Infine, ci soffermiamo sugli ultimi venticinque anni di musica a Roma. “I primi anni ’90 furono periodo fecondo per Roma e per tutta Italia: la musica passava dai centri sociali alle major con disinvoltura. Gli anni Duemila per Roma sono stati più difficili: c’è stato il boom dell’elettronica e si suonava molto meno e con molta più difficoltà. Roma è una città dispersiva, ci sono varie scene che spesso si ignorano tra loro. Oggi spazi nella Capitale ce ne sono, ma forse a livello medio/piccolo mancano alcuni club consolidati, come all’estero. È difficile poi che i locali durino a lungo. È una città che vive di cicli, per fortuna oggi ci sono diverse rassegne all’interno dei giusti contesti che danno spazio a musica valida, mentre il jazz è il genere maggiormente in declino: i pochi locali rimasti sono tradizionalisti. Una volta Testaccio era feudo del jazz. Oggi non c’è più quella apertura alle commistioni che un tempo rendeva la scena jazz molto più pimpante”.